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Diario di prigionia del Capitano veterinario Goffredo Bianchi

LIBRI > Ceccano nel tempo


Questo " Diario riassuntivo dall’armistizio alla liberazione", scritto dal dottor Goffredo Bianchi, capitano veterinario, nato ad Arpino e per oltre venti anni presente e attivo a Ceccano, mi è stato messo a disposizione dal figlio Emilio.
Con lui  ho condiviso negli anni immediatamente dopo la guerra, giochi,  gioie e spensieratezza.
Da piccolissimi eravamo inseparabili e già dall’età di quattro anni avevamo due luoghi dove giocare: il piccolo slargo su via Villanza, dove abitavamo e la sua camera dei giochi. Ambedue gli spazi ci apparivano grandi e preziosi.
Se la camera dei giochi, sicuramente per responsabilità nostra, era caotica e disordinata, lo studio del dott. Bianchi era invece sempre ordinato e silenzioso tanto da incutermi rispetto e timore. Dalla biblioteca, presente in questa stanza, Emilio  mi mise a disposizione il primo libro che lessi con avidità " Il giornalino di  Gian Burrasca ". Successivamente ebbi l’opportunità di conoscere Salgari, Verne e London con i loro eroi avventurosi.
Leggere queste pagine di diario per me ha significato ripercorrere  un lungo periodo della vita, ritrovare persone care ed episodi che avevo dimenticato.
Tale possibilità è avvenuta perchè  Emilio ha gelosamente conservato per oltre sessantacinque anni le pagine scritte dal padre durante la prigionia e quando gli ho chiesto di raccontarmi qualcosa su questo periodo cosi drammatico e per lunghi tratti sconosciuto, senza tentennamenti mi è venuto incontro facendomi leggere tale eccezionale documento storico.
Per anni i drammi e le tragedie della guerra sono stati tenuti nascosti pubblicamente  e ricordati solo all’interno delle famiglie. Raramente è stata cercata una condivisione. I lutti, il sangue, la fame e la povertà erano  stati rimossi come se questi avessero rappresentato una colpa.
Non è  una coincidenza se  questo diario viene fatto conoscere nello stesso momento in cui si possono leggere  memorie, scritti e lettere di tanti internati, raccolti nell’interessantissimo libro scritto da Avigliana e Palmieri titolato " Gli internati militari  italiani ", presentato in questi giorni a Ceccano. Ambedue le circostanze sicuramente rappresentano un nuovo aspetto dell’impegno nella ricerca e negli approfondimenti di vicende storiche  recenti.
Le vicende descritte dal dott. Bianchi si ricollegano direttamente con quelle dei settecentomila militari che preferirono rischiare la vita nei campi nazisti in Polonia ed in Germania per non aderire al Governo di Salò, creato da Hitler e Mussolini. E’ significativo che egli, dopo l’otto settembre, scriva "Tutti respingiamo la via della viltà e del disonore: le armi i tedeschi vengano a prendersele ! "
Leggendo il diario, due aspetti  mi hanno profondamente colpito: il primo, rappresentato dalla lunga ed estenuante via crucis vissuta fra  fughe, ritirate e trasferimenti coatti. In tutto vengono indicate venti tappe e l’attraversamento di undici Stati nazionali. Per il dottor Bianchi non esiste mai riposo: viaggi, fame, pidocchi e mortificazioni subìte ogni qualvolta respingeva le lusinghe ed i privilegi offerti per passare con i repubblichini di Salò.
Le tante e lunghe distanze percorse, le tappe di tale calvario sono state evidenziate con professionalità e pazienza da Francesco Giglietti  permettendo così all’attento lettore di comprendere meglio il dolore, la sofferenza e le inevitabili angosce a cui Bianchi fu sottoposto.
Lo scritto è senza enfasi e retorica, sintetico ed essenziale; mai appare sconforto o cedimento; il ricordo della moglie Maria, ora prossima ai cento anni, e del figlio Emilio gli creano tristezza e malinconia ma in lui è presente una forza, questa sì inesauribile, che non lo abbandonerà mai: il pensiero costante di una prossima liberazione.
L’altro aspetto che mi ha colpito riguarda il fatto che mentre tutti i militari italiani, nei giorni successivi l’armistizio, vengono fatti prigionieri, Bianchi ed i suoi commilitoni non si arrendono ai tedeschi, si muovono dal Montenegro, attraversano la Croazia, arrivando fino in Slovenia. Meritano una attenta ed approfondita riflessione queste righe drammatiche e commoventi: " Abbandoniamo tutti gli automezzi dopo averli distrutti, il materiale più pesante, il bagaglio inutile: sono costretto ad abbandonare la cassetta con la mia roba personale. Ci gettiamo allo sbaraglio, incontro all’ignoto. Ci sorregge ancora un filo di speranza. Urtiamo duramente contro il nemico; perdiamo uomini, armi, viveri. I reparti sono spezzettati, perdiamo il collegamento con il comando, siamo circondati, i tedeschi incalzano: cadiamo nelle loro mani il pomeriggio del 7 ottobre ".
Per 30 giorni, dunque  500 soldati e 19 ufficiali della Taurinense si muovono ancora, combattono indomiti: una eroica vicenda non solo da ricordare ma da conoscere meglio.
Non mi dilungo in altre considerazioni. Lo scritto risulta chiaro e ineccepibile sotto ogni aspetto. Non mi resta dunque, che augurare buona lettura e buona riflessione.

Angelino Loffredi  


 
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