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L'eccidio di Porzus

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L'ECCIDIO DI PORZUS


Intendo partecipare a tale discussione riportando alcuni momenti di quello che viene chiamato l’eccidio di Porzus, provare a delinearne il contesto, oltre che le polemiche successive e i silenzi.

Di cosa si tratta ?
In verità l’eccidio non avviene nella malga di Porzus ma nel comune di Faedis, allora in provincia di Udine, oggi in quella di Pordenone. In quella località si consumò il più atroce atto di sangue fra combattenti antifascisti. L’eccidio  rappresenta il momento più tragico e doloroso di ostilità e divisione, fortunatamente l’unico, avvenuto durante la lotta di Liberazione.

Cosa avvenne ?
Nei giorni che vanno dal 7 al 18 febbraio 1945 alcuni  partigiani della seconda Divisione Garibaldi, organizzazione militare di ispirazione comunista,  in luoghi diversi uccidono un numero imprecisato di partigiani (16 o 20) appartenenti alla Brigata Osoppo, formazione militare vicina agli azionisti di Giustizia e Libertà e che vedeva presenti nelle proprie file anche cattolici, liberali e seguaci del generale Pietro Badoglio.
 Queste due formazioni operano nel territorio friulano sin dai mesi successivi all’8 settembre. Pur avendo ispirazioni ideologiche e politiche diverse riescono durante l’estate 1944 ad unificare i comandi militari creando la  Divisione Osoppo Garibaldi  e fronteggiare l’aggressività nazifascista.

Quanto e in quale contesto avviene la rottura fra le due formazioni partigiane?
E’ un susseguirsi di avvenimenti concatenati, a volte alimentati anche da paure e da sospetti che porta ad un corto circuito incontrollabile, e quindi alla tragedia.
 Velocemente indico momenti  che ritengo essere stati decisivi a precostituire l’eccidio. Parto dal proclama del generale inglese Alexander, che, all’inizio dell’inverno 1944, invita le formazioni partigiane di tutta Italia a fermare le ostilità,  rinunciare alla guerriglia e tornare a casa. Tale indicazione non viene rispettata. Tutto ciò avviene nel momento in cui sul territorio friulano si avvia una offensiva nazifascista. Da un’altra parte, al contrario, l’armata di liberazione Jugoslava  rassicura i partigiani italiani, li accoglie aldilà dell’Isonzo, in territorio Jugoslavo,  li rifornisce, proponendo l’ unificazione delle forze italiane con quelle Jugoslave. Solo che tale proposta viene accompagnata anche dalla pretesa  che una parte del  territorio friulano, chiamata Slavia Friulana, a ridosso del confine sloveno, debba appartenere alla repubblica Jugoslava.

 Questa proposta non viene accolta dai militari della Osoppo mentre viene presa seriamente in considerazione dai vertici della Brigata Garibaldi che avrebbero sottoscritto un accordo segreto con il 9° Corpus Jugoslavo.
 Il clima di sospetto aumenta quando si diffonde la notizia che  militari della Osoppo hanno avuto contatti con i soldati della repubblica di Salò, dai quali è stato proposto di partecipare a un Fronte unico contro lo slavo comunismo, per contrastare la presenza Jugoslava.
 Il dato vero è che pur essendoci stati contatti fra Osovani e uomini della X Mas, non esistono momenti di accordo operativo fra queste  due componenti. Si sviluppa, purtroppo, fra le forze della Resistenza il clima di sospetto, aggravato dalla presenza nel campo della Osoppo di una donna, chiamata Elda Turchetti,
ritenuta, dal controspionaggio inglese, una spia dei tedeschi. Inoltre arrivano notizie del diverso trattamento riservato da parte dei nazifascisti verso i prigionieri appartenenti alle due formazioni. I garibaldini vengono fucilati immediatamente o torturati mentre agli ossovani  si manifesta comprensione.
 Fra i garibaldini si evoca il tradimento. Secondo le direttive date dal Comitato di Liberazione Alta Italia in caso di tradimento è prevista la fucilazione.
 Sulla base di tale presunto e mai dimostrato tradimento
della Osoppo avviene il massacro.
 
 E’ il 7 febbraio 1945 quando Mario Toffanin con altri partigiani appartenenti alla Garibaldi risale le pendici dei  monti Topli-Uork, dove si trova il Quartiere Generale della Brigata Osoppo. Con un sotterfugio disarmano il comandante della brigata, il capitano degli alpini Francesco de Gregori, zio del cantautore,  lo ammazzano con altre tre persone, compresa la Turchetti. Altri Osovani fuggono, alcuni feriti, come Guido Pasolini, altri vengono presi  prigionieri e successivamente
portati in località Bosco Romano, dove prima  vengono interrogati e successivamente, in giorni diversi, fucilati, compreso il fratello di Pasolini. Costui era stato fatto nuovamente prigioniero, forse per la delazione di una farmacista, alla quale si era rivolto per curare la ferita.

