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Aristide Ceccarelli l'anarchico di Ceccano di Papetti

ARTICOLI > Recenzioni e presentazioni

Presentazione del libro scritto da Aldo Papetti "Aristide Ceccarelli-L'anarchico di Ceccano, tribuno del popolo"

Chi ha una grande curiosità di sapere, chi ama indagare nel passato per capire meglio il presente, senza alcun indugio può leggere il libro " Aristide Ceccarelli - L’anarchico di Ceccano tribuno del popolo" scritto da Aldo Papetti.
 Quando l’autore mi ha proposto qualche settimana fa di presentare il suo lavoro ho risposto immediatamente  "si", senza averlo letto; un si di amicizia verso una persona che con me ha condiviso gli anni più impegnativi della mia vita, caratterizzati da azione,  grandi speranze, da eccezionali realizzazioni cittadine, di successi e soddisfazioni ma anche di sconfitte storiche e di amarezze.
 Oggi dopo aver letto il libro,  studiato ed approfondito mi sento di dire di aver fatto bene ad aver dato  questa disponibilità.
 Il libro mette in evidenza gli anni della Roma Umbertina e dei primi venti anni dell’altro secolo, attraverso la ricostruzione delle condizioni del lavoro, della violenta reazione governativa e della nascita delle prime organizzazioni operaie.
 Aldo descrive questa realtà utilizzando parte dell’interessantissimo libro  "Mio padre l’anarchico" scritto proprio dalla figlia di Ceccarelli, Bianca  nel 1984. Un libro scorrevole, di grande intensità emotiva e di devozione filiale. Aldo però  ha fatto molto di più  perché ha messo insieme articoli di giornali, pagine di libri, dichiarazioni. Ha attinto, inoltre dall’Archivio storico della CGIL. Ha compiuto, insomma, un lavoro lungo, paziente e difficile. E’ nell’interno di questa narrazione che è presente ed emerge la figura politica, umana, ed il ruolo importantissimo di Aristide Ceccarelli.
 Aldo inizia il suo percorso, cosi come ha fatto Bianca Ceccarelli tanti anni prima riportandone le prime pagine, proprio quelle attraverso le quali l’autrice descrive la manifestazione del 20 marzo del 1982 dei metalmeccanici, alla quale assiste direttamente dalla sua abitazione di via Merulana. Una corteo con una eccezionale potenza fisica, visiva accompagnato dallo sventolare delle bandiere rosse della FLM e da quella atmosfera, tipica delle grandi manifestazioni dei lavoratori, capace di esprimere contemporaneamente fermezza, fantasia e gioia.
 E’ questo il biglietto da visita attraverso il  quale si sviluppa la narrazione di Aldo.

