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PRESENTAZIONE
II periodo dell’industrializzazione segna una tappa molto importante della storia di Ceccano.
Il passaggio da un ‘economia sostanzialmente legata alle vecchie tradizioni contadine a quella moderna, più vicina ai modelli delle grandi città, portò con sé un carico di contraddizioni che ancora oggi sono oggetto di indagini e discussioni.
Dal quel periodo, Ceccano ha ereditato sicuramente un maggior benessere economico legato all’incremento delle attività, al potenziamento dei servizi e dei trasporti, alla nascita di scuole che hanno migliorato la vita, non solo del cosiddetto centro urbano ma anche delle contrade, una volta così isolate dal resto del territorio.
Purtroppo la città ha dovuto affrontare anche problematiche nuove fino ad allora sconosciute per un centro della Ciociaria, sopratutto nel campo ambientale e sociale.
Per meglio comprendere anche il periodo in cui viviamo, riteniamo che gli spunti offerti dall’opera di Loffredi possano essere molto utili per coloro che, mossi dall’intento di ricordare, di capire, oppure per semplice curiosità, vogliano aprire una finestra sul nostro recente passato.
C’è da dire comunque che l’Autore, pur avendo vissuto i fatti come diretto protagonista riesce ad assumere il ruolo di cronista distaccato, passando dalla descrizione di vicende popolari a più profonde analisi sociali e politiche.
Le linee con cui si dipingono personaggi e protagonisti dei diversi episodi fanno inoltre emergere sfumature tipiche e comuni che caratterizzano il ceccanese: semplice ma determinato, agguerrito in politica ma leale.
Negli anni riportati nel libro, infatti, erano i ceccanesi a portare la democrazia nelle fabbriche, nelle scuole, nei posti di lavoro del Circondario. I ceccanesi erano quelli che davano una speranza e invitavano gli altri ad alzare la testa.
La pubblicazione dell’opera, a cura dell’Amministrazione Comunale, avviene con un intento ben preciso: in un epoca così colma di repentini cambiamenti, ci pare importante fissare certi ricordi e far sì che dalla lettura di questi avvenimenti si apra la riflessione su momenti che, anche se ancora vicini dal punto di vista cronologico, potrebbero sembrare a molti lontani e superati, cadendo così inevitabilmente del dimenticatoio.
L’ASSESSORE ALLA CULTURA IL SINDACO
Fabio Langiu Maurizio Cerroni
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Il giorno di Natale del 1991,Michail Garbaciov, dopo essere stato tradito dai compagni di partito e travolto dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, abbandonava il Cremlino. Lasciava quelle stanze da dove, per sei anni, aveva alimentato la speranza che si potesse creare un ordine mondiale basato sulla pace e sul diritto dei popoli e dove aveva strenuamente lavorato perché l'esperienza realizzata con la rivoluzione di ottobre potesse essere rinnovata e democratizzata all'interno del sistema sovietico.
In quello stesso periodo si era consumato il mio distacco dal PCI-
Al segretario della sezione, con amarezza e sofferenza, per motivare il mio dissenso, avevo scritto che si era determinata, nell'interno della sezione, la perdita del primato della politica sulle attività economiche, con le quali il PDS si voleva collegare, ricordando, inoltre, che il PDS aveva assorbito metodi, il costume, il modo di ragionare degli avversari. Per me si era annullata la differenza tra la sezione del PDS e quella degli altri partiti. Niente ne caratterizzava valori o progetti alternativi.
Erano questi gli anni dei fasti del pentapartito. Assistevamo alle grandi sfilate mondane e televisive di Ministri, Assessori e portaborse; diventavano sempre più evidenti il conformismo e la piaggeria di giornalisti e conduttori televisivi nei confronti di uomini politici che sapevano mostrare solo arroganza ed un grande vuoto di idee. Sembrava che quel regime dovesse essere eterno, mentre intorno si palpavano incertezze e disorientamento.
In questo scenario locale, nazionale ed internazionale, triste ed amaro, è maturata in me l'idea di scrivere «Gli anni dell'industrializzazione e dell'impegno».
Di fronte a tante delusioni ed alle sconfitte di una generazione, un quesito si andava e mi andavo ponendo: in Italia era valsa la pena per milioni di uomini e donne avere dedicato la loro esistenza a una causa oramai ritenuta perdente? Quante persone in quei momenti erano sballottate dagli eventi e cadute in crisi, rinunciavano alla lotta o, inavvertitamente, accettavano i metodi e le idee degli altri, proprio quei metodi e quelle idee per tanto tempo strenuamente combattuti ? Erano giorni terribili! Possibile che anni di impegno, di risultati, di ricche esperienze dovessero sparire, far perdere ogni traccia della loro esistenza passata?
La risposta doveva essere data da chi queste esperienze le aveva vissute, come protagonista, alle nuove generazioni ed a coloro che la fase attuale vivevano con rassegnazione o trasportati alla deriva.
Si doveva mantenere, infatti, la memoria di un passato recente che non era mai stata scritta e dovevano essere in particolar modo riportate le condizioni vita e di lavoro di uomini e donne, oltre che l'impegno di moltissime persone.
La risposta ai quesiti ed ai dubbi nello stesso tempo doveva fotografare i mutamenti che negli anni in questione andavano avvenendo ed evidenziare nettamente gli obiettivi posti di volta in volta, come pure le lotte che avevano coinvolto, qui a Ceccano, molti cittadini, i risultati concretamente ottenuti, oltre che delineare gli scenari e gli orizzonti aperti grazie a queste lotte e a questi risultati.
Il lavoro voleva e vuol essere una ricerca ed un approfondimento sul periodo dell'industrializzazione e nello stesso tempo ricordare un momento della storia e della vita dei ceccanesi.
Il periodo scelto è quello che va dal 1968 all'inizio del 1972: gli anni delle epocali trasformazioni del territorio provinciale e cittadino e del passaggio dalla società contadina a quella industriale.
Gli aspetti statistici, quantitativi e numerici sono puntualmente riportati, per conoscere l'entità delle modifiche, ma non costituiscono il nucleo centrale del lavoro; alla base dello stesso, infatti, vengono posti i problemi e le esigenze primarie della popolazione e gli strumenti di volta in volta creati ed utilizzati per affrontarli e risolverli.
Negli anni sopra indicati, Ceccano cambia radicalmente da ogni punto di vista:da una situazione ferma e stagnante, caratterizzata da fatalismo e rassegnazione, si passa alla consapevolezza della necessità dello stare insieme. Dall'isolamento individuale, dunque, al lavoro, all'attività, alla lotta sostenuta nel gruppo.
L'idea è nata per ricordare e lasciare una traccia concreta di una fase di passaggio della nostra società cittadina, ma anche per difendere una storia comune e preservarne alcuni caratteri originali. Una storia dunque da custodire orgogliosamente, a cui si accompagnava però malinconia e tristezza per un passato che si riteneva oramai superato o meglio «sconfessato» dalla realtà.
Ma in questi anni è accaduto il finimondo: la situazione è completamente modificata.
È vero che il quadro generale non è molto tranquillizzante, anche perché la caratteristica dominante sembra essere la mobilità imprevedibile delle opinioni.
La scoperta di tangentopoli ha sollevato il velo di ipocrisia e di menzogna su cui si reggeva un sistema. Gli intoccabili, per quanto ancora si agitino, minaccino, cerchino di nascondersi e riciclarsi sotto le spoglie del «nuovo» sono in difficoltà. È crollato l'impianto su cui si reggevano la forza e l'inganno; la crisi economica, inoltre, mette in evidenza una effimera economia fatta di assistenzialismo, protezionismo e gravi storture.
Il lavoro è stato ideato per ricordare, ma oggi in questo convulso periodo può essere utile per poter affermare che non esistono soluzioni miracolistiche e preconfezionate, idonee a risolvere la crisi che stiamo vivendo.
Non possiamo dare deleghe in bianco ad uomini forti, né seguire la moda del «nuovismo», che sempre si presenta per nuovo ma spesso serve per puntellare il vecchio. Il trasformismo, insomma, è duro a morire.
La verità è che un mondo sta crollando, ma è altrettanto vero che non se ne sta costruendo uno nuovo e migliore. La distruzione è molto più rapida e dirompente rispetto ai ritmi di costruzione.
Tutto questo non basta, non è sufficiente per costruire una seconda fase della nostra repubblica.
Sia chiaro che il libro non è stato scritto per invitare a fare come si fece venticinque anni fa, perché la storia e la nostra vita non si ripresentano mai alla stessa maniera. Un'esperienza, però, può essere ragionevolmente presa seriamente in considerazione: senza organizzazioni alle spalle e senza l'intervento attivo e l'impegno costante dei cittadini non si costruisce niente di stabile e di duraturo, nè si possono mettere le radici per un nuovo ordine basato sulla giustizia e sulle pari opportunità. Impegno che si può esprimere sia attraverso l'associazionismo, il volontariato, il sindacato, i movimenti in generale, e sia attraverso i partiti.
Si, i partiti! Non mi sento ,infatti, di fare scommesse sulla loro rapida scomparsa. Certo non potranno essere più come li abbiamo conosciuti, ma ancora oggi sono convinto che se fossero guidati da alcuni valori, avessero un progetto per uscire dalle emergenze e fossero animati da spirito di servizio, assolverebbero ad una funzione utile e necessaria, e rimarrebbero ancora sulla scena politica.
Così come la prima repubblica non fu un regalo che ci venne consegnato da pochi giuristi illuminati, ma venne strappata dall'impegno e dalla sofferenza di milioni di cittadini, alla stessa maniera la seconda repubblica non sarà un omaggio di poche persone intelligenti.
Di fronte ad un futuro incerto ed inquietante dominato dalla disoccupazione e dalla nascita di nuovi poteri criminali è necessario che ognuno faccia la propria parte: i magistrati, i giornalisti, i politici, gli uomini dell' economia, ma anche ed in particolar modo i cittadini; quest'ultimi non rimangano indifferenti a guardare, siano presenti, attivi ed intervengano direttamente.
La seconda repubblica sarà forte ed avrà robuste radici democratiche solo se sarà ampia e profonda la loro partecipazione per creare una dialettica dell'alternanza fra forze con valori, programmi ed interessi completamente diversi.
Capitolo1-
Bamboccio
« È Bamboccio» risponde l’altra con complicità dalla finestra accanto. Nello stesso istante il piantone della Caserma appare sulla porta e, senza chiedere le generalità del convocato, lo fa entrare chiudendo con molta energia il portone. Bamboccio per la prima volta varcava questo luogo che aveva sempre evitato e temuto e che aveva conosciuto solamente per le descrizioni che altri gli avevano fatto. Ora è li, solo e triste, ed ogni angolo che vede gli appare oscuro e spoglio. Avanza lungo il corridoio intimidito e impacciato, preoccupato anche delle congetture che potevano fare le persone che lo hanno visto entrare. Gli viene ordinato di attendere in una sala d’aspetto, arredata solo con alcune sedie di vimini, su una delle quali egli si accomoda immediatamente desideroso di trovare un pò di riposo. In attesa di essere convocato ha il tempo di rendersi conto di essersi venuto a trovare in una condizione molto difficile e preoccupante. Appena tornato dal lavoro, infatti, ha preferito conoscere direttamente e senza indugi cosa riguardasse quella convocazione inviatagli dalla Caserma e comunicatagli con apprensione dalla moglie. Solo ora, seduto in questo luogo silenzioso riesce a riflettere ed ha la piena consapevolezza che è stato un errore precipitarsi a rispondere stremato da una giornata di pesante lavoro, senza prima indagare sulle cause della convocazione. In questi rapidi attimi cerca di riordinare le idee, di capire meglio quale è la sua condizione e quali possano essere le motivazioni di quella chiamata. È impacciato perché avverte di essere poco presentabile, per quei pantaloni da lavoro che porta addosso e che gli sembrano più impolverati e strappati del solito. Osservandosi con attenzione nota di avere le scarpe, le unghie e forse anche i capelli imbiancati dalla calce. Addosso, inoltre, sente di avere appiccicato il sudore di una giornata di faticoso lavoro passata a tirare su, senza un attimo di riposo, una parete. Una giornata che, al contrario di tutte le altre, non si è conclusa sotto il piacevole spruzzo d’acqua di una doccia rigeneratrice. Questo suo disordine contribuisce ad accrescere in lui il disagio e l’insicurezza. Nella sua testa c’è un susseguirsi affannoso di incertezze e timori tutti protesi nella ricerca dei motivi della convocazione. Dopo tanto rimuginare piano-
Il Maresciallo
Pochi passi ed ecco che due persone vengono a confronto: una dall‘aspetto dimesso e mortificato, quasi inerme; l’altra,invece, sicura sin dal primo momento, padrona di un linguaggio corretto, da cui si evince un intercalare toscano. È un sottufficiale, in grado di usare modi idonei a mettere immediatamente fuori combattimento l’altro, il quale, sempre più intimidito rimane in piedi, quasi pietrificato, oramai pronto a subire una cascata di rimproveri e di invettive.«Allora, Del Brocco hai proprio deciso di non volere rispettare la legge?» chiede il Maresciallo, alzandosi dalla poltrona e mettendosi a girare attorno al malcapitato, battendo un frustino su un lato dei pantaloni.«Ma io non ho potuto proprio farne a meno» replica il giovane, cercando di organizzare alla meglio quella che avrebbe potuto essere la sua linea difensiva.«La campagna elettorale è finita» insiste con forza il Comandante della Caserma. Che c’entra la campagna elettorale?» risponde meravigliato Franco. «Fai finta di non capire? Ti hanno già imbeccato? Hanno già preparato il copione di quello che mi dovevi dire? Vero? Su, confessa! Due notti fa, tu, insieme ad altri agitatori comunisti, sei stato visto affiggere manifesti del tuo partito, sopra quelli missini» Quelle parole dette dal Maresciallo con toni duri e sicuri, certo di ottenere una immediata capitolazione, improvvisamente provocano nel muratore una imprevista quanto salutare carica di energia. Capisce che la convocazione non è dovuta a quello schiaffo dato ad Achille e di colpo il suo stato d’animo cambia. Dalla sua fronte scompare quel cerchio maledetto che la stringeva in maniera tale da non permettergli di spiccicare due parole di seguito; improvvisamente e quasi d’incanto, sente in corpo tanta energia e tanta ragione, da replicare a brutto muso: «Marescià, ma che stai a di’, lascia perde i comunisti. Fa la persona seria». Le parti si capovolgono. Il sottufficiale che pensava di cucinare a fuoco lento il giovane, con la speranza di carpirgli una immediata confessione, comincia perdere le staffe. Pur avendo accennato a delle testimonianze, non si sente più padrone della situazione, soprattutto quando gli viene replicato da Del Brocco: «Io, è dalla fine della campagna elettorale che non vado più ad appiccicare i manifesti. Solo ora ti ricordi dei manifesti fuori posto: durante la campagna elettorale hai permesso che i fascisti ed i democristiani li mettessero anche sui pali dell’alta tensione. E poi se c’è uno che mi ha visto, fallo entrare, fammelo vedere, dai, Marescià ». L’interrogatorio diventa un rodeo. Del Brocco come un cavallo selvaggio non si fa domare, replica, alza la voce, interrompe, non si lascia minimamente intimidire, anche perché sa di non poter essere smentito. Il contraddittorio, comunque, si esaurisce; i due si lasciano dopo che il Maresciallo è riuscito a trovare un’argomentazione per lui dignitosa, prospettando una convocazione successiva, che per altro non avverrà. Molti si chiederanno cosa era successo di tanto grave da mettere in azione la Caserma dei Carabinieri, impegnando in prima persona lo stesso Comandante. Vediamo di ricostruire con ordine e precisione i fatti essenziali. L’episodio che si sta ricordando avveniva in un giorno del mese di giugno del 1968, dopo un accanita campagna elettorale e all’indomani dell’assassinio di Bob Kennedy, consumatosi il 5 giugno a Los Angeles. Candidato alla Presidenza degli Stati Uniti, il secondo dei fratelli Kennedy aveva solo quarantatre anni quando fu assassinato, lasciando scossa ancora una volta l’opinione pubblica mondiale. Si ripeteva con un triste scenario quanto era avvenuto cinque anni prima con l’assassinio del fratello John. In tutto il mondo ci fu una grande ondata di commozione e di sdegno verso un atto cosi esecrando. I missini a Ceccano, cosi come era stato fatto in altre località, avevano affisso un manifesto attraverso il quale addossavano le responsabilità di quella morte ai comunisti. Un episodio come altri di ordinaria speculazione propagandistica che si aggiungeva ai tanti perpetrati in quello stesso periodo. Solo che molti erano infastiditi per il riproporsi di una volgare campagna tesa a rinfocolare gli animi, a creare muro contro muro ed a riproporre paure mai sopite. L’anticomunismo, infatti, è stato lo strumento attraverso il quale per un lungo periodo si sono coperte le più grandi nefandezze. Sempre in nome dell’anticomunismo, allora associazioni e persone potevano godere di vantaggi, protezioni e usufruire di notevoli contributi finanziari. L’assassino di Bob Kennedy, immediatamente consegnato alla giustizia, si rivelò un arabo di origine giordana. In quegli anni l’URSS era amica ed impegnata sostenitrice del mondo arabo, conseguentemente era chiaramente ostile alla politica dello Stato di Israele. Per i missini, dunque, essere arabo significava essere russo e russo, ovviamente, diventava sinonimo di comunista. Naturalmente essere comunista russo o italiano non faceva alcuna differenza. Attraverso un sillogismo psicologico, il manifesto in questione accreditava le responsabilità di quell’assassinio ai comunisti italiani arrivando semplicisticamente alla conclusione di una vicenda della quale, come in tutti gli altri delitti politici americani (John Kennedy, Luther King, Osvald), non è stato mai possibile conoscere la verità. on si conoscono le verità americane e non voglio mettermi a ricercarle, ma è il caso di approfondire in modo più circostanziato quello che successe a proposito di quei manifesti per i quali abbiamo visto scontrarsi Del Brocco ed il Maresciallo nella Caserma dei Carabinieri.
