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Intervento promosso dall' Associazione famiglia futura 25-11-2015

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Per tracciare l’itinerario delle violenze avvenute nella 2a  guerra mondiale nella provincia di Frosinone è necessario partire dall’inizio.
 Il CEF, Corpo di Spedizione Francese, genericamente chiamato come "marocchini", sbarca in Sicilia a luglio del 1943, a fianco degli angloamericani con 800 marocchini.
 Già dai primi scontri viene riconosciuto loro una particolare tecnica cruenta e spericolata, gradita alle alte cariche militari e allo stesso generale americano Patton.
Ma, fin dall’inizio, si verificano atti di violenza e stupri sulla popolazione e a nulla valgono le coraggiose iniziative che i singoli cittadini siciliani intraprendono per proteggere le loro donne, e nessun provvedimento viene preso dalle autorità competenti.
Se le autorità militari tacciono i siciliani autonomamente rispondono: dodici marocchini vengono trovati morti con mutilazioni ai genitali.
Questo il quadro di presentazione delle truppe del CEF che, dovunque arriveranno, semineranno morte, terribili violenze e furti di ogni genere.
 Nella provincia di Frosinone  arrivano nel gennaio del 1944 distinguendosi  nella 1a  battaglia di Cassino.
 Nei comuni di  Vallerotonda, Viticuso, Acquafondata e Sant’Elia Fiumerapido compiono, anche se limitate, le prime violenze in terra ciociara, ma  vengono tacitate.
 Nel mese di marzo queste truppe vengono spostate sul Garigliano e da maggio, quando incomincia l’aggiramento della Linea Gustav, la loro forza è quantificabile a 4 divisioni per un totale di oltre 100.000 soldati.
 Il 12 maggio sono le truppe del CEF che sfondano la linea Gustav, nell’estrema parte occidentale del Garigliano. Il loro percorso prevede l’avanzata in direzione Nord-Est, muovendosi alla destra dei fiumi Garigliano, Liri e Sacco. Sarà una marcia vittoriosa dal punto di vista militare, ma portatrice di una lunga scia di sangue e di dolore verso la popolazione civile.
 I militari del CEF incontrano nella loro progressione, i paesi a ridosso dei monti Aurunci, Ausoni e Lepini, e ovunque si abbandonano a nefandezze inaudite, colpendo con stupri e violenze persone inermi: donne, bambini e uomini.
 Il paese più colpito, dalla 3a Divisione Algerina, risulta essere Esperia dove, nella sola contrada Polleca, sembra che siano state violentate 600 donne.
 Ancora violenze, in numero elevato, si verificano nei comuni di Pico, Pastena, San Giovanni Incarico,Campodimele, Castro dei Volsci, Lenola, Vallecorsa, Amaseno, Villa S.Stefano, Giuliano di Roma, Ceccano, Patrica, Supino e Morolo Sgurgola.
 Un’ informativa che il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri invia il 25 giugno del 1944, alla presidenza del Consiglio, fa presente che nei comuni di Giuliano di Roma, Patrica, Ceccano, Morolo e Sgurgola in soli tre giorni si sono verificati 418 casi di violenza di cui 3 verso uomini e 29 omicidi .
 Attraverso ricerche effettuate presso l’Archivio di Stato di Frosinone è stato possibile individuare che a Castro dei Volsci, in località Grotte, si sono verificati in un solo giorno, più di 115 stupri e dato più agghiacciante, è che di questi, circa 40 furono effettuati su bambine fra gli 8 e 17 anni.
 Il nostro territorio ha vissuto il passaggio della guerra in maniera devastante e traumatica. Dapprima l’occupazione tedesca, con razzie, rastrellamenti e fucilazioni, lasciando una popolazione affamata e ridotta allo stremo, contemporaneamente i bombardamenti angloamericani, poi, quando si credeva arrivata la fine di ogni violenza e prevaricazione, ci si è trovati, di colpo, a subire inaudite e impreviste violenze operate su quella parte della popolazione più debole e indifesa.
 Le donne violentate furono moltissime, ma tante furono le resistenze opposte dai familiari, che in molti casi perdettero la vita. Molti i casi di risposta da parte di cittadini, portati a buon fine, talvolta anche con le armi, ai tentativi di prevaricazione e altri casi dove l’organizzazione degli uomini  scoraggiò le violenze.
 A Giuliano di Roma, ad es. un generoso medico si presenta al comando francese, fa punire due marocchini violentatori e ottiene che una lunga carovana di cittadini, sfollati a Monte Acuto, possano ritornare salvi ed incolumi al paese, accompagnati proprio da militari del CEF.
 Certo si tratta di atti coraggiosi, limitati e quasi sempre non menzionati ma potrei elencarne altri anche a Ceccano e conosciuti solo attraverso testimonianze orali.
Un aspetto negativo è costituito dal fatto che le notizie scritte risultano essere molto limitate. Le uniche in grado di farci capire l’entità del dramma, le ho trovate nei diari, nelle relazioni dei parroci spedite al Vescovo di Ferentino e in una lettera che lo stesso  Vescovo Tommaso Leonetti invia al Papa.
 Tutti questi scritti però sono velati dal pudore, da una sorta di riservatezza che non rende palese una verità cruda e drammatica. Si tende, da subito, a dimenticare.