        La Roma Umbertina

 Parlavo della Roma post unitaria ed Aldo ha fatto bene a riportare le analisi di Alberto Caracciolo relative a quel tormentato periodo. Ricordando l’eredità lasciata dal potere temporale della Chiesa al Regno d’Italia: 75% di analfabeti, cultura antiscientifica, spirito di rassegnazione e tanta superstizione. Roma non è una città industriale come Milano o Torino. Nella città è ancora molto influente l’aristocrazia papalina con i suoi palazzi, le ville, le grandi estensioni di terra che arrivano sino al Tirreno, a sud lungo l’agro Pontino  ed a nord a ridosso della Maremma, terra coltivata da una massa enorme di servitù  mal pagata.
 Con il passare degli anni la Capitale acquista  connotati nuovi: si costruiscono Ministeri, Palazzi, Caserme, nuovi uffici, residenze per la nuova burocrazia. E’ in tale periodo che incominciano ad affermarsi i palazzinari e quindi gli speculatori sulle aree fabbricabili, finanzieri  ma si fanno conoscere anche bancarottieri della Banca Romana.
 Questa nuova borghesia emergente stringe un patto scellerato con l’aristocrazia papalina a scapito delle nuove realtà che entrano nel tessuto sociale: gli edili innanzi tutto, ma anche gli immigrati, i disoccupati ed un artigianato di tipo nuovo.
 Gli edili  costituiscono, almeno all’inizio, una grande anonimo esercito che lavora dodici ore al giorno, siano essi uomini, donne o bambini. Creano ricchezza, rappresentano il motore della crescita. Pur costruendo case e palazzi non ricevono un salario adeguato per  vivere in una casa in affitto. Non hanno tutele sul lavoro, mancano di organizzazioni che li sappiano rappresentare
 Ma la dove c’è uno sfruttato che crea ricchezza, là dove esiste una appropriazione indebita del lavoro,  prima o poi è naturale l’insorgere di un conflitto.  E cosi fu!
 Prima conflitti e proteste disordinate, spesso isolate, poi la nascita di nuclei organizzati di difesa ancora in modo spontaneo, organizzati da anarchici, repubblicani e socialisti.
 Il 1882 è un anno importante: Andrea Costaè eletto in Parlamento, viene da Ravenna è il primo socialista ad entrare nella Camera. Un socialista senza Partito perché si dovranno aspettare altri 10 anni prima che questo venga costituito. In quegli anni è aperta la competizione fra anarchici socialisti, repubblicani a creare nuove organizzazioni. Nascono cosi società operaie, società di mutuo soccorso, società di miglioramento e resistenza, cooperative, nasce anche l’Unione emancipatrice dei muratori. Lo scopo non è solo rivendicativo o difensivo ma nella missione costitutiva c’è anche il tema del sapere, della conoscenza, dell’emancipazione. In alcuni di questi circoli dopo il 1890 è presente anche Antonio Labriola. Si tenta, faticosamente di formare una coscienza di classe. Nel 1891 si costituisce a Roma la Camera del Lavoro.
 In questa realtà sofferente e dolorosa ma anche accompagnata da grande speranze e di slanci generosi, si forma la  educazione politico-sentimentale di Aristide Ceccarelli.
 Non sappiamo quando da Ceccano, ove è nato nel 1872, Ceccarelli si trasferisce con i suoi genitori e la sua famiglia a Roma praticando all’inizio l’attività di idraulico e di stagnino, ma Aldo trova fra le pagine del "Giornale del popolo"che poco più che ventenne, nell’interno di un circolo repubblicano respinge l’appello di Labriola teso a finanziare la campagna elettorale  per il  partito socialista tedesco. Proprio per questo disaccordo lascia il partito repubblicano ed aderisce al movimento anarchico.
 Uso il termine educazione politico-sentimentale senza fare alcuna forzatura perché in mezzo alle battaglie politiche erano  presenti i valori ed i sentimenti  sempre dichiarati quali l’amicizia, la solidarietà e l’amore. Per Ceccarelli quello verso la moglie e le figlie Bianca e Fernanda sono sempre una costante nella sua travagliata vita.
 Aristide conobbe la moglie, Adele Bottini, attraverso il fratello di lei fra una segregazione carceraria ed un’altra. Nel 1897 sposò quella che Aldo chiama la bella trasteverina e nonostante le avversità e le durissime prove di vita, i due si amarono fino alla morte.
 L’altro valore era l’onestà. Da più parti, sempre nel libro, troviamo che Aristide dopo aver partecipato ad Amsterdam nel 1907 ad un congresso anarchico, al ritorno riconsegnò alla sua organizzazione 10 lire, poiché questo era il residuo della trasferta che gli era stata anticipata. E’ proprio il caso di dire altri tempi, altro costume politico!
 A chi vuole approfondirne l’educazione sentimentale suggerisco di leggere le lettere che si scambiano Ceccarelli e sua figlia Bianca. Ne viene fuori una intesa, un rapporto eccezionale di sentimenti, di idee e considerazioni tanto da far sembrare che le lettere siano scritte da una stessa mano