Gimì
Sono trascorsi tanti anni, la situazione è cambiata notevolmente pertanto non credo possano esserci più delle ripercussioni negative sulla persona direttamente coinvolta in questa vicenda, e sulla identità della quale venne usata allora da parte di chi conosceva i particolari, la più severa prudenza. Un falegname ceccanese, lavorante presso la tipografia Piccola Città Bianca di Veroli, infastidito dai manifesti missini, con la complicità di un tipografo, proveniente da Roma, aveva stampato dei manifestini su cui aveva fatto scrivere «È falso» e poi li aveva incollati su quelli del MSI, che incolpavano i comunisti. Ai tanti giustamente incuriositi di conoscere il nome dell’autore di questa estemporanea iniziativa, se dirò che si chiamava Vincenzo Masi sicuramente non darò nessun riferimento preciso, essendo questo nome molto comune a Ceccano, ma se aggiungo che il suo soprannome è Gimì sicuramente molti faranno mente locale e lo riconosceranno in quella persona che, pur avendo oggi più di settanta anni, mostra ancora una inesauribile vitalità ed una vivace inventiva. Costui, in tipografia aveva nascosto quelle maneggevoli strisce di carta in una borsa. Ritornato a casa, alla stessa maniera dei cavalieri erranti senza macchia e senza paura, parte a cavallo del suo motorino. Con sé non ha né lancia né spada ma una borsa sulla ruota anteriore e colla e pennello su quella posteriore. Nella notte tra il sabato e la domenica compie un lavoro molto semplice, protetto dal buio delle strade semivuote. Con una pazienza certosina gira tutto il paese ed ad ogni manifesto che accusa i comunisti, egli sovrappone, trasversalmente, delle strisce su cui è scritto «È falso». È un gioco molto facile ma a guardar bene di grande efficacia: i cittadini che il giorno dopo videro quelle immagini, rimasero colpiti dalla eccezionale originalità e tempestività. Era veramente una grande trovata: le più specializzate compagnie di promozione pubblicitaria sicuramente non avrebbero saputo orchestrare una operazione cosi imprevedibile, in grado di esprimere in modo immediato una idea politica cosi semplice ed elementare. Franco Del Brocco, muratore, stella luminosa del firmamento calcistico e giovanissimo membro del Comitato Direttivo del PCI ceccanese aveva ragione ad indignarsi con il Maresciallo dei Carabinieri, poiché con quel manifesto filibustiere non aveva niente a che vedere. La verità semmai era un’altra: Del Brocco con un esiguo numero di attivisti aveva affisso durante la campagna elettorale moltissimi manifesti per conto del suo partito. Il Maresciallo, ritenendolo ancora cosi seriamente impegnato, si era buttato ad indovinare, convinto di avere trovato il colpevole. Il sottufficiale non poteva capire che quel manifesto era frutto di un’ azione individuale ed autonoma, eccezionalmente imprevedibile, per essere concepito da una sezione in difficoltà e i cui tempi di decisione sarebbero stati necessariamente più lunghi. Gimì non era iscritto al PCI, anche se più di qualche volta aveva votato per questo partito. Era uno dei tanti cittadini che in quel momento si sentiva infastidito da quel menzognero manifesto. Resta un’ ultima curiosità alla quale non sono in grado di dare una risposta: l’iniziativa del Maresciallo fu promossa di ufficio o fu sollecitata o denunciata della sezione missina?. Nessuno ha mai risolto il mistero. Rimane questo, comunque, un episodio singolare. Un uomo d’ordine si era comportato come il più ingenuo degli sprovveduti: accecato dall’anticomunismo, non aveva fatto le dovute indagini, neppure aveva verificato le prove e le persone, così come ogni inquirente serio dovrebbe fare. A tanti anni di distanza posso commentare l’accaduto ritenendolo una coda sgradevole e lo strascico di una campagna elettorale particolare, ove la posta in palio non era solo la conquista di qualche voto in più, ma la definizione di alcuni dilemmi non risolti nell’ultimo decennio e che la consultazione aveva finalmente chiarito, lasciando però l’amaro in bocca a qualcuno. Fra poco mi spiegherò meglio.
Capitolo 2-
II Nei giorni 19 e 20 maggio del 1968, il popolo italiano fu chiamato a votare per il rinnovo del Senato e della Camera dei Deputati. Il voto si caricava di significati importantissimi: si doveva accertare, infatti, se i cittadini italiani avevano intenzione di sostenere il programma di Saragat, allora Presidente della Repubblica, e di Nenni circa la fusione del PSI e del PSDI, che aveva dato luogo qualche anno prima al Partito Socialista Unificato. L’altro quesito, consequenziale al primo, riguardava il tentativo esplicito di sconfiggere il PCI e il PSIUP, che pur presentando proprie liste alla Camera concorrevano in unica lista al Senato. Agli elettori italiani veniva posto un quesito importante, un dilemma decisivo. La sinistra italiana, insomma, doveva essere rappresentata da un forte partito con connotati socialdemocratici, alleato della DC, oppure da un robusto partito comunista? Il responso delle urne sancì una grande avanzata elettorale sia del PCI che del PSIUP mentre il nuovo partito socialista ebbe un notevole arretramento. L’ambizioso disegno di creare una terza forza naufragava. Delusione e risentimenti guidarono atti e comportamenti di politici e di funzionar! di corpi diversi dello Stato poiché i comunisti dopo il voto risultavano essere più forti di prima. Le nuove forme di propaganda elettorale Fatti questi necessari e doverosi riferimenti alla situazione generale, è interessante ricordare e seguire attentamente quello che successe a Ceccano. Cercherò di riportare come fu coinvolta la nostra città e di descrivere il più fedelmente possibile le sensazioni e gli umori di quel periodo. La campagna elettorale, come tutte le consultazioni alle quali abbiamo assistito, aveva sollecitato molta combattività fra le parti avverse alimentando anche speranze di facile successo in più di qualche candidato. Fu la competizione elettorale nella quale per la prima volta si fece un grande salto di qualità e di quantità nell’uso dei mezzi pubblicitari e dei costi finanziari. In quella occasione vennero notevolmente ridotte le scritte a mano sui muri e per terra e le installazioni di striscioni, dei quali precedentemente si era fatto largo uso, mentre circolavano, invece, lunghe carovane di automobili, quasi tutte dotate di tabelloni, insegne luminose e altoparlanti strombazzanti. Esse erano organizzate prevalentemente da candidati democristiani più facoltosi. Non passava giorno senza che vi fossero inviti a votare per questo o quel partito e per questo o quel candidato, adducendo i motivi più diversi. Si proferivano slogan a non finire e venivano lanciate le promesse più allettanti. Sembrava quasi che tutti i candidati si impegnassero a comporre la letterina di Natale. Si aveva l’impressione che le automobili dei vari partiti giocassero a rincorrersi e ciò creava vivacità: il clima era più di festa che di scontro e la tensione non esplodeva mai. Gli unici a non partecipare a questo festoso rito collettivo erano gli spazzini comunali: erano arrabbiati per via della gran mole di lavoro a cui venivano sottoposti. Negli ultimi giorni della campagna elettorale, infatti, le strade cittadine erano interamente coperte da manifestini, tutti graficamente ben curati che riportavano le varie richieste di voto e che spesso ritraevano i volti accattivanti dei candidati impegnati in prima persona. Oggi il manifesto personalizzato è diventato uno strumento comunissimo di propaganda, quasi una necessità, ma allora a molti anonimi spettatori appariva come una vera, interminabile fiera delle vanità. L’insegna luminosa, la grafica pubblicitaria, i microfoni, la scelta degli slogan rappresentavano senz’altro un elemento positivo ed intelligente; non era così per gli altri strumenti di propaganda che incominciavano a prendere piede: le abbuffate nei ristoranti e l’elargizione dei buoni di benzina distribuiti a piene mani da parte di alcuni candidati governativi, che anticipavano un fenomeno di malcostume e di micro corruzione ancora oggi usato come mezzo di propaganda. Il candidato democristiano Amati, noto gestore delle migliori sale cinema-
Capitolo 3-
Nelle pagine precedenti è venuto chiaramente alla luce come fosse in atto una grande trasformazione del territorio. Una modifica tumultuosa, non governata, perché priva di programmazione. È nelle mani di forze che hanno come obiettivo primario solo l’insediamento delle fabbriche, senza preoccuparsi delle ripercussioni sul retroterra circostante o più direttamente sull’ambiente. Emergono così problemi di varia natura, ma fra tutti ce n’è uno che avrà ripercussioni durature nel tempo e che ancora non vede una positiva e definitiva risoluzione. C’era una volta un fiume Mi riferisco all’inquinamento del fiume Sacco. Il fiume che nasce dai monti Prenestini. Da Roiate arriva a Valmontone, costeggia Colleferro ed Anagni, divide in due la città di Ceccano e dopo ottanta chilometri si unisce al Liri formando il lago di Isoletta. Fino al secondo dopoguerra parecchie famiglie traevano ancora so-
Capitolo 4-
Anche se in maniera ancora empirica e non ben definita si apriva un fronte di lotta per la battaglia a favore dei servizi. Arrivati a questo punto credo sia proprio necessario fermarci un attimo per misurare i rapporti di forza esistenti in Consiglio Comunale e seguire la loro evoluzione, focalizzando le figure degli uomini che guidavano allora il Comune. Nel luglio del 1969 il PSU si divide. Ovunque si ritorna alle vecchie divisioni fra socialisti e socialdemocratici. Tale separazione, però, non ha ripercussioni sull’amministrazione comunale di Ceccano. Il democristiano Gigetto Piroli seguita a ricoprire la carica di Sindaco, Vice è il socialista Walter Apruzzese. Della Giunta, inoltre, fanno parte Camillo Masi e Pietro Bragaglia appartenenti alla DC, Francesco Panfili che ha aderito al partito di Saragat mentre Dante Diana e Pia Capoccetta fanno parte del PSI. La Capoccetta, eletta in Consiglio nelle elezioni del 1964 nella lista comunista, successivamente approdata nel gruppo del PSU e poi in quello del PSI, è la prima donna che entra a far parte di una Giunta ceccanese. L’estate diventa una stagione di lotta per superare i ritardi che ogni giorno si presentano sul territorio cittadino, per chiedere servizi elementari, per riequilibrare le condizioni di vita fra città e campagna, per non rimanere indietro rispetto ai tempi. La geografia del Consiglio Comunale è la seguente: 2 Consiglieri appartengono al MSI; 2 al PSU; 8 al PCI; 7 al PSU dopo una serie di adesioni che ha portato nel gruppo Dante Diana, eletto nella lista del PSIUP, Michele Loffredi eletto nella lista del PSDI, la Capoccetta eletta nel PCI; 11 la DC, che ha imbarcato Aldo Maliziola, eletto nella lista del MSI.
Le questioni scolastiche
A Ceccano in questo periodo si stanno costruendo i due edifici che dovranno ospitare le scuole medie esistenti. Ambedue sono stati progettati dall‘ingegner Mario Pinchera, un professionista che ali " epoca monopolizzava gli incarichi per via di conoscenze e sostegni a livello governativo. I lavori della Scuola Media n° 2 sono realizzati dalla ditta Canali. Quelli della «Gizzi» sono eseguiti dall’impresa di Alberto Lenzi. Con l ‘ istituzione della scuola media obbligatoria abbiamo assistito ad una forte scolarizzazione di massa. La Scuola Media «Gizzi» è frequentata da 466 studenti, mentre la Scuola Media n 2 da 386. Queste due scuole sono sistemate in più plessi: la «Gizzi» occupa i locali delle «Giuseppine», alcuni appartamenti privati in via Matteotti e la sede dove oggi è ubicata l’Anagrafe comunale. La Scuola Media n. 2, invece, è dislocata in alcuni locali sopra il «Cral» di Via S.Francesco, in alcuni locali di fronte e in altri ancora situati in via per Frosinone. L’unica scuola superiore esistente nel nostro territorio è l’Istituto Professionale, che dopo tre anni di studio rilascia la qualifica di Tornitore Meccanico. La sede, o meglio le sedi, sono disperse presso alcuni locali privati situati davanti la stazione ferroviaria. Da questa scuola escono ragazzi che avranno sempre un posto di lavoro assicurato: una scuola che avvia veramente al lavoro e non una fabbrica di disoccupati. Nelle campagne i plessi scolastici delle scuole elementari non sono accoglienti. Il riscaldamento è a legna, molto spesso portata da casa dagli alunni. In qualche caso mancano i servizi igienici e ovunque prevalgono pluriclassi. È in attività, ma solo per un breve periodo, una sola sezione di scuola materna presso il Villaggio UNRA, nella parte bassa di Ceccano. Nella scuola media la legge prevede ancora la sessione autunnale per i rimandati. In campo nazionale si discute animatamente se la selezione scolastica sia il riflesso di una selezione di classe, cioè se il sistema scolastico attraverso le bocciature colpisca più il figlio dell’operaio e dei ceti meno privilegiati. È aperto, comunque, il problema dei rimandati, delle ripetizioni, dei costi sulle famiglie dei non abbienti. Alle discussioni l’ARCI locale, fortunatamente, coniuga concretezza ed intervento attivo. L’ARCI non è altro che la sigla di una organizzazione di sinistra presieduta a Ceccano da Gerardo Masocco, attiva e presente per oltre un decennio nella nostra città. La sede, collocata a fianco della sezione socialista, in piazza 25 Luglio, organizza durante il mese di agosto la preparazione degli studenti rimandati nelle scuole medie. Il corso è gratuito e vi partecipano più di venti studenti. Gli insegnanti sono: Nicola Masi, Carmelina Spada e Gerardo Masocco che rispettivamente impartiscono lezioni di Inglese, Italiano, Storia,Geografia e Matematica. È un’iniziativa interessante ed encomiabile, purtroppo, mai più ripetuta. A titolo di cronaca va detto con soddisfazione che i ragazzi partecipanti vennero tutti promossi.
