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Intervento al Liceo Scientifico di Ceccano
29 maggio 2014
Nel 2° conflitto mondiale, la guerra, a differenza di tutte le altre, non si combatte più solo al fronte ma su tutto il territorio nazionale.
La popolazione italiana per la prima volta si trova a sostenere un peso enorme in termini di bombardamenti a tappeto, morti civili, feriti, distruzioni, privazioni e violenze.
In questo disastroso scenario le donne vengono coinvolte in prima persona e per sopravvivere si organizzano individualmente o collettivamente. Manca il lavoro, non ci sono alimenti, c’è carenza di tutto, ma le donne resistono. Sono sole, perché gli uomini abili sono impegnati nella guerra o fatti prigionieri. Sulle loro spalle grava il peso della famiglia. Le sofferenze provocate dalla guerra, la consapevolezza di una spaventosa precarietà, il non sentirsi protette, porta le stesse ad affinare lo spirito di sopravvivenza, inventandosi mille modi per procurarsi briciole di pane o qualunque cosa di commestibile da offrire ai figli. Dove è possibile accettano lavori umili e faticosi sacrificandosi per la famiglia. Arriveranno a perdere i propri connotati fisici per lo stato di denutrizione protratto per lunghi mesi, ma non si fermeranno mai, continueranno sempre nell’incessante ricerca di qualcosa da mangiare.
In questo clima di fame, privazioni e dolore si assiste ad un’ambivalenza di comportamenti: da una parte si effettuano prevalentemente ad opera di uomini,ruberie o incursioni nei campi coltivati, dall’altra si rafforza una solidarietà tipica delle donne che le accomuna nel dolore e nella sofferenza.
Avvengono esempi di aiuto solidale anche verso sconosciute, come le donne che offrono il loro seno a bambini di altre madri, oppure di madri che per non vedere lo sguardo afflitto di un bambino denutrito e sconosciuto, si tolgono quel poco dalla bocca aspettandosi in cambio un timido sorriso. Ma momenti di generosità si manifestano anche verso i militari dispersi e affamati.
Questo e molto altro succedeva nel 1943 e 1944. E quando finalmente i tedeschi furono in fuga, tutti emisero un sospiro di sollievo e si scatenò una gioia e allegria a lungo repressa, si pensò che la guerra finalmente si potesse lasciare alle spalle. Ma nella nostra zona quelle speranze e quella euforia ebbe brevissima durata e ciò che avverrà subito dopo segnerà inesorabilmente e per sempre le donne che ne saranno vittime.
I soldati marocchini, algerini, tunisini e del Centro Africa, inquadrati nel Corpo di spedizione Francese ( CEF), nel loro passaggio si lasciarono andare a saccheggi, furti, uccisioni, stupri di gruppo verso una popolazione inerme e stremata. Nel maggio 1944 queste truppe si muovono lungo i monti Aurunci, Ausoni e Lepini. A Esperia, in contrada Pollica, i soldati algerini si abbandonano a sfrenate violenze, saccheggi, uccisioni, stupri su donne e uomini. L’avanzare delle truppe del corpo di spedizione francese lungo queste catene montuose porta ovunque disperazione e sconcerto e le voci delle violenze inflitte che si conoscono nelle vallate provocano stupore e incredulità ma non si ha il tempo per organizzare una qualche minima azione di difesa.
Questi soldati avevano affrontato con impeto e ferocia i tedeschi e con la stessa forza si erano lanciati verso la popolazione civile senza ritegno alcuno. Tutti i paesi ne furono colpiti oltre che Esperia, Pico, Pastena, Lenola, Vallecorsa, Ceccano, Giuliano, Villa S, Stefano, Patrica, Supino, Morolo e Sgurgola. Abbiamo raccolto testimonianze su episodi di padri o madri feriti o uccisi per salvare le loro figlie, ma ancora più atroce è stata la raccolta di notizie riguardanti bambine stuprate a 8 anni.
Le violenze carnali che si sono verificate in Ciociaria durante il passaggio delle truppe franco-
Nel corso degli anni si è tentato di fare una stima, ma il numero è stato sempre diverso a secondo se dichiarato dai francesi, dallo stato Italiano, o dalle domande di richiesta del sussidio alle donne violentate.
Anche noi, attraverso ricerche svolte presso l’Archivio di Stato di Frosinone, analizzando documenti, informative e domande presentate dalle donne violentate, non ne siamo venuti a capo, ma abbiamo ricavato un quadro d’insieme abbastanza realistico.
Nel 1946-
Negli anni 1970-
Infine, un assegno vitalizio veniva concesso a chi aveva contratto malattie contagiose, o invalidanti. Ma chi aveva già usufruito dell’indennizzo, non aveva diritto all’assegno vitalizio.
Abbiamo analizzato dettagliatamente i 115 casi di Castro dei Volsci che ricevono il sussidio e il dato più raccapricciante che abbiamo scoperto è che parecchi di questi casi(circa 40) sono bambine fra 8 e 17 anni violentate presso la località Grotte .
A Ceccano seguendo questa traccia risultano essere violentate 60 donne in ogni angolo del paese e fra queste, ragazze di 16-
Altro dato che ci fa riflettere riguarda una informativa che il comando generale dell’Arma dei carabinieri il 25 giugno1944,invia alla presidenza del Consiglio informando che nei comuni di Giuliano di Roma, Patrica, Ceccano, Supino, Morolo e Sgurgola in soli tre giorni si sono verificati 418 casi di violenza di cui 3 verso uomini e 29 omicidi compiuti da militari del CEF.
Se in questo angolo della Ciociaria si sono verificate cosi tante violenze possiamo dedurre il numero totale, ma la certezza non ci è dato saperla perché qualche anno dopo, sempre i carabinieri informano che parecchie donne non denunciano l’avvenuta violenza per pudore.
Un rapporto del 17 ottobre 1956 infine stima che il numero delle violenze su uomini e donne su tutta la provincia di Frosinone è stato di 4.932 casi.
La forte discrepanza di numeri è determinata anche dal fatto che moltissime donne preferirono tenere nascosta la violenza subita.
Esse non si sentirono abbastanza tutelate e protette da uno Stato che non prese le loro difese perché la vittoria sul nazifascismo non poteva in alcun modo essere adombrata, tanto più da crimini commessi verso le donne.
(Ancora oggi purtroppo, rimane più impresso quando la violenza carnale è perpretata verso un uomo, mentre colpisce meno se la vittima è una donna. Ma questa è tutta un’altra storia).
Molte donne violentate furono sopraffatte dalla vergogna, in qualche caso respinte dai propri uomini e abbandonate ad un destino di solitudine e dolore. Per queste vittime la rimozione sarà l’unica via di scampo per continuare a vivere. Avevano subito violenza, avevano contratto malattie veneree, non le avevano cercate. Eppure venivano condannate da una morale gretta e ingiusta a una esistenza isolata, arida e senza affetti.
A causa della loro vergogna alcune donne morirono per aver sottaciuto di aver contratto malattie veneree.
Sono trascorsi settanta anni di silenzi e omertà, ancora oggi tali fatti vengono affrontati con difficoltà e diffidenza.
Il no alla guerra in qualsiasi parte del mondo, scaturisce anche da un passato che la Ciociaria ha vissuto, e che deve essere di monito alle nuove generazioni.
LUCIA FABI