    Il  Processo

 Nel libro sono riportate in tutti i particolari le vicende legate prima al processo Acciarito  poi a quello di Aristide Ceccarelli ed altri e le puntuali corrispondenze del "l’Avanti"; " Il Messaggero "; " La tribuna Illustrata ".
Qualcuno si chiederà: cosa sono questi due  processi?
 Il 28 Aprile 1897, l’anarchico Pietro Acciarito, rimasto senza lavoro e disperato, con un pugnale cerca di uccidere il re Umberto 1, che con la carrozza da Porta S. Giovanni sta andando all’ippodromo di Capannelle, a Roma.
 Il re schiva la pugnalata ed è salvo. Acciarito è arrestato, processato e condannato all’ergastolo.
 E’ tutto finito? No, non basta.
 La regina Margherita, la corte, insomma il potere ritengono  che una sola persona non può compiere un attentato. Bisogna scoprire chi ha armato quella mano, chi ha ordito il complotto. Si, questo è il termine che si usa: complotto. Bisogna, inoltre fermare chi istiga all’odio. Bisogna scoprirlo in direzione degli anarchici e dei socialisti.
 Si arresta cosi un certo Romeo Frizzi. Lo si vuole costringere a tirare fuori dei nomi ma costui è completamente estraneo alla vicenda. Viene comunque torturato, bastonato, ucciso. Ed allora che fanno? Lo buttano dalla finestra per poi dire: si è suicidato.
 E’ un film che rivedremo settanta anni dopo con l’anarchico Pinelli.
 Ma non è finita perché il potere ha bisogno del complotto.
 Il Direttore del penitenziario di Porto S. Stefano, ove l’Acciarito è recluso, la polizia con la collaborazione di un ergastolano, Potito, vicino di camera dell’Acciarito, con argomenti vari, premono sull’anarchico  promettendogli la grazia del sovrano se tira fuori altri responsabili.
 L’Acciarito cede ed inventa i nomi di Ceccarelli, Colabona, Diotalevi e Gudini, come lui anarchici e conoscenti.
 Ceccarelli come 70 anni dopo toccherà a Valpreda, viene cosi arrestato e processato. D’altra parte l’anarchico Valpreda venne arrestato per la strage di Piazza Fontana perchè il tassista Rolandi, su pressione della polizia, affermò che  quello che aveva portato alla Banca dell’Agricoltura, dove scoppiò la bomba, era Valpreda.
 Ma non è finita.
 A Roma si istruisce il processo. I quattro sono alla sbarra. Si tengono alcune sessioni ma ad un certo momento arriva un ordine: il processo va trasferito a Teramo perché a Roma sono presenti troppi anarchici e moltissimi sovversivi.
Anche in questo caso il potere anticipa quello che avverrà con il processo Valpreda. Non a Milano, città troppo turbolenta e sindacalizzata, il processo va trasferito a Catanzaro, città tranquilla e lontana, difficile da raggiungere..
 In ambedue i casi comunque, fortunatamente la giustizia trionfò.
 Si, perché a Teramo Acciarito, il falso testimone, raccontò l’intrigo descrivendo  tutti i particolari della trama. Destò scalpore quando lesse in aula una lettera falsa scritta dalla polizia ove la sua compagna gli diceva che aveva avuto da lui un figlio, bisognoso del padre, perchè malato, affamato e quasi moribondo.
 Era stata proprio quella lettera a farlo cedere alle pressioni ed agli inganni.
  Teramo, città tranquilla, è l’epicentro di un grande scandalo nazionale. Inviati speciali, resoconti, delegazioni di lavoratori, fino a quando arriva la sentenza: tutti assolti. Vi risparmio la descrizione delle feste, del corteo di 2000 persone che accompagna i quattro alla stazione.
 Vorrei invece mantenere l’attenzione su un tema molto importante: il clima che si respirava a corte, l’incapacità, la cieca ignoranza a comprendere quello  stava accadendo, i grandi problemi posti e drammaticamente aperti dalla questione sociale.
 Umberto 1 veniva chiamato il Re buono. Anche allora esistevano forzature propagandistiche: Il Re infatti fu presente a Napoli nel 1884, ai tempi del colera, quando morirono circa 15 mila persone. I giornali  caricarono talmente questa presenza da lasciar nascere la leggenda del Re buono.
 Appellativo che rimase anche quando il popolo si ritrova con gli stessi problemi poiché non ci furono mai interventi strutturali per bonificare aree e luoghi idonei a rimuovere l’insalubrità dei bassi da dove l’epidemia era partita.
 Il tema molto discusso ed onnipresente era: perchè un uomo cosi buono e generoso, che ama i propri sudditi è odiato?.
 Nessuno, forse, aveva mai raccontato a corte la repressione dei Fasci Siciliani in Sicilia nel 1894 quando i socialisti posero la questione del latifondo, delle terre incolte, dei minatori delle solfatare, dei bambini che vi lavoravano. Nessuno a questa gente aveva fatto presente della silicosi, della tubercolosi, della insalubrità nei posti di lavoro e nelle abitazioni malsane. Vennero dimenticati i morti, i feriti e le distruzioni avvenuti in quella occasione.
 Non vennero mai valutate  cosa significarono le leggi eccezionali del luglio, del 1894.
 Non dimentichiamo quando avvenne nel 1896 allorché venne organizzata una spedizione militare per conquistare quella che veniva chiamata Abissinia, dominata, si diceva, dal feroce Negus Menelik.
 Il tema non era l’esportazione della democrazia  ma la civiltà di Roma. Finì che un popolo ritenuto primitivo ad Adua sconfisse il corpo di spedizione italiano: 7.000 morti, 1500 feriti, 3.000 prigionieri, oltre che le ingentissime somme sprecate per finanziare l’impresa.
 Esisteva un paese frustrato, depresso per responsabilità delle classi dirigenti ed a corte pretendevano che il Re fosse amato. I problemi venivano risolti a colpi di repressione poliziesca e militare, per devitalizzare, annientare la nuova classe lavoratrice. Chi produceva e creava ricchezza a 30 anni dalla presa di Roma veniva ritenuto un potenziale fuorilegge.
 Ed arriviamo al 1898, ai fatti di Milano. Ceccarelli  ancora sottoposto al processo è recluso e da Roma ( Reginacoeli) si appresta ad essere trasferito a Teramo. Sta per diventare nell’immaginario popolare  un dirigente rispettato e riconosciuto, oggi si direbbe un capo carismatico. Aldo Papetti fa bene a ricordarci nel suo libro che a Milano, a maggio, c’è quella che viene chiamata la rivolta dello stomaco.
La risposta  alla fame ed alla miseria è quella militare.
Il Generale Bava Beccaris, nominato Regio Commissario Straordinario, proclama lo stato d’assedio ed ordina di sparare. Quando la polizia tenterà di arrestare un socialista   che si limitava a distribuire volantini, ci scappa il morto. Le strade si riempiono di manifestanti, si alzano barricate. E’ la Milano che ricorda, su scala molto più amplificata, quella delle cinque giornate di 50 anni prima.
 Il Generale ha dato l’ordine di sparare a vista, pertanto, non viene risparmiato nessuno.