II raffronto con il Nucleo Industriale
Le strade comunali ben asfaltate e sistemate riguardano solo il centro urbano e via Badia. Spesso la viabilità rurale ha un buon fondo stradale, perché realizzata attraverso i cantieri aperti negli anni precedenti dal Ministero del Lavoro, ma esso è ricoperto solo da breccia. Le automobili stanno diventando una necessità per espletare meglio l’attività lavorativa e non un bene di consumo per cui in ogni famiglia incomincia ad essercene una. Se la strada imbrecciata era funzionale per il carretto o per il birroccio, essa diventa ora micidiale e pericolosa per l’automobile. Nel territorio del Nucleo industriale invece si costruiscono molte strade, ovviamente di buona percorribilità. Esse collegano fabbrica con fabbrica oppure gli opifici industriali con il raccordo autostradale o con le strade Morolense e Casilina. Il telefono è un utilissimo servizio accessibile solo a pochi cittadini del centro urbano mentre nelle campagne il servizio è inesistente. All’interno del Nucleo, nelle fabbriche, invece si trovano molti apparecchi telefonici tanti quanti sono gli uffici ed i reparti. Inoltre incominciano ad essere usati i telex. Il Comune di Ceccano ha bisogno, invece, di una deliberazione del Consiglio Comunale per chiedere alla Azienda telefonica impianti pubblici presso l’Ospedale Civile, il Manicomio, il Municipio e la Stazione Ferroviaria. Nelle campagne sono moltissime le zone abitate prive di energia elettrica. Dove esiste la linea, inoltre, bassa è la potenza, per cui spesso gli elettrodomestici vengono danneggiati. È interessante riportare come questo problema veniva affrontato in sede consiliare. Durante una seduta del Consiglio Comunale, il Consigliere del PCI, Vincenzo Masi, abitante presso la contrada Celleta, per rendere edotti i presenti della grave situazione esistente, introdusse una folta delegazione di cittadini della zona. Il Sindaco Piroli, messo in difficoltà dalle argomentazioni portate dalle molte donne presenti, per alleggerire la tensione legge un telegramma, espediente allora veramente molto in voga, inviatogli da Andreotti «A seguito del mio vivo interessamento mi è gradito communicarLe che sono in corso di approvazione i progetti relativi all’elettrificazione delle contrade Celleta, Pantano, Acqua Santa». Così suonava il testo. C’è da precisare, comunque, che tali opere si realizzarono solo quattro anni più tardi. Al di là delle maniere funamboliche di Piroli, capace di destreggiarsi in ogni momento, il problema era attuale e incominciava a diventare grave perché la potenza erogata sul territorio cittadino era inadeguata rispetto alla richiesta. Il ventitre marzo, di domenica, si era verificato un black out e l’Ospedale, il Carcere, i bar, i frigoriferi delle botteghe alimentari erano rimasti privi di corrente elettrica per l’intero pomeriggio. Nel frattempo nell’interno del Nucleo si costruiva, invece, il nuovo elettrodotto ed entravano in funzione le più moderne cabine elettriche.
Le donne di Colle Leo.
Per i dodicimila abitanti delle campagne non era stata ancora costruita una rete idrica comunale. L’acquedotto rimaneva quello del 1932, con una cabina di sollevamento ed il serbatoio in via S.Stefano. Solo nel 1960 si costruì il serbatoio di Borgo Pisciarello per raccogliere l’acqua proveniente dall’Acquedotto di Capofiume. Nelle campagne si utilizzavano i pozzi. A quell’epoca ne esistevano, fortunatamente, 1331 ma i particolar modo nelle contrade Acqua Santa e Colle Leo, durante la stagione calda, si prosciugavano. Grazie alla raccomandazione di Andreotti e di Tanassi, arrivava in aiuto l’autobotte militare che prelevava l’acqua dall’impianto di sollevamento situato sulla Morolense e la distribuiva in alcune località di campagna. L’addetto a questa operazione giornaliera, che si protraeva da luglio a settembre, era un militare che veniva spesato dal comune con un costo complessivo pari a 128 mila lire. È interessante riportare un episodio accaduto nella contrada Colle Leo che svela chiaramente come attorno ai bisogni fortemente sentiti e alle primarie necessità da soddisfare si inserissero metodi tanto ricattatori e discutibili da essere respinti immediatamente. Si era sparsa la voce che era prossimo il primo arrivo dell’autobotte militare per distribuire l’acqua agli abitanti della contrada. La mattina del giorno indicato c’è attesa e fermento per l’evento. Di buon ora, le donne munite di conche e di recipienti vari si dirigono al luogo convenuto, ordinatamente formano una lunga fila e fiduciose, tra un discorso e l’altro, aspettano l’arrivo dell’acqua. Le ore passano e alle undici della «manna» promessa non si vede nemmeno una goccia. L’iniziale allegro vocio comincia a diminuire: subentra un malessere generale, si avvertono stanchezza e sfiducia. Il sole è alto e picchia forte; fortunatamente l’ombra degli alberi posti lungo il ciglio della strada offre riparo e un po’ di sollievo. Nessuna donna però rinuncia e torna a casa. La razione di acqua è tanto importante da sopportare qualunque sacrificio. Intorno c’è un caldo soffocante e non si ode altro che l’assillante frinire delle cicale. Anche i bambini che festosi e gai hanno seguito le mamme con un fiaschette in mano per contribuire alla provvista d’acqua, sembrano di colpo ammutoliti. Qualcuno rinuncia e torna a casa dai nonni, altri spossati, cercano frescura nel piccolo fossato. Ma quando tutto fa supporre che l’autobotte non arrivi più, ecco che da lontano un rumore, via-
«Che c’entri tu? Vattene! Chi t’ha chiamato?»
Queste ed altre più sprezzanti e colorite parole accompagnate anche da qualche lancio di pietra costituiscono la reazione immediata di quelle donne che pazientemente avevano aspettato per tante ore l’arrivo dell’autobotte ma che non per questo erano disposte a tollerare che questo bene primario fosse concesso loro attraverso forme di ricatto! Sia chiaro che non si trattava di uno scontro politico ma quel comportamento da padroncino, da caporale era la goccia, non certo di acqua, che faceva traboccare il vaso. Dopo essere state alcune ore sotto un sole cocente, stanche, con le vesti imbiancate e appiccicose di sudore, avevano avuto il coraggio di rifiutare e di tornare a casa con i recipienti vuoti, ma fiere di non aver subito prevaricazioni di nessun genere,di non aver accettato metodi e regole da un figuro estraneo ai loro problemi ed alla loro contrada. Il giorno successivo il Sindaco Piroli che conosceva bene gli abitanti della zona, per evitare incidenti, diffidò questo individuo a salire sul camion. L’acqua, dunque, mancava nelle campagne, era razionata nel centro urbano ma era disponibile in abbondanza all’interno del Nucleo, poiché direttamente captata dalle sorgenti di Tufano e di Capofiume. Per tutta l’estate venne posto all’attenzione il tema dei servizi. In alcune contrade: Colle Leo, Colle S .Paolo, Paolina, Celleta, Peschieta la gente chiedeva interventi, partecipava, si impegnava alla lotta. Il movimento di protesta si estendeva e si arricchiva di nuovi temi e in ogni angolo della città si coglieva malumore e molta insoddisfazione. A Ceccano dopo un periodo di immobilismo e di silenzio, il 1969 rappresenta 1 ‘ anno della ripres a del movimento . Con la lotta si cerca di ricuperare i ritardi accumulati, di evidenziare le contraddizioni, di chiedere di vivere in condizioni civili.
L’Area industriale.
La descrizione sopra riportata risulta, però, incompleta se non viene accompagnata da una più chiara fotografia di quello che succedeva nel territorio ove operava il Nucleo. Va precisato allora che con il Decreto del Presidente della Repubblica del 5 maggio 1969 veniva riconosciuta la trasformazione da Nucleo ad Area. L’ importanza non era dovuta al cambiamento della denominazione ma a qualcosa di più corposo e sostanziale. Non riguardava più, infatti, solamente l’iniziale adesione di 6 Amministrazioni comunali, ma la presenza di 36 Comuni, con tutto quello che di nuovo questo allargamento rappresentava. L’Area veniva articolata in cinque agglomerati: quelli di ANAGNI, FROSINONE-
Capitolo 5-
In una tranquilla e silenziosa notte di luna piena, nei pressi del Cimitero Comunale, accadde qualcosa di strano e di insolito. Il modo in cui tutta la vicenda si svolse fa pensare ad una cospirazione. In quella tiepida notte autunnale, dunque, un uomo su di un motociclo si aggirava nei pressi del Cimitero, ad andatura lenta ed indecisa. Guardandosi intorno, con fare circospetto imboccò la stradina che costeggiava il muro del Cimitero e si fermò nel punto in cui questa finiva. Giunto lì e non vedendo nessuno, stava per tornare indietro, quando in lontananza comparve un’automobile che si mise a lampeggiare come per un segnale evidentemente già convenuto. Il nostro uomo tirò un sospiro di sollievo quando vide arrivare anche un’altra automobile e due motorini. Questo gruppetto di persone altro non erano che operai della fabbrica di Annunziata costretti a vedersi in quel luogo appartato e segreto per discutere e concordare chi dovesse essere il rappresentante sindacale e chi dovesse essere eletto nella Commissione Interna da ripristinare. È questa l’unica riunione di cui si ha notizia. Nessuno ha mai saputo se e quanti approcci precedenti ci siano stati e quali precauzioni siano state necessarie per avviare rapporti interpersonali. Nella Repubblica fondata sul lavoro, per presentare una lista di candidati per le elezioni dei propri rappresentanti, questi lavoratori erano costretti a riunirsi di notte e di nascosto invece che alla luce del sole o in una rassicurante sede del sindacato! Come i cristiani primitivi si incontravano nel chiuso delle catacombe per sfuggire alle persecuzioni, alla stessa maniera gli operai di Annunziata dovevano riunirsi in un luogo segreto, oltretutto macabro, per evitare soffiate e prevenire le sicure rappresaglie padronali.
Il contesto entro il quale si sviluppa «l’autunno caldo»
Tutto questo accadeva tra gli operai di Annunziata quando, invece, in gran parte dell’Italia le maestranze lottavano a viso scoperto e scendevano in piazza, mostrando con fierezza le proprie idee. Agli inizi del mese di settembre si incominciava ad avvertire che la stagione del rinnovo contrattuale sarebbe stata diversa da tutte le altre. C’erano segnali che dimostravano la straordinarietà dell ‘ avvenimento. Tutte le forze politiche percepivano le novità profonde che l’esito della vertenza dei contratti avrebbe potuto portare nelle relazioni fra datori di lavoro ed operai, oltre che nel rapporto fra le stesse. A livello nazionale si susseguivano incontri preparatori, sia nei sindacati che nelle organizzazioni imprenditoriali: si aprivano discussioni, si preparavano bozze di documenti, si sentivano le prime dichiarazioni e si vedevano sfilare nelle città industriali i primi cortei operai. Era in preparazione quello che verrà chiamato «l’autunno caldo». Qualche anno prima si era felicemente conclusa la questione del superamento delle gabbie salariali, un’antiquata regolamentazione che prevedeva retribuzioni differenziate non sulla base della produttività del lavoro ma in base alla sede in cui l’attività veniva svolta; perciò a nord i lavoratori avevano paghe superiori rispetto a quelli che abitavano nel centro e nel sud Italia. In quell’autunno del sessantanove nell’ambito dei rapporti politici incideva in una certa misura anche il risultato delle elezioni politiche, tenutesi nel maggio del 1968. Esso aveva dato una grande forza al PCI ed al PSIUP, creando così le premesse della crisi del neonato Partito Socialista Unificato (PSU): si era costituito sulla base della fusione fra il PSI e il PSDI. Quello che doveva essere un polo di sinistra alternativo al PCI ed al PSIUP, infatti, si era diviso nel luglio del 1969, permettendo così al PSI di riacquistare i connotati di forza di sinistra e di riprendere i propri collegamenti con il movimento dei lavoratori. Inoltre, nelle scuole e nelle università si allargava a macchia d’olio la presenza e l’influenza del movimento degli studenti, il cui programma, anche se su basi molto utopiche, ipotizzava la costruzione di un mondo nuovo, il superamento del vecchio ordinamento scolastico e più in generale l’abbattimento di tutte le gerarchie sociali esistenti. Pur se in chiave non bene definita, il movimento degli studenti auspicava inoltre una unità d’azione con il mondo del lavoro. Milioni di lavoratori (metalmeccanici, edili, chimici, tessili) dovevano a quel tempo rinnovare il contratto. Gli operai non erano isolati: lo scenario entro cui si svolgeva la lotta non era caratterizzato dall’indifferenza generale e dallo scetticismo, ma da simpatie e da adesioni. Esistevano, dunque, tutti i presupposti per il coagularsi attorno agli operai di alleanze vere e proprie. Il formarsi di uno schieramento abbastanza ampio determinò, in contrapposizione, la formazione di uno schieramento contrario, il cui collante erano la paura del nuovo e il terrore del salto nel buio. Incominciarono così ad agitarsi settori tendenti a fermare la crescita del consenso attorno alle richieste ed alle proposte del movimento operaio. Fu proprio a ridosso di questo grande conflitto di classe che nacque la strategia della tensione, tendente a impaurire i settori moderati ed a mettere in difficoltà i sindacati e coloro che auspicavano il cambiamento. È molto interessante seguire più da vicino quello che in merito alla stagione de contratti accadde nella nostra provincia. La giovane classe operaia ciociara formatasi con la costruzione delle nuove fabbriche, incominciava a muovere i primi passi, all’inizio incerti, ma via via sempre più decisi. Si assisteva alla metamorfosi di lavoratori che avevano ottenuto il posto di lavoro grazie all’appoggio del prete del paese o alla raccomandazione del notabile locale. Essi incominciavano a partecipare alle prime riunioni sindacali, ad acquisire una consapevolezza della propria funzione, per essere pronti a completare un velocissimo apprendistato. Il fermento era vivo e si coglieva in ogni angolo della Provincia e in ogni fabbrica, sia nella zona intorno alle cartiere di Isola Liri, Ceprano, Atina che in quelle di nuova formazione. Per la prima volta si presentarono le liste per le Commissioni Interne; questo avveniva persine alla Klopman, il regno degli americani, il luogo ove la direzione aziendale stava facendo i primi tentativi atti a dimostrare a tutti gli industriali italiani che in quella realtà il sindacato non avrebbe mai messo piede, né mai esso sarebbe stato chiamato in causa dai lavoratori. Con differente intensità e consapevolezza tutti si impegnavano, si muovevano, partecipavano.
Il saponificio: terra senza legge
Solo gli operai del saponificio Annunziata rimanevano estranei a questo vulcano in eruzione, isolati e lontani anni-
Il rischio ed il coraggio
Eppure il coraggio venne fuori. Presentata la lista per le elezioni della Commissione Interna, il Commendatore non la riconobbe. Fu un atto grave, arrogante, antisindacale. Alla base di un provvedimento cosi sconsiderato c’era la convinzione che gli operai promotori di questa temeraria iniziativa sarebbero stati isolati rispetto agli altri. C’era la sicurezza da parte di «Sor Antonio» che di fronte ad una resa dei conti, ad una verifica dei rapporti di forza, la grande maggioranza degli operai avrebbe avuto ancora timore del suo potere, quindi, non avrebbe sostenuto il sindacato. Venivano a scontrarsi così posizioni e linee antagoniste e non componibili. La questione ormai aperta era importante e nevralgica. Essa riguardava il destino delle relazioni industriali future. Non esistevano, dunque, posizioni intermedie, non c’erano possibilità di aggiustamenti o di mediazioni. Immediatamente apparve chiaro che ancora una volta tutto si sarebbe risolto sulla base dei rapporti di forza. Così come si dice in termine pocheristico, bisognava «andare a vedere». Per questo non ci fu altra scelta per la CGIL che quella di proclamare lo sciopero ad oltranza. Una scelta senz’altro pesante. Ma data la situazione non esistevano altri modi per lottare q per sostenere una vertenza oltretutto avviata senza avere la possibilità da parte del sindacato di discutere con i dipendenti alla luce del sole.