Un dramma, quello delle violenze, che ha lasciato un segno indelebile sulla pelle di poveri esseri innocenti, che si sono ritrovati soli a sostenere colpe mai commesse, vergogne da sopportare e malattie veneree che in molti casi hanno portato alla morte.
Un capitolo penoso, drammatico e mai completamente risolto, che ha visto le donne abbandonate al loro destino di  solitudine, di miseria e squallore.
Molte di loro, dopo i tragici avvenimenti, furono abbandonate dai loro mariti, altre furono relegate ai margini di una società misogina e sessuofobica.
 Furono lasciate sole a sopportare un peso non cercato, con sensi di vergogna, di inferiorità e d’impotenza. Furono relegate a una esistenza squallida e priva di affetti.
Ancora oggi, a 70 anni dall’accadimento dei fatti, non è possibile fare una stima corretta delle violenze avvenute nella nostra zona.
 Nell’ottobre del 1956  i dati ufficiali indicano che su tutta la provincia di FR si sono verificate 4.932 violenze, ma  altre stime indicano un numero molto più elevato.
Dati ancora discordanti, se teniamo conto del numero di domande  per indennizzo delle violenze subite, presentate tra il 1946-47 e liquidate tra il 1970-74.
 Dall’analisi ci si rende conto che non si arriva alla verità perché furono presentate domande anche da chi non aveva subito violenza, mentre tra quelle che ne avevano diritto, non tutte vollero presentarle.
 A questo proposito è interessante riportate una nota del comando dell’Arma dei carabinieri datata 18 febbraio 1947 che afferma: "A Giuliano di Roma sono molto comuni i casi che la nominata in oggetto, ha dichiarato di non voler essere più risarcita su quanto prima richiesto, per celare il fatto ".
 Tale nota rappresenta la spia di un sentimento diffuso, di un costume prevalente, di una morale ottusa che di fatto penalizza la donna.
 Può sembrare incredibile ma il 15 ottobre 1951 una manifestazione promossa dall’Unione Donne Italiane e tenuta al Supercinema di Pontecorvo, per porre all’attenzione delle autorità governative, la questione di cui oggi stiamo parlando, venne ostacolata dalla Questura. Infatti di reati sessuali non si poteva parlare. Le donne provenienti da Vallecorsa, Ceccano, Castro dei Volsci, Esperia vennero fatte scendere alle porte di Pontecorvo dagli autobus, spintonate e disperse. Con ostinazione queste ripresero a marciare a piedi, arrivarono al Supercinema, e alcune di queste presero la parola  trasformando la manifestazione in un clima appassionato e commovente.
 Quando nell’aprile del 1952 alla Camera si doveva discutere delle violenze sessuali, tramite una interpellanza della deputata comunista Maria Maddalena Rossi, la seduta si tenne in  notturna. Perché le violenze erano sessuali e di sesso non si poteva parlare in una sede istituzionale.
 Ecco perché ritengo che un plauso, vada fatto agli amministratori di Castro dei Volsci che nel lontano giugno 1964 eressero il Monumento alla Mamma Ciociara dichiarando con coraggio e rimuovendo paure e vergogne,  che in quel paese tante donne erano state violentate, mutando così il dolore, da un atto privato ad un’ ampia condivisione.
 A conclusione mi preme sottolineare che tutte le guerre hanno causato simili nefandezze. La guerra in Bosnia come in altri conflitti, Ruanda ed ora in Siria, causano, ancora oggi, stupri di massa.
 C’è la necessità di non dimenticare mai che lo stupro nelle guerre è stato sempre una costante ed ha rappresentato anche simbolicamente il dominio del vincitore sul vinto, e va sottolineato con forza, che lo strumento è stato sempre la donna ed il ruolo che in questi casi ad essa si assegna. Ancora oggi quella di oggetto, privo di dignità e rispetto. Sia in guerra con gli stupri, sia oggi in pace  con le violenze fisiche, le uccisioni e gli stupri. Ricordiamo quindi gli avvenimenti di guerra anche per contribuire a eliminare una cultura ancora dominante, maschilista e prevaricatrice.
 Per quel che ci riguarda più direttamente, purtroppo, devo constatare che la lunga stagione per i diritti delle donne non è ancora conclusa. Molti sono ancora i problemi da affrontare e risolvere. Nel campo del lavoro ancora forti sono le discriminazioni di genere. Il lavoro della donna vale il 30 per cento in meno rispetto a quello dell’uomo (spot pubblicitario).
 Ma soprattutto per alcuni la donna è considerata ancora una proprietà, uno strumento di possesso.
 Allora mi chiedo: In che misura è cambiata la mentalità sulla donna da 70 anni ad oggi? Le donne come vengono considerate dalla coscienza comune?
 I dati del Ministero degli interni sono allarmanti: In Italia nel 2014 si sono verificati 177 femminicidi e 3.624 sono le violenze sessuali registrate tra il marzo 2014 e 2015.
 Un numero intollerabile che ci porta a serie riflessioni e che ci autorizza a non abbassare la guardia.

Lucia Fabi


 
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