 Il grave fatto di Porzus non avrà ripercussioni nazionali. Rimarrà invece vivo e presente fra le popolazioni del luogo. Il silenzio sulla vicenda da parte garibaldina favorisce il nascere di notizie esagerate e non vere: che il numero dei garibaldini partecipanti all’assalto sia di cento persone, cifra eccessiva. Che gli uccisi della Osoppo siano venti quanto invece sono sedici perché vengono conteggiati anche alcuni partigiani garibaldini uccisi dai nazisti. Insomma attorno alla vicenda si aprono ampi spazi di propaganda.  Ritengo utile a tale proposito far conoscere il modo lacerante come il dramma viene vissuto da Pier Paolo Pasolini.  Lo scrittore avverte da subito come il grave fatto di sangue si presti ad interpretazioni che colpiscano il prestigio della Resistenza. Ne è angosciato, diviso fra le ragioni che lo portano a sostenere le scelte del fratello e la difesa della Resistenza. In occasione del 3° anniversario della tragedia, scrive al direttore del Mattino del popolo, un giornale diffuso nel Veneto.
 Egli non accetta che, così scrive " si debba trasferire tutto l’episodio senza limitazioni, su un piano di patriottismo in funzione antislava e anticomunista" L’intellettuale riconosce e  scrive che" i comunisti preferiscono però passare sotto silenzio la questione. Tutto ciò è inaccettabile. I miei compagni comunisti farebbero bene, io credo ad accettare la responsabilità, prepararsi, a scontare, dato che questo è l’unico modo per  cancellare la macchia rossa sul rosso della loro bandiera "

La lettera di Pasolini è del 1948, scritta alla vigilia della campagna elettorale. La richiesta di verità o di conoscere esaurientemente i fatti non ottiene alcuna risposta.
 Si conosce poco dello stesso Mario Stefanin. E’ un operaio padovano, comunista, che lascia l’Italia prima della guerra. Egli sin dall’inizio dell’ostilità militari combatte con i partigiani di Tito, poi nel 1944 si arruola con le Brigate Garibaldi. Non si è mai saputo chi gli ha dato l’ordine del massacro. Il gruppo creato da lui dura dal 2 fino al 17 febbraio. Compiuta la strage se ne perdono le tracce.
 Toffanin viene processato nel 1952 con 36 partigiani appartenenti al suo gruppo e condannato all’ergastolo, che non sconterà, perché nel frattempo si era rifugiato in Yugoslavia. Successivamente verrà graziato ma non tornerà in Italia. Il capitano De Gregori verrà insignito della medaglia d’oro alla memoria.
 I processi costituiscono una pagina inquietante perché dominati dal clima dell’epoca, da caccia alle streghe contro i comunisti e contro la Resistenza, con testimoni d’accusa che negli anni successivi troveremo nell’associazione segreta Gladio o ai vertici militari.
 Nel luglio 1961 su Vie Nuove, settimanale comunista con il quale collabora Pier Paolo Pasolini, si riapre la scabrosa questione. Un lettore invita Pasolini a raccontare la morte del fratello. Il poeta accetta e lo fa riportando tutti i particolari che conosce. Conclude scrivendo
" Io sono orgoglioso di lui ed è il il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione che mi obbliga a seguire la strada che seguo.Che la sua morte sia avvenuta così in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazione e sofferenze: e quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convinzioni, e va a fondo delle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità ".
Sono passati 16 anni dalla fine della guerra e su un giornale comunista un giornalista prende le parti del fratello Ossovano. E’ un fatto positivo ma la verità in tutti i particolari non viene fuori e ancora non emerge completamente.
 Al Festival di Venezia, il regista Martinelli, nel 1997 presenta il film Porzus, finanziato dal ministero della Cultura, per l’alto valore documentaristico.  Appare il momento finale di questa storia ma non è finita. Mario Toffanin, denuncia la produzione per falsità e il magistrato dispone che sul film debba essere precisata la dicitura che esso è un film di fantasia e che non ha niente a che fare con fatti veramente accaduti. Insomma il film da una parte ha un valore storico documentale e da un’altra è fantasia: una vera maledizione. Il film non circola nelle sale cinematografiche.
 Ho provato a mettere insieme pezzi di tutta la vicenda e sicuramente mancheranno altri. Se debbo tirare una momentanea conclusione mi sento di dire che la posizione di Mario Toffanin è indifendibile. La fucilazione verso i traditori era prevista dalle indicazioni del Comitato di Liberazione Alta Italia ma per avvenire dovevano prima esserci un processo e una sentenza. Queste circostanze non emergono, lasciandomi pensare che ci troviamo di fronte da parte dello stesso ad una guerra privata.

Angelino Loffredi
16 marzo 2016


 
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