Una scelta inevitabile
Il 27 ottobre si arrivò così alla proclamazione dello sciopero a tempo indeterminato. Non è esagerato dire che la vicenda del saponificio Annunziata toccava profondamente tutto il paese; essa parlava al cuore ed ai sentimenti di una città. Richiamava alla mente i licenziamenti di undici operai effettuati nel 1953, anche allora per l’elezione della Commissione Interna. Riportava alla memoria lo sciopero e la morte di Luigi Mastrogiacomo nel maggio del 1962, gli scioperi del 1963, i licenziamenti del 1964 e la relativa sconfitta del sindacato. Ogni atto di quei momenti non aveva riguardato solamente le maestranze: essi erano stati vissuti coralmente, intensamente da tutto il paese. Non si trattava, dunque, solo di esprimere solidarietà verso gli operai dell’opificio, ma di riscattare una ferita che aveva già duramente colpito al cuore il paese. Nonostante i gravi fatti accaduti, negli ultimi cinque anni il saponificio era ritornato ad essere «terra senza legge». Il carattere del padrone aveva condizionato sempre le lotte, le aveva messe al di fuori di ogni altro punto di comparazione. Gli operai ed i cittadini non avevano mai avuto vie di mezzo: o da una parte o dall’altra. Anche in questa occasione dunque la quasi totalità dei ceccanesi scelse, non senza trepidazione, di stare dalla parte degli operai.
Preoccupazioni e timidezze
E’ bene precisare che attorno agli operai in sciopero c’era un consenso della città tutto particolare; fatto di prudenza, preoccupazione e consapevolezza. Su queste adesioni però pesavano alcune difficoltà: soprattutto il ricordo dei tragici eventi accaduti nel 1962. In quella occasione lo sciopero venne portato avanti dalle maestranze, appoggiate dalla generosità della popolazione, dalla solidarietà degli operai di Isola Liri e dal sostengo attivo dell’Amministrazione Comunale, guidata da Vincenzo Bovieri. L’appoggio della Giunta e di tutti i partiti, in quella primavera del sessantadue, fu esplicito, convinto, senza doppiezze oltre che trainante per tutti gli strati sociali. Nel 1969, al contrario, l’Amministrazione Comunale di centro sinistra rimase estranea: solo una seduta del Consiglio Comunale, ove venne espressa solidarietà agli operai in lotta. Oltre a questa importante diversità di atteggiamento rispetto al passato, in quei giorni pesava ancora il fatto che in tutta la durata dello sciopero del 1962, cinquantaquattro operai rimasero nell’interno della fabbrica a lavorare; erano i «crumiri», nei confronti dei quali per anni, da parte di moltissimi cittadini venne riservato il più severo ostracismo. Come ho già anticipato, la Commissione Interna fu presente ed attiva fino a metà del 1963. In occasione delle elezioni politiche tenute in aprile, insorsero divergenze profonde fra la CGIL e la CISL circa l’opportunità di proclamare uno sciopero in piena campagna elettorale, divergenze che aprirono una frattura fra i due sindacati. Mentre la CISL si opponeva alla proclamazione dello sciopero, la CGIL aprì ugualmente la vertenza. Per questa traumatica divisione che non verrà sanata neppure successivamente, Annunziata, all’inizio del 1964 fu nelle condizioni di emarginare, trasferire, licenziare gli operai più combattivi e sindacalizzati. Rimasero però saldamente nel loro posto di lavoro tutti i «crumiri»: pertanto, quando venne proclamato lo sciopero nell’autunno di cui stiamo scrivendo, gli operai licenziati nel corso degli anni precedenti, guardarono con distacco e scetticismo la ripresa sindacale nella fabbrica. L’ultimo e sicuramente il più importante fatto che pesava era la conclusione della vertenza del 1962. Il 28 maggio, infatti, con una immotivata sparatoria attuata dall ‘ ottavo battaglione mobile dei Carabinieri su una popolazione inerme, rimanevano sull’asfalto il corpo massacrato di Luigi Mastrogiacomo e di otto feriti. I cittadini in quelle poche ore in cui si consumò la tragedia avevano visto e sentito il rumore delle raffiche dei moschetti automatici, il fuoco delle armi, avvertito il fastidio dei gas lacrimogeni, avevano alzato e difeso le barricate. Nei giorni successivi il paese notò i muri mitragliati, assistette con soddisfazione alla requisizione della fabbrica da parte del Sindaco, manifestò chiaramente la propria adesione quando i nastri neri, in segno di lutto, vennero affissi sulle porte delle abitazioni dei "crumiri" e sul portone della Caserma dei Carabinieri, ritenuti tutti solidalmente responsabili di quei fatti di sangue. Tutto questo era vivo nel ricordo della popolazione, ma per quanto quei momenti potessero essere ritenuti esaltanti, coraggiosi e forse anche epici, in quell’autunno invitavano alla prudenza, alla moderazione, a prevenire colpi di testa, in definitiva a non sprecare l’occasione di ripristinare i diritti sindacali dentro i cancelli della fabbrica.
II sindacalista Palombi esprime fermezza e moderazione
In che maniera bisognava sostenere la vertenza? Quali forze si dovevano far muovere per assicurare un risultato positivo? Dopo qualche giorno dalla proclamazione dello sciopero si riunì il Comitato Direttivo della sezione del PCI. Quella sera erano presenti tutti i membri del Direttivo. Cosa insolita, ma molto significativa, perché esprimeva tutta la tensione politica che attraversava la città di Ceccano. Venne invitato alla riunione Daniele Palombi, segretario provinciale della CGIL, stimato e conosciuto da tutti i presenti, per via del suo impegno, prima come operaio nella cartiera Visocchi-
Si costituisce il Comitato Cittadino
Nei giorni successivi,abbandonata la tesi dell’occupazione così come aveva suggerito Palombi, si lavorò per la costituzione del Comitato Cittadino: una struttura di rappresentanza composta da cittadini, da organizzazioni locali che volevano sostenere la vertenza dei lavoratori del saponificio e dai rappresentanti degli operai. Non ci fu nessuna difficoltà ad avere l’adesione del partito socialista che in quel periodo aveva come segretario Armando Gapulli. Per quanto cauti fossero gli atti del Comitato Cittadino, Gapulli e Remolo Pizzuti, dopo qualche giorno, vennero chiamati nella Caserma dei Carabinieri dal Maresciallo, il quale volle sapere la natura e le finalità del Comitato. I due furono molto fermi, quanto rispettosi, nell’ indicare i compiti essenziali del Comitato, ma anche nel respingere ogni tentativo seppur sofisticato di intimidazione. Essi, infatti, continuarono poi ad impegnarsi attivamente. Per questa improvvisa ed ingiustificata convocazione tutti provammo molta apprensione. L’interferenza dei Carabinieri ci riportava indietro nel tempo, quando la jeep della Caserma in quel mese di maggio del 1962 faceva da taxi per portare i «crumiri» dalle loro abitazioni alla fabbrica. Fortunatamente dopo questa convocazione i Carabinieri non presero nessun altra iniziativa di parte. Ci furono alcune riunioni del Comitato Cittadino, vennero preparati vari comunicati e fatti affiggere manifesti di sostegno alla vertenza. Ma soprattutto si invitarono i cittadini a sottoscrivere fondi per sostenere la lotta. L’attività era portata avanti con affiatamento. Al termine di una riunione, il Comitato Cittadino, certo di una adesione che saliva a fianco degli operai, indisse lo sciopero cittadino di solidarietà. Una iniziativa che venne presa, a pensarci oggi, con una certa leggerezza dal punto di vista formale, perché non fu il sindacato a proclamarla, ma il Comitato che con perspicacia aveva ben individuato i sentimenti e la volontà del popolo di Ceccano. Il giorno previsto venne indicato per il 16 novembre. La preparazione venne curata in tutti i particolari: manifesti, volantini, impegno dei partiti, rapida informazione. Per questo importante appuntamento il movimento ebbe una forte accelerazione con l’impegno e la mobilitazione di molte persone che volevano il rispetto delle libertà sindacali dentro la fabbrica. In realtà per cinque lunghissimi anni l’operaio di Annunziata non era stato battuto solamente nell’interno del saponificio e privato di ogni minima iniziativa sindacale, ma era stato neutralizzato e devitalizzato anche fuori della fabbrica, in famiglia, fra gli amici, nelle attività del tempo libero. Lo sovrastava il pericolo di rappresaglie, di possibili licenziamenti in ogni momento. Si doveva limitare a leggere il Corriere dello Sport, a commentare le partite di calcio e se proprio voleva seguire le vicende politiche tutt’al più poteva andare a sentire i comizi indetti dal MSI, oppure accettare i doni portati dalla "Befana Tricolore". In un convegno tenuto ad Anzio qualche mese dopo la chiusura dei contratti, per difendere gli oltre ventimila operai denunciati nel corso delle lotte, Peppino Di Piazza, nel prendere la parola e parlando a braccio, disse che il motivo principale che lo aveva spinto a scendere in campo, era che i suoi figli ogni volta che vedevano la televisione e sentivano le notizie riguardanti gli scioperi in altre parti d’Italia gli dicevano «Papa, solo voi operai di Annunziata avete paura di scioperare». Quelle parole lo avevano ferito perché offendevano la sua dignità ed il suo prestigio personale.
Lo sciopero cittadino
II giorno prima dello sciopero io, che ero impegnato in queste vicende, venni a conoscenza di cose che ignoravo. Facendo la distribuzione dei volantini con Tommaso Angelini annuncianti lo sciopero per il giorno successivo, allungai il percorso fino ad arrivare nella federazione del PCI di Frosinone. Non trovai la simpatia ed i familiari sguardi di curiosità e di adesione che di solito ci venivano riservati per le cose che stavamo facendo. Incontrai, invece, occhiate nervose che fui in grado di interpretare solo quando mi venne esposta una forte preoccupazione: esistevano contatti fra l’On. Pietrobono ed il Prefetto, per una mediazione che in quel momento quest’ultimo stava portando avanti verso Annunziata. «Se lo sciopero va male o peggio dovessero esserci incidenti»,ci venne rimproverato «nessuno avrà potere di contrattazione con il Prefetto e lui stesso non avrà forza alcuna verso Annunziata». La vertenza, dunque, si sarebbe potuta concludere con un esito catastrofico. Nella discussione che si aprì, difesi con determinazione quella che era stata la decisione del Comitato Cittadino, sia per lealtà, perché con altri avevo concorso a determinarla, ma anche per convinzione. Nessuno di noi era stato percorso da dubbi ed incertezze. Forse con una certa incoscienza, tutti eravamo convinti che il paese si trovava sulla stessa sponda del Comitato. Quando uscii dalla federazione ero seccato da questa valutazione diversa e deluso per non aver sentito un esplicito sostegno; però durante il ritorno venni toccato anch’ io da qualche perplessità. Incominciai allora a verificare se le nostre valutazioni corrispondevano alla realtà; se cioè non stessimo scambiando lucciole per lanterne. Da questi pensieri venni distolto solo quando in prossimità della chiesa di S. Rocco sentii la voce di Walter Masi che attraverso un altoparlante fissato sulla sua Wolkwaghen, a nome del Comitato Cittadino invitava per il giorno successivo i commercianti ed i cittadini ad aderire allo sciopero. In quegli istanti quella voce mi fu molto cara, perché mi rinfrancò e mi aiutò ad allontanare pessimistici pensieri. Arrivati alla Madonna della Pace,vedemmo Armando Gapulli e Romolo Pizzuti che uscivano dalla casa di Lellenzo Masi. Mi fermai rimanendo in automobile. Gapulli mi disse che gli uomini del Comitato Direttivo del PSI in quel momento erano tutti impegnati per la riuscita dello sciopero. Lellenzo, che nel frattempo si era avvicinato, aggiunse «Al Comune domani dovremmo scioperare tutti. Questo mi fa pensare che anche nella DC c’è una componente che non sta dalla parte di Annunziata». Previsioni significative ed importanti. Ci salutammo. Arrivai in sezione ove c’era un andirivieni di persone molto impegnate. L’attività era intensa ed il clima quello dei grandi momenti. Ci fu tra di noi uno scambio di notizie che riportavano tutte segnali positivi. Dopo un po arrivò Aldo Papetti, allora segretario della sezione, e con lui mi appartai per aver modo di discutere su ciò che mi era stato detto in federazione. Seppi con sorpresa che anche lui ne era venuto a conoscenza in mattinata; nervosamente concluse il discorso in questi termini «Ma che vogliono, la scelta dello sciopero l’abbiamo fatta una settimana fa! C’erano i socialisti, gli operai, Palombi, che di queste cose ne sa più di noi. Non vedo dove abbiamo sbagliato. Comunque se non erano d’accordo potevano dircelo prima. Ora all’ultimo momento come facciamo a fermarci? Non tutti, ma gran parte dei commercianti sciopereranno, di questo sono sicuro». Rassicuratici a vicenda, ci salutammo per andare a cenare. Mentre mangiavo, mia moglie, che da qualche mese insegnava nella Scuola Media "Gizzi" con un fare molto fiducioso, in seguito a percezioni avvertite nell’ambiente, mi disse che probabilmente il giorno dopo nessun alunno sarebbe entrato in classe. Questa notizia mi confermò che era maturata una decisione anche fra la popolazione. Ritornai in sezione; c’erano altre persone pronte per uscire ad affiggere i manifesti. Presi la macchina ed uscii con Betto e Franco Del Brocco. Dovevamo affiggere la semplice scritta «SCIOPERO», sia sulle porte che sulle saracinesche dei negozi. Il giro fu più rapido e più facile del solito. Anche se la serata era umida, c’era ancora gente che circolava e si fermava mentre noi facevamo la sopra descritta operazione. Coloro che passavano ci facevano domande, volevano essere informati degli ultimi avvenimenti ed unanimemente terminavano i loro ragionamenti con colorite espressioni dirette al «Commendatore». Finito il lavoro, tornammo in sezione e lì arrivarono Oriano Pizzuti, Barbarossa, Angelo Perfili e qualche altro della «Paolina»; poi Tonino Palermo, Mario Papetti e Tommaso Angelini. La sezione si riempì di nuovo: altre verifiche e nuove notizie. Tutte rassicuranti; esse confermavano che l’interesse dei cittadini era molto vivo. Andammo, infine, a dormire. Ero stanco ma mi tranquillizzavano i fermenti promettenti riscontrati nei vari avvenimenti della giornata. Eppure ogni tanto il pensiero che lo sciopero non potesse riuscire o che vi potessero essere incidenti turbava il mio riposo. La mattina mi alzai ali’ alba. Ansioso presi l’automobile e girai il paese per vedere se i bar erano aperti. Notai subito che quello di via Roma e i due di piazza 25 Luglio erano chiusi. La scritta «SCIOPERO» era ancora li, affissa sulle saracinesche chiuse, quasi a darmi il buongiorno. Mai visione mi è stata tanto gradita quanto quella delle scritte affisse sulle saracinesche. Girai ancora con la Cinquecento aspettando l’apertura dei distributori di benzina. Tutto era chiuso e c’era scarso movimento di persone. Non si vedevano nemmeno gli studenti che di solito a quell’ora erano pronti a prendere l’autobus per andare a Frosinone.Alle otto c’era già qualcuno nella sezione del PCI, mentre Gerardo Masocco si muoveva nella sezione socialista. Mentre ci immettevamo sulla Morolense ci accorgemmo che su questa strada c’erano parecchi mezzi della polizia. Giulio Sindici, che guidava l’automobile ebbe qualche parola di sconcerto. Aldo girandosi verso di me che sedevo nel sedile posteriore mi disse «Su,dì qualcosa all’altoparlante». Per me fu un colpo improvviso, una richiesta che-
Capitolo 6 – Le elezioni del 1970
Le elezioni amministrative si dovevano tenere nell’autunno del 1969, alla loro scadenza naturale, ma il Governo preferì rinviarle alla primavera dell’anno successivo. Tale spostamento non era dovuto tanto a valutazioni riguardanti le elezioni dei Consigli Comunali e Provinciali, quanto alla novità politica del momento: le previste e temute elezioni dei Consigli Regionali a Statuto ordinario.