 Come alla scuola Diaz

Non risparmiarono neanche il Convento dei Cappuccini. Cosi come successe alla scuola Diaz a Genova nel 2001, alla stessa maniera tale Convento venne ritenuto un deposito di armi , un covo di sovversivi.
 Alla Diaz trovarono giovani che dormivano, inermi e per addebitarne la pericolosità qualche poliziotto in cerca di facili promozioni, vi collocò due bombe molotov. A Milano, nel Convento, trovarono 40 mendicanti che aspettavano dai frati il piatto di minestra. Quaranta inermi ed altrettanti frati vennero colpiti con i calci di fucile, messi in catene e portati in carcere. Per due giorni il Generale con una mentalità maniacale userà perfino colpi di mortaio e di cannone fino a quando, sfiancata ogni opposizione, farà sapere al Re che " la rivoluzione è stata stroncata ". Si guarderà bene di informarlo che sulle strade ci sono 80 morti e 450 feriti oltre a diverse casupole incendiate e devastate. I Tribunali adesso possono lavorare intensamente per evidenziare il complotto: verranno condannati Turati, Bissolati, Costa, Anna Kuliscioff e Don Albertario. Il Governo chiude le Università di Roma, Napoli, Bologna e Padova, scioglie le Camere del Lavoro ed i circoli socialisti e fa tacere 100 giornali. La cosa ancora più vergognosa è che al Generale massacratore viene concessa la Croce dell’Ordine Militare di Savoia.
 Dopo tanta repressione a corte e sui giornali vicini al Re ci si chiedeva ancora: perché tanto odio verso un Re buono, generoso e pio?
 Non so se ridere, scuotere la testa o rimanere allibito.
 Mi fermo qui perchè Maurizio Cerroni e Domenico De Santis debbono ancora intervenire. Avrei voluto parlare di come il nostro concittadino fosse contro ogni attentato. Come capisse che dopo la morte di un Re arriva sempre un altro a sostituirlo e che dopo qualsiasi attentato riuscito o meno, si scatenava inesorabilmente la reazione poliziesca  venendo colpite ancora  di più le già limitate libertà di organizzazione e decapitate la stesse degli uomini migliori
 Mi dispiace non poter parlare della esperienza argentina  di Aristide, commentare il suo libro " L’Anarchia volgarizzata", riportare il pellegrinare di carcere in carcere e della sua fibra fisica sempre più menomata, descrivere il suo maestoso funerale, avvenuto nell’ agosto del 1919, con un caloroso tributo di popolo.
 Mi rincresce fermarmi ma spero che questa storia venga ancora ripresa perché possiede eccezionali riferimenti alla attualità che stiamo vivendo.


Comune di Ceccano, 18 dicembre 2009
Angelino Loffredi

 
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