Negli anni precedenti erano andati a votare con scadenze diverse solamente gli elettori della Sardegna, SICILIA, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige. Erano, infatti, Regioni per le quali la Costituzione aveva previsto uno Statuto speciale.
Ora, dopo ventidue anni dalla promulgazione della Carta Costituzionale si andavano ad eleggere gli altri quindici Consigli Regionali. Con l’istituzione delle Regioni si dava così un grosso colpo alla struttura centralizzata dello Stato, arroccata attorno ai Ministeri ed alle Prefetture. Si apriva la possibilità di costruire la Repubblica delle autonomie, come auspicata dall’Assemblea Costituente.
Tale prospettiva in ambienti ministeriali e fra coloro che erano legati al potere reale creava forti preoccupazioni per il pericolo di perdita del potere stesso.
Senza fare la storia del regionalismo e la cronaca di quegli anni burrascosi, caratterizzati da un intenso dibattito sulla dottrina giuridica e sulla Costituzione e dai tentativi che fino a marzo ci furono per rinviare le consultazioni, mi limiterò solamente a ricordare che le elezioni comunali, provinciali e regionali, finalmente, vennero indette per il 7 ed 8 giugno del 1970.
Durante i mesi precedenti nell’interno delle fabbriche ciociare s’era venuta a determinare una situazione nuova caratterizzata dalla operatività delle Commissioni Interne alle nuove realtà aziendali e dalla democrazia operaia attuata attraverso le assemblee da tenersi durante l’orario di lavoro.
Nella Provincia di Frosinone non si erano evidenziati, in autunno, segnali di prevaricazione verso gli operai, al contrario di quanto verificato nella Provincia di Latina e Roma ove alla "Manuli" di Castelforte ed alla "Palmolive" di Anzio si erano verificati atti di aggressione fisica padronale nei confronti di operai e di dirigenti sindacali.
Il 12 dicembre la strage di Piazza Fontana a Milano apre la fase della strategia della tensione e tutti gli avvenimenti politici successivi sono da valutare in questo contesto.
La scadenza elettorale preoccupava gli uomini di governo, ma sollecitava l’Amministrazione Comunale di Ceccano, guidata da una Giunta di centro-
Non va dimenticato che da qualche tempo nella Provincia di Frosinone si era aperto un dibattito che evidenziava la mancanza di una industria trainante, idonea ad assicurare i prevedibili benefici in grado di sanare la situazione di squilibrio esistente. Il Comitato Interministeriale della Programmazione Economica (CIPE), pertanto, nell’esaminare il programma degli investimenti della Fiat nel Mezzogiorno, l’otto gennaio del 1970, riconobbe l’esigenza di localizzare nella zona di Cassino-
Fu un fatto importante, accolto con favore da tutti. In conseguenza di ciò, il Consorzio Industriale, continuando nella redazione del Piano Regolatore dell’intera Area, ritenne indispensabile predisporre uno stralcio preliminare relativo all’agglomerato Cassino-
Qualche mese più tardi, e precisamente il 31 marzo, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri venne approvato il Piano Regolatore del vecchio Nucleo industriale. Questo assunse, così, una dimensione urbanistica e concretizzò la sua funzione di piano territoriale di coordinamento dei singoli piani regolatori dei Comuni interessati (Frosinone, Ceccano, Patrica, Supino, Ferentino, Morolo, Veroli) i quali dovevano essere armonizzati con i elementi contenuti in quello generale del Nucleo. Tale provvedimento prevedeva l’allargamento, della superficie destinata all’industria, del vecchio piano del Nucleo da 400 a 2500 ettari.
Nello stesso periodo il PCI, attraverso un convegno tenuto a Cassino cerò di analizzare la condizione entro la quale sarebbe avvenuto l’insediamento della grande fabbrica torinese. In concorrenza con le forze di governo, esso si accreditò una funzione sollecitatrice per questo intevento.
La campagna elettorale
Con queste premesse si andò alla campagna elettorale.
Per le elezioni regionali l’unico candidato ceccanese a presentarsi fu Mario Maura, operaio, da più di cinque anni Consigliere Comunale per conto della lista del PCI.
Il PSI presentò il Dott. Ugo Bellusci, negli anni precedenti primario chirurgo presso l’Ospedale di Ceccano e varie volte Consigliere Comunale e Provinciale.
Per il Consiglio Comunale di Ceccano vennero presentate le liste della DC, PCI, PSI, PSDI, PSIUP ed una lista civica con soli undici candidati, composta da dissidenti DC.
Per il Consiglio Provinciale erano presenti dieci candidati.
Ceccano, forse con molto autocompiacimento ed anche con qualche esagerazione,si è ritenuta sempre l’università della politica locale. La politica ceccanese, infatti, era sempre stata caratterizzata da dibattiti accesi , da confronti forti, da risposte date sempre a tamburo battente e da limitate polemiche personali ma con il 1970 si raggiungeva il momento più alto di un dibattito politico civile, rispettoso e leale.
Eppure la campagna elettorale non fu né noiosa né priva di mordente, fu, invece, accompagnata da un’ampia e vivace partecipazione di popolo, che nelle con sultazioni successive via, via si andò, purtroppo, sempre più riducendo. Come era consuetudine, la prima forza politica a scendere in campo e a farsi sentire fu quella comunista, che in Piazza Madonna della Pace presentò i propri programmi ed i suoi candidati. Nei giorni successivi, a cominciare dal MSI, anche gli altri partiti fecero la stessa cosa. I temi al centro del confronto politico riguardavano la validità o meno della Regione, l’attività dell’Amministrazione Comunale, e in modo minore, quella della Provincia. Fra le forze politiche, inoltre, si discuteva e si chiedevano pronunciamenti e anticipazioni per le future alleanze.
La domenica precedente la consultazione elettorale, la lista civica, dall’alto di una aeroplano , fece lanciare sul centro abitato numerosi volantini che costituirono l’unico fatto inconsueto di tutta la campagna elettorale. Fu un gesto spettacolare, ma deludente per le banalità delle cose scritte.
Nello stesso giorno si seppe dell’assassinio del deputato missino Nicosia, ucciso a Palermo. Un altro dei tanti assassinii insoluti che determinò turbamento ed una frenetica iniziativa nell’elettorato missino.
I comunisti, impegnati quotidianamente a tenere comizi, rendevano ancor più gaie e colorite quelle tiepide serate primaverili, perché ogni volta si dirigevano nel posto ove si doveva tenere il comizio, ogni automobile ci teneva a far svolazzare la propria bandiera rossa. Era la prima volta che questo avveniva e ciò creava molta curiosità fra l’opinione pubblica. Le carovane di macchine con le bandiere rosse costituirono una novità, furono un elemento che era nello stesso tempo spettacolo, coreografia politica e liberazione. Tale modo di esprimere era nato spontaneamente, quasi cautamente, poi venne sempre più gradevole e coinvolgente.
La domenica precedente le votazioni senza alcun impegno organizzativo, si assistette ad un confluire di moltissime automobili, munite ognuna di una bandiera rossa, che si dirigevano verso la contrada di Colle Leo, dove si doveva tenere un comizio. Lo sventolio delle bandiere, la lunga teoria di automobili che si snodava lentamente lungo la strada, le note di " bandiera rossa" che uscivano nitide dall’altoparlante fissato sulla macchina che apriva il corteo, rendevano il pomeriggio gaio ed esaltante. Si assisteva ad un fenomeno alquanto coinvolgente: al passaggio della carovana, gli abitanti della contrada accorrevano lungo la strada per salutare e rendersi anche loro partecipi all’avvenimento.
In quell’angolo di Ceccano, ove più forte si era fatta sentire la richiesta per i servizi, si registrava uno spettacolo tutto particolare, fatto di calore umano, per via della presenza di uomini e di donne, di cittadini del centro e della campagna ma anche di colore vero e proprio, per via di quel rosso predominante dovuto alle numerose bandiere sistemate nelle vicinanze del luogo dove si doveva tenere il comizio o tenute a spalla dai convenuti.
Luciano Natalizi candidato al Comune e che per oltre venti anni sarà il punto di riferimento per i cittadini della contrada, era il più radioso di tutti. Quella moltitudine di persone, quello sventolio di bandiere aveva incuriosito prima ed incoraggiato poi, le persone più incerte ed indifferenti. Quella capacità di mettere insieme cittadini del centro e delle campagne fu un fenomeno che caratterizzò quegli anni, quando la solidarietà e l’uguaglianza erano valori non solo declamati ma anche perseguiti, non ancora minacciati dall’individualismo esasperato e dalla corsa spregiudicata verso l’arricchimento.
Nei giorni precedenti le elezioni anche i socialisti utilizzarono questa forma di intervento politico circolando con le loro bandiere rosse, anche se Gerardo Masocco sulla sua automobile preferiva issare la bandiera del Vietnam.
Solo nell’ultimo giorno della campagna elettorale con spirito di emulazione si videro uscire i democristiani dalla loro sezione con le bandiere bianche per dirigersi a piedi al loro comizio di chiusura che si tenne in Piazza Municipio.
La frenetica attività della Giunta
Il confronto fra i partiti era corretto e civile. Le parti in causa ed i candidati usavano argomenti politici per affermare le proprie ragioni, ed ogni partito con orgoglio amava far sventolare i propri vessilli. Ma la campagna elettorale non si faceva solo sulle piazze ed agli angoli delle strade, con comizi, annunci o discussioni; essa veniva portata avanti anche nel chiuso del "palazzo", attraverso atti deliberativi e concrete realizzazioni.
E’ opportuno allora seguire quello che la Giunta in carica deliberava e realmente realizzava in tempi eccezionalmente rapidi, proprio negli ultimi giorni, anzi nelle ultimissime ore precedenti la consultazione elettorale per ottenere consensi e suffragi. Il ventidue maggio, la Giunta di centro-
Il venticinque maggio la Giunta si riunì di nuovo per accettare un contrito di duemilionicinquecentomila lire da parte della SNIA BPD, destinato ad asfaltare il tratto di strada tra il ponte sul Cosa e i cancelli della fabbrica stessa.
Il primo ed il cinque giugno la Giunta tornò a riunirsi per deliberare l’allungamento della condotta idrica di Via Gruttina verso l’Armiconto. Venne previsto, altresì, il ripristino della rampa di Mura Castellane e delle cunette di Via Madonna della Pace. Inoltre venne deliberata la messa in opera di tre punti luce a Colle S. Paolo e di altri tre a Colle Leo. Per quest’ultima contrada l’atto deliberativo fu tanto perfetto da individuare con esattezza il numero civico delle abitazioni da "illuminare": il 101, il 195, il 334. Con una tempestività insolita tutti gli impegni deliberati vennero realizzati qualche ora prima della apertura dei seggi.
I risultati elettorali
Le elezioni si tennero con regolarità nei giorni 7 e 8 giugno. Nel pomeriggio di lunedì si aprirono le urne per scrutinare le schede del Consiglio Regionale.
Era la prima volta che si votava per questa istituzione. Non esisteva dunque la possibilità di fare comparazioni o di avere punti di riferimento.
Il voto aveva caratteristiche simili a quelle della Camera dei Deputati.
L’esito, comunque, poteva essere indicativo per intuire in anticipo le preferenze dei ceccanesi, riguardanti le elezioni comunali e provinciali , scrutini che si sarebbero tenuti la mattina del giorno successivo.
I risultati delle elezioni regionali videro l’affermazione del lista del PCI che mantenne il 37,1% mentre la DC si dovette accontentare di un 30,5% .
Il dato politico significativo era che solamente a Ceccano, fra tutti i comuni della provincia, il PCI difendeva le posizioni rispetto alle elezioni politiche di due anni prima, perché esso in altre realtà arretrava.
La DC invece aveva avuto un notevole arretramento. Il voto ottenuto dal PCI esprimeva un risultato stazionario solo a prima vista, in effetti era pieno di significati perché anticipava una crescita che si affermerà negli anni successivi.
Questo risultato induceva la gran parte dei comunisti a ritenere che il giorno successivo anche per le elezioni provinciali e comunali quei voti sarebbero stati riconfermati. Se ciò si fosse verificato sarei stato eletto nel Consiglio Provinciale, mentre nel Consiglio Comunale il PCI sarebbe aumentato di tre consiglieri.
Quella sera ricordo molti visi radiosi accompagnati da altrettante considerazioni ottimistiche. Si percepivano in giro sentimenti fatti di speranze e di rosee aspettative. In autunno c’era stata la vittoria degli operai di Annunziata in un quadro nazionale che vedeva il rafforzamento della democrazia operaia e del potere di contrattazione sindacale. Ora c’era l’istituzione della Regione, con tutto quello che di nuovo rappresentava; insomma, si individuavano chiaramente nuove forme di democrazia dentro e fuori la fabbrica, nella società e nello Stato.
Tutti aspettavano con trepidante attesa l’indomani.
Non assistetti direttamente a ciò che avvenne il martedì a Ceccano, poiché mi trovavo a l’Aquila a sostenere degli esami.
E’ facile immaginare in che stato di trepidazione e di attesa mi trovassi quella mattina e facevo uno sforzo enorme per concentrarmi sugli esami poiché il mio pensiero era rivolto a Ceccano e a come stavano procedendo gli avvenimenti. Era la prima volta che in un momento politico così importante e particolare mi trovavo lontano dai miei compagni di partito, e non vivevo insieme a loro le tribolazioni, le aspettative, le ansie che il momento riservava.
La notizia della mia avvenuta elezione a Consigliere Provinciale mi fu data nella tarda mattinata in modo inusuale e forse anche spettacolare considerato il luogo austero e per certi aspetti militaresco, in cui mi trovavo.
Mentre mi accingevo a terminare il secondo esame della mattinata il Direttore dell’ISEF comparve improvvisamente in palestra chiedendo se tra i presenti ci fosse Angelino Loffredi. Il mio professore esaminatore mi indicò al Direttore e questi alzando ancora di più la voce, di fronte ad una platea muta e curiosa di sapere cosa stesse succedendo, disse:<<Giovanotto, ti comunico con molta soddisfazione, che sei stato eletto Consigliere Provinciale . Sono convinto che ti farai molto onore, dopo aver studiato in un importante centro di studi come l’Aquila>>.
Con fare più solenne mi strinse la mano.
Trascorsi il resto della giornata alquanto stordito e aspettando con trepidazione che arrivasse la sera, perché telefonicamente avrei avuto notizie più dettagliate. La telefonata infatti arrivò puntuale e mia moglie telegraficamente mi aggiornò sulla situazione. Per le elezioni provinciali, nelle sedici sezioni elettorali che componevano il Collegio di Ceccano 1, avevo preso 2815 voti pari al 33,9%. Risultavo essere il quarto dei sei consiglieri eletti nelle liste del PCI. Ero l’unico candidato ad essere stato eletto nel Collegio di Ceccano 1, mentre Bonanni era stato eletto nel collegio di Frosinone. Secondo mia moglie, che per altro riportava le sensazioni dei compagni di Ceccano, nelle elezioni comunali per il PCI non era andata secondo le previsioni perché erano stati eletti dieci consiglieri, solamente uno in più rispetto alle elezioni precedenti, mentre la DC ne aveva avuti 12, due in più, il PSI cinque, il PSU-
A tanti chilometri di distanza e sicuramente a mente più fredda e senza condizionamenti, la reazione dei compagni mi sembrò spropositata, ingenua e in definitiva politicamente errata.
L’aver scrutinato prima le schede del Consiglio Regionale per il quale il PCI prendeva il 37,1% dei voti, poi quelle per il Consiglio Provinciale con il 35% ed infine quelle riguardanti il comune con il 28% aveva deluso la gran parte degli elettori comunisti. Gli aspetti psicologici erano stati prevalenti rispetto alla riflessione politica.
Infatti raffrontata alle elezioni politiche precedenti la forza del PCI progrediva notevolmente e questo avrebbe dovuto bastare. In Consiglio Comunale i consiglieri da nove passavano a dieci. Nel Consiglio Provinciale dal 26% arrivava al 35%.
Se lo scrutinio delle schede avesse avuto un ordine inverso e cioè si fossero fatte prime le comunali, successivamente le provinciali, infine le regionali allora per i comunisti ceccanesi l’entusiasmo sarebbe arrivato alle stelle.
L’altra verità riguardava il fatto che la DC, battuta sia alle regionali che alle provinciali, alle comunali diventava il primo partito ottenendo una brillante affermazione, passando da dieci a dodici consiglieri.
Ritornai a Ceccano la sera successiva, dopo aver sostenuto altri esami. La prima persona che vidi fu Aldo Papetti, il quel periodo segretario della Sezione PCI.
A suo modo cercava di capire le delusioni provate dai compagni. Vi si immedesimava tanto da rimanerne passivamente coinvolto: il mancato successo della lista alle elezioni comunali lo aveva prostrato.
Per i compagni, ma ebbi l’impressione anche per lui, un seggio in più era troppo poco.
L’altro ragionamento riguardava il voto complessivo della sinistra, in quanto essa arrivava con il PSI ad avere 15 consiglieri. Una forza insufficiente per fare una Giunta. Il partito socialdemocratico in quel periodo era ritenuto troppo legato alle scelte DC. Dalle forze di sinistra esso veniva chiamato il partito della crisi e dell’avventura, per rimarcare alcuni connotati di destra che in quei mesi caratterizzavano il partito di Tanassi.
Aldo mi ricordava che l’attesa più importante per i compagni riguardava l’esito delle elezioni comunali.
Quella sera ma anche nelle riunioni successive non fummo in grado di poter valutare in modo approfondito il risultato elettorale. Fu un limite analitico che in seguito non aiuterà positivamente lo sviluppo del PCI.
Con Aldo quella sera ci limitammo a concordare la data per la riunione da convocare ed alcune indicazioni politiche da dare.
Con il senno del poi cercherò di dare una mia interpretazione di quell’esito. Il voto ottenuto nel Consiglio Regionale era legato al fatto che negli ultimi diciotto mesi la sezione aveva sviluppato una iniziativa continua attorno a problematiche differenziate. Anche se non si trattava di un rpogetto alternativo a quello DC, poiché mancava una politica urbanistico-
Di questa forte valenza politica era stato favorito anche il voto per le provinciali. La mia candidatura esprimeva, inoltre, molto ben quanto di nuovo stesse avvenendo nella sezione ed il forte grado di unità interna raggiunto.
Alle elezioni comunali è la DC il primo partito
Era molto poù complesso e difficile fare una valutazione sul voto comunale.
In casa comunista, se il rinnovamento era percepibile chiaramente con la mia candidatura alla Provincia, diventava più In casa comunista, se il rinnovamento era percepibile chiaramente con la mia candidatura alla Provincia, diventava più In casa comunista, se il rinnovamento era percepibile chiaramente con la mia candidatura alla Provincia, diventava più sbiadito, o meglio non si evidenziava affatto con la presenza di Vincenzo Bovieri, capolista e candidato a Sindaco. Bovieri, in condizioni fisiche alquanto precarie, non aveva partecipato a nessun comizio e a nessuna manifestazione, e ciò non era stato incentivante perché non sollecitava voti, anzi aveva causato molti problemi.
Nella Dc la situazione era completamente diversa. Le candidature erano assicurate da uomini, che pur non avendo svolto attività politica in senso pieno, avevano forti legami con i cittadini per via della loro funzione professionale. Aldo Maliziola era funzionario dell’INPS; Orazio Trotta era impiegato presso l’Ufficio del Registro; Antonio Masi era segretario presso l’Ospedale di Frosinone; Titta Liburdi era Direttore dell’Ufficio Postale; Carlo Martini, che rappresentava il "volto umano" dell’azienda, era capo del personale presso lo stabilimento Annunziata; Peppino Del Brocco era responsabile dell’approvvigionamento presso la Elicotteri Meridionali; Renaldo Cinque, inoltre, era proprietario di un caseificio e dell’annessa porcilaia. Una figura emergente che aveva alle spalle una quarantina di dipendenti accaniti sostenitori, ed uan serie di amicizie personali.
Il successo personale della DC alle comunali, inoltre, era dovuto principalmente alle trasformazioni industriali e quindi al fatto che Battista rappresentasse e gestisse queste novità.
La grande influenza avuta in queste circostanze dal processo di industrializzazione emerge in modo eloquente se andiamo a confrontare alcuni voti di preferenza: Battista ottenne 1400 preferenze mentre Piroli, capolista e sindaco uscente, appena 800. Lo scarto notevole di voti fra i due rappresenta la cartina al tornasole di come le modifiche del territorio influenzassero il voto. Stava per finire l’epoca dei notabili e si stava affermando la DC legata al mondo industriale e alla burocrazia.
L’antagonismo bipolare fra Gigetto e Checchetto aveva caratterizzato per diciotto anni le vicende interne della DC. Battista ora diventava l’uomo forte, gestore di uno straordinario potere, con ingenti leve di comando a disposizione.
Per molto tempo la forza dirompente dell’Area Industriale era stata sottovalutata dal PCI; fu Ignazio Mazzoli, segretario della federazione all’indomani delle elezioni politiche del 1972 ad avviare una riflessione autocritica nell’interno del partito.
Per anni il fenomeno era stato liquidato con il semplicistico termine clientelismo, una definizione equivoca ed espressione di fatalismo e di impotenza politica. In questo modo il processo di industrializzazione ed il ruolo di Battista non venivano focalizzati bene, così come non si vedevano le trasformazioni che avvenivano con la presenza di nuove forze sociali e di nuove figure professionali che apparivano nel processo di crescita. Dal 1972 la federazione del PCI impegnò tutta la propria forza per seguire lo sviluppo industriale senza semplificazioni e senza demonizzazioni, ma avendo come punto di riferimento una propria piattaforma regionale.
In questa maniera il PCI fu in grado di conoscere gli aspetti essenziali dello sviluppo e le contraddizioni che scatenava, proprio in mancanza di una programmazione. E’ in questo quadro che venne aperta una vertenza per lo sviluppo dell’agglomerato Isola-
In particolar modo la federazione del PCI avviò una serie di iniziative per cercare di equlibrare le dimensione dell’industria senza modificare la funzione dell’agricoltura. Fu un lavoro non semplice ma attraverso un impegno continuo che coinvolte i propri militanti, il PCI potette presentarsi alle elezione del 1976 non come un partito di oppositori ma come una forza di governo.
A Ceccano una fase elettorale veniva archiviata, un’altra, con un obiettivo ancora più importante, si apriva: entrare in Giunta Comunale.
Capitolo 7-
Come spesso avveniva in ogni sezione di partito, all’indomani delle elezioni comunali, l’esame del voto non si faceva in modo serio ed approfondito rispetto agli altri argomenti del dibattito. La valutazione delle preferenze personali conquistate prevaleva di gran lunga l’analisi dei fattori che avevano determinato l’accrescimento o la diminuzione dei voti di partito. Questa angustia di interessi e di metodo penalizzava sempre la possibilità di valutare il da farsi e di capire come dar vita alla Giunta futura. In concreto avveniva che i candidati non eletti, spesso vittime e complici di accordi non mantenuti con e da altri candidati, scaricassero frustrazione, rabbia e delusione, tali da condizionare negativamente la discussione e l’esame oggettivo del risultato elettorale stesso. Con la nuova legge elettorale e con la preferenza unica oggi ogni candidato gestisce la propria campagna elettorale da solo e non in compagnia di altri candidati, pertanto, non può dare la colpa di «tradimento» a nessuno, diversamente da come è avvenuto in tutte le passate elezioni. In quella occasione la consuetudine venne riconfermata. Gli scontenti esistevano e si facevano sentire all’interno di tutte le sezioni. Inoltre si apriva una polemica anche attorno al voto del Consiglio Provinciale. Fra i democristiani, infatti, mugugno e lamentele venivano manifestati dal Dott. Lucchetti e da moltissimi suoi amici che ritenevano troppo esigui i voti ottenuti nelle elezioni provinciali. Una situazione ancora più turbolenta esisteva in casa socialista. Anche in questa sezione si ritenevano limitati i voti arrivati sul candidato alle provinciali, Gapulli, ma ancora di più si faceva sentire la mancata elezione di Dante Diana e Pia Capoccetta, ambedue Assessori Comunali uscenti, e dello stesso capolista Amedeo Gizzi. Ugualmente forte era lo scontento di Remolo Pizzuti e di Lorenzo Carlini, a loro dire vittime di inganni e scorrettezze perpetrati da alcuni Consiglieri eletti. Anche nell’interno della sezione comunista era più che evidente la delusione dei non eletti. Oltre la metà di questi non rimetterà più piede nella sezione. Questo dato potrà sembrare esagerato o inverosimile ma i comunisti accompagnavano le proprie delusioni con un silenzioso abbandono della militanza. Precedentemente è stato riportato che l’alleanza dei partiti che davano vita alla coalizione di centro sinistra (DC-
Vediamo meglio perché.
L’accordo era firmato, tutto era ufficiale, dunque, ma il nuovo Consisti Comunale tardava ad essere riunito. Secondo la legge, era la Giunta : doverlo convocare, ma questo non avveniva, non solo perché i democristiani e il socialdemocratico non avevano nessuna convenienza e nessuna volontà ma anche perché stranamente i tre Assessori socialisti non lo chiedevano con dovuta convinzione.
Ecco così emergere la doppiezza di un certo modo di fare politica; l’accordo non era stato contestato, non esisteva esplicito dissenso, anzi la sera della sottoscrizione dell’intesa, sul foglio che lo sanciva erano state p di venti dirigenti socialisti, il che dimostrava la forte adesione a questa ics con questa premessa si intuiva una riserva strisciante, subdola e mai espressa. te dichiarata che influiva negativamente proprio su di un centro decisionale quale la Giunta. La sezione socialista aveva sottoscritto ma non aveva la forza per determinare i conseguenti comportamenti dei j Assessori. Si susseguirono attese, prudenze, tatticismi: incominciai delinearsi uno scenario in cui si intravedevano furberie, reticenze, cai coi In quei giorni si avvertiva, inoltre, la sensazione che a livello delle federazioni PSI, PSU-
Uniti contro l’inquinamento
II tempo passava, la disillusione incominciava a prender? speranze e delle attese per un facile e repentino cambiameli temporeggiava ed appariva indeciso sulla prospettive di dare per la guida del Comune, vennero prepotentemente alla luce la questione dell’inquinamento del fiume Sacco e dell’ambiente circostante. Quella estate il fiume presentava un colore più scuro del solitoci periodo di magra contribuiva a farlo diventare nauseabondo, inoltre, ogni tanto evidenziava colori diversi ma il bianco della schiuma era sempre prevalente. Mai come in quella stagione del 1970, inoltre, proliferarono zanzare e sciami di piccoli insetti aggressivi e fastidiosi che resero insopportabile la vita all’aperto. Questi ultimi venivano chiamati «Annunziatine» da quando l’avvocato Giuseppe Ambrosi così li aveva battezzati, perché nascevano e proliferavano dalle noci di cocco che servivano come materia prima per la produzione del sapone nell’interno dello stabilimento «Annunziata». Alla vigilia di Ferragosto, per fronteggiare i suddetti problemi vennero portate avanti due iniziative convergenti: una in direzione dell’Amministrazione Provinciale per ottenere alcuni interventi ed un’altra pubblica da svolgersi in piazza. Nella mattinata, una delegazione di Consiglieri Comunali e di cittadini si incontrò nel palazzo della Provincia con il Presidente Eugenio Giovannini, il quale si dichiarò disponibile ad inviare una motobarca in dotazione della Provincia per tagliare i cespugli situati lungo le rive del Sacco, ove si annidavano le larve delle zanzare, mentre espresse la propria impotenza a fronteggiare il problema dell’inquinamento del fiume. Quella sera, il comizio in piazza Berardi fu tenuto dal Senatore Angelo Compagnoni, dal neo eletto Consigliere Regionale Ugo Bellusci e dal Sindaco Luigi Piroli. Esso si risolse in una necessaria e doverosa manifestazione di protesta ma non in un momento di proposte concrete ed alternative. La scelta dei tre oratori, concordata con il segretario del PSI Gapulli, avrebbe dovuto rappresentare non solo il consolidamento dell’accordo fra PCI e PSI, ma anche scoraggiare le iniziative della federazione socialista tendenti a sostenere una scelta di centrosinistra . La presenza di Piroli, ancora di più, non solo avrebbe assunto un significato istituzionale, poiché in qualità di Sindaco prendeva posizione contro gli inquinatori, ma avrebbe avuto una funzione preparatoria, propedeutica ad un eventuale allargamento dell’alleanza PCI-
I socialisti ci ripensano
Anche dopo questa importante iniziativa politica, l’indecisione rimase un dato permanente nell’interno del partito socialista. Alla fine di agosto improvvisamente si seppe dell’accordo raggiunto fra DC-
DC e PSI stracciano l’accordo con i socialdemocratici.
Quella estate, infatti, stava preparando nuove sorprese. Pur con questo nuovo accordo sottoscritto la Giunta non convocava il nuovo Consiglio per gli adempimenti dovuti. Si ripeteva, così, anche in questa occasione il teatrino delle falsità e delle ipocrisie, al quale avevamo assistito nelle settimane precedenti. Si arrivò a settembre senza che alcun provvedimento fosse stato preso, fino a quando una mattina «II Messaggero» nella cronaca di Frosinone riportò, a grande titolo, la notizia di un ulteriore accordo raggiunto, questa volta solamente fra i democristiani ed i socialisti, che escludeva i socialdemocratici. Fu un fatto improvviso ed inaspettato. Non erano altro che le propaggini, la coda di quanto già avvenuto presso l’Amministrazione Provinciale qualche settimana prima, ove il PSU-
Si tesse un’altra tela.
Le decisioni prese il sabato notte, vennero conosciute da tutti i cittadini la domenica mattina in piazza 25 Luglio allorquando si assistette ad un frenetico andirivieni di persone che si congratulavano e scambiavano calorose strette di mano con quegli uomini che avrebbero dovuto far parte della Giunta. Si assisteva così ad una passerella di persone che di colpo si sentivano «personaggi» e ostentavano la propria immagine e la propria amicizia con compiacimento e vanità, sperando che quella mattina non finisse mai. Oltre a questa atmosfera carica di soddisfazione e contentezza in piazza aleggiava anche scontento e risentimento specialmente tra il gruppo dei comunisti, radunato in prossimità della loro sezione ed il livore superò ogni limite quando assistettero al prolungato abbraccio che si scambiarono Checco Battista e Pio Spinelli. Proprio quel Pio Spinelli che la sera del 13 luglio era stato il primo firmatario dell’accordo tra socialisti e comunisti, precedendo addirittura la firma del segretario della sezione, Gapulli. Di fronte a queste scene la forza della disperazione aguzzò l’ingegno di qualcuno, tanto che Bicetto Canestrelli rivolto al suo gruppo di compagni disse «Ma Gigettino che posizione prenderà?» e poi rigirandosi verso di me completò il suo pensiero, quasi intimando, «Va sentito!». Bicetto aveva visto giusto, anzi aveva anticipato quanto si preparava ad accadere perché ad un certo momento, infatti, mi si avvicinò Franco Bruni, dipendente comunale e con parole quasi sussurrate mi disse: «Ti cerca Gigettino, ti aspetta su in Comune». Era quello che mi auguravo, non attesi altro tempo e mentre mi avvicinavo al palazzo comunale immaginavo compiutamente il significato di quell’invito. Salii velocemente le scale del Comune ed entrai nella stanza del Sindaco. Piroli affrontò immediatamente l’argomento che mi aspettavo aprisse: «Conoscerai quello che è successo questa notte. Non voglio fare brutta figura, prima di muovermi voglio sapere se il PCI è ancora disponibile a fare una Giunta con me come Sindaco». Dunque aveva fatto la sua scelta. Era pronto a varcare il suo Rubicone ma ovviamente cercava garanzie per non annegare. Gli risposi che era una ipotesi possibile e nello stesso tempo volli sapere, inoltre, su quali Consiglieri pensava di poter contare. La risposta mi fu data con tranquillità e sicurezza «Posso contare su due socialdemocratici, due socialisti, due de compreso il sottoscritto e, se siete disponibili, su dieci comunisti. Bisogna però fare presto, non perdere tempo, sorprendere quelli che domani vogliono altre soluzioni amministrative». Gli risposi che in linea di massima ero d’accordo ma che dovevo parlare con gli altri compagni e che comunque era necessario riunire insieme tutti i futuri, potenziali partners di maggioranza. Ci lasciammo rimanendo d’accordo che ci saremmo risentiti in serata. Mentre uscivo dal palazzo sulla piazza del municipio incontrai, salutandoli, il dott. Lucchetti e Enrico Martella che si accingevano anche loro a salire dal Sindaco. In piazza nel frattempo era arrivato Aldo Papetti, segretario della Sezione PCI, al quale raccontai l’accaduto invitandolo a sentire Piroli, per confrontare successivamente le sue con le mie impressioni. Quando ritornò mi disse che a parer suo Piroli era sostenuto da molte persone, anche da dirigenti provinciali e che comunque aveva avuto la percezione che Gigettino ci ritenesse nell’interno della sezione ancora fragili e vulnerabili, per cui egli era sembrato incerto sulla nostra capacità di concludere l’accordo. In verità non capii se la preoccupazione esposta fosse di Piroli o di Aldo stesso, e così mi espressi «La verità è che l’ipotesi di avere Sindaco Piroli non sarà gradita a Bovieri e ad altri compagni, comunque la scelta va fatta, anche perché seppur in maniera ipotetica, essa dalla Sezione non è stata mai esclusa. Se Piroli cerca dei garanti alle nostre posizioni facciamolo parlare con Bicetto Canestrelli». La nostra giovane età, la limitata militanza nell’interno della sezione, un processo di rinnovamento avviato ma non ancora consolidato, per un certo periodo erano stati elementi positivi per le prospettive di cambiamento che si aprivano nell’interno della città di Ceccano, ma in certe occasioni diventavano un punto debole. Non per niente in quel periodo mi capitava di discutere e patteggiare con uomini che a volte avevano venti anni più di me ed una lunga esperienza politica alle spalle. Nel tardo pomeriggio Aldo e Bicetto Canestrelli, uomo di grande prestigio, già Vicesindaco di Ceccano, di cui da tempo conoscevamo la sua posizione favorevole a Piroli Sindaco, si incontrarono ad Amaseno, nella casa del vigile urbano Lucari, con lo stesso Piroli. A sera ritornato da Amaseno, Aldo mi annunciò che Piroli era favorevole a sostenere la candidatura di un Vicesindaco comunista e che comunque ci saremmo visti tutti alle undici di sera nel locale di Pizzuti, meglio conosciuto come «Giamattistigli», gestore di una rivendita di generi alimentari con annessa osteria, posta lungo la strada statale, in contrada Maiura. All’ora prevista Aldo mi venne a prendere e avviandoci al luogo convenuto avemmo cura di prendere tutte le precauzioni necessarie per non essere notati poiché, visti i precedenti, l’arma migliore rimaneva la sorpresa. All’incontro erano presenti il dottor Panfili, laeder storico ed indiscusso della socialdemocrazia ceccanese, Walter Apruzzese e Lucio Giovannone, consiglieri socialisti, Romolo Pizzuti, Lorenzo Carlini ed Rico Gizzi dirigenti del PSI, infine, Piroli unico democristiano presente. Aprì la discussione quest’ultimo mettendo in evidenza l’accaduto e le scelte dei partiti. Ai presenti toccava secondo lui il compito di preparare l’organigramma di una Giunta da votare il giorno dopo, ma si guardò bene dal fare delle proposte. Il primo ad intervenire nel merito della questione in oggetto fu Rico Gizzi, che denunciò alcune scorrettezze commesse da candidati socialisti verso suo padre Amedeo, per il quale chiedeva, come atto riparatore, la nomina nel Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale. Di fronte alla nostra sorpresa (di Aldo e mia) a discutere di un argomento non previsto ci venne chiarito che esso doveva far parte dell’accordo complessivo. Dopo Gizzi parlò il dott. Panfili. Egli ripercorse le vicende post elettorali, il tradimento dei socialisti e dei democristiani,colpevoli di aver rinnegato gli accordi. Anche lui, però, scivolò dritto nel cuore del problema. I Consiglieri socialdemocratici erano due, pertanto, chiedeva l’Assessorato ai Lavori Pubblici per Felice Di Mario e per sé l’incarico di rappresentare il Comune presso l’ente ospedaliere, in base alla sua conoscenza dei problemi sanitari. Giovannone e Apruzzese furono ancora più sintetici dei due interlocutori precedenti ponendo la loro candidatura alla carica di Assessore. Ai presenti, Pizzuti e Carlini, sarebbe andata la presidenza dell’ECA, ma non facemmo nessuna scelta specifica. Piroli, quando si accorse di aver dimenticato un’altra proposta, riprese a parlare chiedendo il settimo posto in Giunta per l’altro Consigliere della DC che 10 avrebbe sostenuto. Infine, quello che rimaneva, due Assessorati, compresa la carica di Vicesindaco, vennero assegnati al PCI. L’incontro non si svolse come Aldo ed io avevamo immaginato. Quella sera ci sentivamo alquanto intimiditi pensando di dovere discutere del futuro di Ceccano con persone che avevano avuto grandi esperienze amministrative. Coscienti dei nostri limiti e della nostra inesperienza a riguardo, ci eravamo preparati a questo incontro buttando sulla carta alcuni appunti programmatici, ma rimanemmo delusi allorquando ci rendemmo conto che l’oggetto prevalente, o meglio, esclusivo, era l’assegnazione delle cariche. Per il PCI era una trattativa pesante, e puramente inaccettabile, eppure era il prezzo che si doveva pagare per avere una «legittimità democratica». Era un costo oneroso, aldilà del quale, però, temevamo l’emarginazione e l’isolamento.
Ma quello che ci sospingeva a pagarlo era la convinzione di poter legare l’istituzione comunale al grande movimento rivendicativo nato con la nostra volontà e la nostra presenza attorno alle questioni riguardanti i servizi cittadini e a quello della democrazia operaia. Inoltre, e’era da tener conto dell’eventualità di vedere eletto Sindaco Battista. Al potere che gli veniva dall’essere Presidente dell’Area Industriale e segretario di sezione si sarebbe aggiunto quello derivato dall’essere Sindaco. La creazione di questo monopolio politico era ciò che più temevamo. Formalizzato a voce l’accordo, Aldo chiese che si firmasse un documento. A quel punto Panfili con voce un pò alterata disse: «Io già ho firmato un documento che successivamente è stato rinnegato da altri. Non firmerò più nessun altro pezzo di carta, pertanto, l’ accordo di questa sera lo sottoscrivo con una stretta di mano. La mia è una parola d’onore di socialdemocratico non di socialista». Allungò la mano e tutti gliela stringemmo calorosamente. Mentre tornavamo a casa tutte le precauzioni prese per rendere l’accordo segreto, di colpo rischiarono di svanire, quando in via Gaeta, trovammo i Carabinieri con mitra spianati che perquisivano Panfili, fatto scendere dalla sua automobile, da una parte, e Giulio Sindici e Mario Papetti, dirigenti della sezione comunista, dall’altra. Cosa era successo? Questi ultimi due andavano alla disperata ricerca di Aldo e del sottoscritto, perché non vedendoci in giro avevano intuito che qualcosa di nuovo stava accadendo. Nonostante l’imprevisto blocco dei Carabinieri che avevano fermato anche le auto di ritorno da «Giamattistigli», a causa di un furto effettuato in casa del dott. Igi, arrivato a casa passai il resto della nottata dormendo saporitamente. La mattina seguente, verso mezzogiorno, Dante Diana,primo dei non eletti della lista socialista presentò la richiesta di ineleggibilità nei confronti di Pio Spinelli. Alla base del ricorso c’era il fatto che Spinelli, Presidente dell’ECA, aveva fatto la campagna elettorale rimanendo in carica nell’Ente fino a tre giorni prima del voto, senza dimettersi, così come invece imponeva la legge. Qualche ora prima del Consiglio Comunale, convocato per le diciassette, si tenne una riunione nella sezione comunista. L’accordo fatto da «Giamattistigli» non venne contestato da nessuno, nemmeno da Bovieri, anzi c’era molta gioia per l’operazione compiuta. Il blitz notturno aveva ridato coraggio ai delusi ed ai depressi. Aveva mostrato il nostro tempismo e la capacità di saper intervenire e modificare una situazione che sembrava compromessa. Il PCI scelse senza difficoltà i Consiglieri da designare per la Giunta. Vennero indicati Aldo Papetti per la carica di Vicesindaco e Marie Maura come Assessore. Prima di sciogliere la seduta venne raccomandato ai presenti una particolare riservatezza circa le notizie appena conosciute. Si uscì dalla sezione andando difilato, tutti insieme verso il palazzo comunale. Per strada salutammo, senza fermarci, quanti cercavano di avere notizie e di essere informati sugli ultimi avvenimenti. Ognuno cercò di tutelare al meglio le cose che conosceva. Fummo gli ultimi ad arrivare in Consiglio. C’era molta gente lungo le scale che portavano nell’accaldata aula consiliare entro la quale facemmo fatica ad entrare. Gli uomini designati dai partiti di centro-
Altre incertezze.
Si passò quindi all’esame del ricorso inoltrato da Dante Diana contro l’eleggibilità di Pio Spinelli. Era un fatto importante, quasi un provino di quanto doveva succedere. Sia l’uno che l’altro erano stati candidati con le liste del PSI: ambedue, ovviamente, erano iscritti allo stesso partito. La vicenda fece scalpore poiché era la prima volta che i cittadini assistevano ad un contenzioso simile. L’argomento, una volta messo in discussione dal Presidente, vide intervenire proprio Lucio Giovannone, il quale con una incredibile capacità scenica usò toni eccezionalmente critici verso Diana, colpevole, secondo lui, di una scandalosa iniziativa. Annunciò, altresì, il voto compatto del gruppo socialista a difesa di Spinelli. L’intervento di Lucio mi raggelò. Temetti un ripensamento rispetto alla sera precedente. Con gli occhi cercai Compagnoni e Papetti e nei loro volti pallidi vidi incertezza e preoccupazione. Alla dichiarazione sconcertante di Giovannone si aggiunse un altro elemento ancora più preoccupante: Vincenzo Masi, Consigliere del PCI, ancora non era entrato in aula. II treno che lo doveva portare da Roma, ove lavorava, non era ancora arrivato. In quel momento la richiesta di Dante Diana di non eleggere Spinelli contava, sulla carta, su quattordici voti (nove PCI, due PSDI, Piroli ed un altro democristiano che ancora non conoscevamo infine Apruzzese) ed ammesso che Giovannone avesse recitato si poteva arrivare a quindici. Quindici contro quattordici. La scelta di Giovannone dunque diventava importante. Furono attimi di trepidazione che sembrarono lunghissimi. Si andò a votare e Battista alla fine dello scrutinio dovette riconoscere che diciassette consiglieri contro dodici chiedevano la decadenza. Il risultato era andato oltre ogni previsione e fu sorprendente e imprevedibile. Un colpo di scena eccezionale. Solo Battista,una volta che Diana prendeva il posto di Spinelli, intuì quanto stava per avvenire e cosa potesse essere successo. Immaginò chiaramente di essere caduto in una imboscata, della quale ancora non poteva conoscere direttamente né gli organizzatori, né gli esecutori. Con una idea improvvisa ma tempestiva si alzò ed invitò tutti i Consiglieri di maggioranza ad abbandonare l’aula per far mancare il numero legale poiché la legge, alla prima seduta, imponeva la presenza di almeno venti Consiglieri. Il colpo gli riuscì, perché nessuno dei «congiurati» appartenente alla nuova maggioranza uscì allo scoperto, o si fece identificare, preferendo, al contrario, fare ancora il gioco delle parti. La seduta fu sciolta e il Consiglio venne convocato cinque giorni dopo. Questa volta tutto diventò più chiaro, in quanto le posizioni, finalmente, si delinearono nettamente, si votò per la Giunta, che ebbe Piroli Sindaco ed Aldo Papetti Vice. Ma rispetto alle decisioni prese nella notte di «Giamattistigli» ci furono altre novità: la nuova maggioranza non risultò composta di sedici consiglieri ma si allargò a diciotto; i democristiani che si schierarono con Piroli furono due (Antonio Masi e Renaldo Cinque); in Giunta entrò Dante Diana, terzo socialista dissidente, mentre nessun dei due democristiani sostenitori di Piroli mostrò interesse ad entrare nell’esecutivo.
I Consiglieri Comunali eletti erano per la DC: Battista Francesco, Piroli Luigi, Martini Carlo, Trotta Grazio. Maliziola Aldo, Cinque Renaldo, Masi Antonio, Liburdi G.Battista, Del Brocco Giuseppe, Bartoli Felice,Tiberia Vincenzo, Salomone Luigi. Per il PCI: Bovieri Vincenzo, Compagnoni Angelo, Maura Mario, Papetti Aldo. Masi Nicola, Loffredi Angelino, Natalizi Luciano, Anelli Domenico, Masi Vincenzo, Masi Walter. Per il PSI: Maura Matteo, Spinelli Pio Domenico, Apruzzese Walter,Giovannone Lucio, Loffredi Michele. Per il PSDI: Panfili Francesco, Di Mario Felicetto. Per il MSI: Bonanni Giuseppe.
Capitolo 9-
Nel mese di giugno l’agitazione si esaurì; venne posto all’attenzione dei cittadini, invece, un problema che non si poteva più nascondere perché veniva sentito in particolar modo da tutta la cittadinanza.
Matteo Maura
Matteo Maura insieme ad un gruppo di amici, preparava ed affiggeva personalmente un manifesto, ove si mettevano in evidenza le condizioni di grave disagio in cui si trovavano i cittadini di Ceccano per via del fetore proveniente da alcuni opifici industriali. Era un’accusa violenta che pesava come un macigno, condita con un pizzico di demagogia, perché tutte le responsabilità venivano fatte ricadere sulla Giunta in carica. Comunque egli coglieva nel segno. Vicino al Cimitero era in attività la porcilaia di Antonia Pandolfi, sposata con Tiberio Marini. Su via Gaeta, a pochi passi dal centro urbano, c’era il caseificio di Peppino Bruscino e l’annessa porcilaia ove venivano allevati un migliaio di maiali. Sulla via Morolense l’imprenditore Giovanni Cinque aveva anch’egli un caseificio con relativa porcilaia. Sempre sulla via Morolense Bruscino ne aveva un’altra, mentre «dulcis in fundo» a pochi passi da quest’ultima era attiva una fabbrica di sego. Il proprietario era Paolino Basile, per lungo tempo direttore del saponificio Annunziata. Il prodotto della suddetta lavorazione, ricavato dalle carogne di animali, costituiva la materia prima per la produzione del sapone. Quando piazza Berardi veniva a trovarsi sottovento, sembrava che vi fosse discesa una maledizione: il fetore proveniente da questi opifici ammorbava talmente l’aria che per chiunque era impossibile sostare per strada. C’era dunque fra i cittadini molto fastidio accompagnato da altrettanta insofferenza da parte dei commercianti della zona, che si sentivano minacciati nella loro attività economica. Maura lavorava allora presso l’INAM, situata nell’interno di uno dei due palazzi Evangelisti. Veniva quotidianamente a contatto con molte persone ed essendo dotato di grande comunicativa era nelle condizioni, più di ogni altro, di cogliere immediatamente l’indignazione che cresceva ogni giorno di più e di canalizzarla nella direzione che riteneva più giusta. Nel manifesto a cui ho accennato, oltre ad evidenziare la questione del fetore, veniva focalizzato anche il problema dell’inquinamento del fiume Sacco, ed anche di questo si addossava la responsabilità alla Giunta Piroli-
Si monta la tenda rossa
II primo luglio esposi ad Aldo Papetti, Vicesindaco in carica, tutte queste preoccupazioni. Era necessaria un’azione che rovesciasse la situazione e mettesse il PCI al centro dell’iniziativa politica del paese, superando incertezze e prese di posizioni difensive. E in questo clima teso che nasce l’idea, pienamente condivisa da ambedue, della «tenda rossa».Di cosa si trattava? Materialmente di una normalissima tenda da campeggio oltretutto non rossa ma blu, che ci venne messa a disposizione da Carlo Angeletti, ma emblematicamente fu tutta un’altra cosa. Nel tardo pomeriggio del due luglio, con Giovanni Percili ed altri responsabili della sezione sistemammo, non senza difficoltà, la tenda sulla proprietà Evangelisti, in Piazza Berardi.La tenda cambiò il clima poiché esso divenne più politicizzato, non più basato sul «si dice» ma avente come riferimento proposte e notizie di prima mano. Essa divenne lo sbocco naturale della curiosità dei cittadini, il punto di riferimento del dibattito e della lotta contro gli inquinatori. Questa novità comunque non convinse tutti gli amici di Matteo Maura, ma attraverso di essa i comunisti poterono entrare in contatto con la piazza e convincere gli indecisi, perché inserivano uno strumento concreto di lotta e di opposizione. Attraverso e con la tenda i comunisti chiedevano alla Giunta ed a Piroli. loro alleato, di prendere provvedimenti per allontanare i maiali dal centro urbano e di chiudere la fabbrica di sego. In quei giorni in cui Piroli firmava le prime ordinanze di sgombero. Memmino Cipriani preparava una vignetta-
Il Comitato, composto da cittadini scontenti, politici ed aspiranti politici delusi, rappresentava un caravan serraglio di posizioni, una babele di voci che spesso si elidevano e che erano tenute in piedi solo dal livore contro l’Amministrazione Comunale. Gli uomini del Comitato non avevano argomenti seri per portare avanti una polemica né contro il Comune, né contro il Sindaco che aveva predisposto delle ordinanze, né contro il PCI che faceva la propria lotta con determinazione e coerenza. A conferma della confusione esistente nelle file di costoro, quel sabato avvenne che alla fine del carosello automobilistico, quando il corteo venne sciolto e ci fu un invito ai presenti a parlare, a sorpresa, il Sindaco si avvicinò al microfono e prese la parola. Lesse senza perdersi dietro grandi pensieri due pagine, andando direttamente al nodo della questione, con un rendiconto minuzioso delle cose che aveva fatto, specificando che aveva già firmato le ordinanze di sgombero delle porcilaie e di chiusura della fabbrica di sego. In quel momento, dopo i provvedimenti emanati, nessuno poteva rimproverargli di aver elargito favori o fatto sconti ai suoi amici. Piroli aveva, insomma, tutte le carte in regola per confrontarsi con i cittadini. Il 14 luglio tenni un comizio con il Vicesindaco, durante il quale illustrai la nostra posizione. Nell’ordinanza di Piroli si prevedeva la vendita diretta sul posto degli animali al miglior offerente, nel caso che i proprietari non avessero provveduto nel tempo previsto al trasferimento dei maiali. A Ceccano si anticipava di qualche anno quello che il PCI avrebbe teorizzato di sé stesso, senza poi riuscire concretamente ad esserlo negli anni della solidarietà nazionale: partito di lotta e di governo. Le ordinanze vennero rispettate dalla signora Pandolfi, che sgomberò la piccola porcilaia. e da Basile, che chiuse la fabbrica di sego. Imperterriti, però, Bruscino e Cinque insistettero nella loro sfida al Comune. Dopo qualche settimana, alla scadenza prevista dall’ordinanza la vendita all’incanto non si tenne ed il trasferimento dei maiali non ebbe luogo perché le ditte interessate all’acquisto, al momento cruciale dell’asta, si tirarono indietro per timore di qualche ritorsione violenta da parte dei proprietari. Fu un duro colpo per tutti coloro che ritenevano che la vertenza si potesse concludere facilmente e senza intoppi. Le ordinanze vennero ugualmente riproposte e la lotta andò comunque avanti. Per tutto il mese di luglio le decisioni più importanti venivano prese intorno alla tenda. Giorno e notte si discuteva, si spiegava ai cittadini quanto stava avvenendo. Molti erano i ragazzi provenienti dalle campagne di Ceccano che si univano a quelli del centro in lotta. Dall’una di notte in poi rimanevano due persone a vigilare sul presidio. Per tutto il periodo vennero assicurati con rigorosa puntualità i turni di sorveglianza. Alle otto della mattina la vita attorno alla tenda ricominciava. I primi ad arrivare erano i pensionati e primo fra tutti un certo Antonio Cipriani abitante in via S. Francesco, che con il suo passo lento e tranquillo, dopo aver comperato «L’Unità», con il fazzoletto rosso nel taschino della camicia e il sigaro in bocca ragguagliava tutti i presenti sulle notizie del giornale radio, interpretato secondo il suo credo politico. Poi venivano gli studenti in vacanza, infine i curiosi, gli attivisti, i dirigenti più direttamente impegnati. A qualcuno venne in mente ad un certo momento di scrivere un tabellone murale con su scritto «II PCI non va in ferie».Una dichiarazione un po’ superba, forse esagerata ma che in quel momento, oltre a costituire la verità, colpiva nel segno.
Arriva Bonanni.
Dalle ferie ritornò, invece, Pinetto Bonanni del MSI per tenere un comizio proprio davanti alla tenda, dall’altra parte della piazza. L’avversario di sempre, l’irriducibile anticomunista, scendeva in piazza. Con ritardo, certo, comunque, per riconfermare la sua presenza e per esprimere la sua posizione. Qualche giorno prima «Marezzo» Papetti e Betto, stressati dai turni di vigilanza per la tenda, avevano avvertito dei malori. Bonanni arrivò fresco ed abbronzatissimo dalle vacanze trascorse a Gaeta, accolto con molto sarcasmo da chi da tanti giorni stava attorno alla tenda, ma anche con molta fiducia da parte dei suoi amici. Ero molto curioso di ascoltare quello che avrebbe detto, pertanto, mi disposi a sentirlo. Caustico, frizzante, pronto alla battuta; così avevo sempre sentito Bonanni nei comizi, nelle conversazioni private e, nell’ultimo anno, in seno al Consiglio Provinciale. Ma in quella occasione ebbi una grossa delusione. Mai sentito da Bonanni un discorso come quello: piatto, scialbo, senza battute, privo di vivacità. Per quarantacinque minuti parlò di tutto senza precisare nulla. Una lunga fila di parole ben disposte senza prendere posizione contro gli inquinatori, o contro le ordinanze di Piroli per allontanare le porcelaie. D’altra parte Bonanni cosa avrebbe dovuto dire? Certamente non poteva apprezzare pubblicamente le cose che si stavano facendo. Il suo fu un discorso generico, sfuggente portato avanti con una difficoltà che non gli si addiceva. La tenda rossa aveva rotto con un certo modo di fare politica: aveva dimostrato che si poteva stare al governo della città senza rimanere prigionieri di certe logiche. Mentre Bonanni parlava io ero comodamente allungato su una sedia a sdraio. Mi trovavo in una posizione tale da poter osservare tutta la piazza e le espressioni di tutti i presenti. Verso la fine del discorso, mentre Bonanni con il fazzoletto si asciugava per l’ennesima volta il sudore sulle tempie, guardando meglio gli uomini che lo applaudivano e la loro posizione sulla piazza, ebbi una strana sensazione: il modo in cui gli uomini del Comitato si erano disposti riusciva a evidenziare le simpatie e lo stato d’animo di chi ascoltava. A veder bene, vicinissimi all’oratore c’erano il Consigliere Silvestri, Mosillo, i fratelli Mandatori, Marella. D’Amico e qualche altro dirigente missino, un po più indietro Gianni Gigli, quindi Roberto Celenza e Vincenzo Catozi. Più indietro ancora c’erano Pio Spinelli ed alcuni suoi amici di Casamarciano, infine molto lontano Matteo Maura ed il cognato Giovannino De Santis, che non vidi mai applaudire. Questa disposizione così frammentata degli ascoltatori mi dette l’impressione che fosse in atto qualche disgregazione nel Comitato. I giorni passavano veloci. Non c’era nulla di nuovo all’orizzonte. Per me il dato positivo e sorprendente era dovuto al fatto che in quel periodo il PCI stava stabilendo nuovi contatti con la gente; in effetti era stato scoperto un nuovo mondo, realtà diversa da quella operaia. Avevamo conosciuto, parlato, polemizzato con persone che non ragionavano in termini ideologici o con pregiudizi politici ma in maniera pragmatica. Ai commercianti della zona, infatti, non interessava nulla di politica; andavano tutti alla disperata ricerca di chi risolvesse i loro problemi. La contraddizione più grande che verificammo fu che tutti erano amici di Basile, Cinque e di Bruscino, anzi questi tre industriali e le loro rispettive famiglie erano anche generosi clienti dei negozi della zona ponte. Ebbene questi commercianti non uscivano allo scoperto e non avevano il coraggio di organizzare la protesta, ma aspettavano che altri si mettessero alla testa, che si muovessero perché preferivano rimanere al coperto e ben mimetizzati dall’iniziativa altrui. Più i giorni trascorrevano più la tenda rossa diventava un emblema non solo dei ceccanesi che si battevano per il risanamento ambientale ma anche di altre realtà provinciali. Dal 1 Luglio, infatti, una pagina di «Paese sera» era riservata alle notizie provenienti dalla provincia di Frosinone.Il giornale, il cui primo redattore fu Adriano Paniccia, in quei giorni riservava molta attenzione alla lotta ceccanese, corredata a volte anche da servizi fotografici.È proprio in questo periodo ed attraverso i servizi di questo giornale che le autorità costituite scoprono l’inquinamento. Attraverso le cronache di «Paese-
L’accordo di Supino
Per tutto il periodo della tenda rossa non avevo mai rotto i rapporti personali con Matteo Maura. Sapevo che poteva essere una cerniera per riprendere i contatti con il PSI. E poi era fra tutti, quello che aveva una mentalità che più si avvicinava alla nostra. Conoscendolo bene, ero convinto che chissà cosa avrebbe fatto per stare sotto la tenda con noi. Stava invece dalla parte della confusione, di chi oramai non aveva più nulla da dire. Per giorni parlammo intensamente, continuando a lanciarci recriminazioni. È probabile che avesse avvertito che la forza del Comitato si stava esaurendo, oppure che i grandi circoli che aveva radunato attorno a sé in quei giorni di maggio e di giugno si stavano riducendo fino ad avere attorno solo qualche missino. Le mie discussioni con lui tendevano principalmente a rimarcare che il suo modo di agire non aveva più motivo di essere dal momento che il Comitato si stava sgretolando ed i resti dello stesso aiutavano l’iniziativa missina. Dopo un’appassionata discussione, concordammo un appuntamento per analizzare più pacatamente la situazione. E per tranquillizzarlo sul fatto che le mie erano le posizioni di altri nell’interno del partito, decidemmo di vederci insieme con Aldo Papetti a Supino, presso il Ristorante "Pisciarello".Dopo mezzogiorno lo prelevai con Aldo presso la Metalfer, fabbrica in quei giorni occupata e nell’interno della quale era allestita una mostra di pittori che avevano donato le loro opere per finanziare la lotta necessaria ad imporre la ristrutturazione aziendale. Avevamo lasciato la pianura arida con le sue stoppie bruciate e con il Sacco trasformato in un rivolo di acqua nera, quando ci trovammo in un batter d’occhio sotto un pergolato fresco e silenzioso, circondato da un rigoglioso bosco di castagno. La discussione non fu preceduta da nessun preambolo, né da argomenti interlocutori. Entrammo subito nel problema che ampiamente conoscevamo e che era stato la causa delle accese polemiche. Negli incontri precedenti, rapidi quanto appassionati, avuti con Matteo avevo anticipato argomenti che ora accompagnavo da riflessioni più serene e che riprendevo anche davanti ad Aldo. Avviai la discussione con la necessità di parlare chiaro ed esporre con schiettezza le rispettive posizioni e le aspettative politiche e personali, senza veli ipocriti e senza alcuna doppiezza. Continuai dicendo che il nostro incontro avveniva per superare una situazione di divisione oramai non più procrastinabile. La battaglia contro le porcilaie avviata da Maura e proseguita dal PCI dimostrava che questo partito non era prigioniero di nessuno, non era condizionato dal potere economico locale e riteneva i problemi della salute prioritari rispetto alle alleanze politiche. Anticipai che prima o poi il rapporto con il Consigliere Cinque si sarebbe rotto. Era necessario quindi che si tracciasse lo scenario futuro in modo realistico. Aldo proseguì il mio ragionamento accentuando alcuni toni.«Ora siamo diciotto Consiglieri di maggioranza, perderemo Renaldo Cinque, è vero, ma rimaniamo sempre in diciassette. Bisogna far entrare in Giunta il PSI in maniera ufficiale. Il PCI come vedi è d’accordo ma dobbiamo evitare che si ripeta quanto accaduto l’anno precedente. Non possiamo giocarci il certo per l’incerto. Vogliamo il certo per il certo».Matteo di rimando e con un fare piuttosto rapido replicò:«Io non vado alla ricerca disperata di entrare in Giunta. Se questo deve avvenire, avvenga in modo dignitoso e con l’accordo della mia sezione. Vediamo cosa possiamo fare».Mi sembrò molto sincero, ma ancora più schietta mi apparve quella richiesta. Capii che eravamo arrivati al cuore del problema. Maura non aveva riproposto le solite lamentele il cui assortimento oramai conoscevo a menadito. Era stato veramente sintetico. Non voleva perdere tempo, voleva discutere e arrivare a delle conclusioni. Rimandai netto: «Dobbiamo modificare i nostri rapporti politici ed interpersonali; non deve esserci conflitto fra le nostre posizioni; dobbiamo avere momenti più interlocutori e più unitari»«Va bene, mi sta benissimo» replicò. Sapevo che quello che lo rassicurava e lo rendeva tranquillo, era il fatto di avere sentito da Aldo e da me che si doveva lavorare per l’ingresso del PSI in Giunta. Per lui era importante sapere che gli uomini che rappresentavano la sezione PCI annunciavano la loro disponibilità a raggiungere questo obiettivo. Mentre sorseggiava il suo vino con l’aria di chi aveva riflettuto bene e si accorgeva che mancava ancora qualcosa guardandomi intensamente negli occhi mi chiese «Ma voi avete qualche idea su quali temi lavorare e come accelerare i tempi?»Era una domanda intelligente e pragmatica solo che scaturiva dalla convinzione di chi riteneva che noi avessimo previsto tutto anche nei minimi particolari. È probabile che con il suo ragionamento egli ritenesse i comunisti tanto efficienti, da predisporre tutto con anticipo e capaci di curare ogni aspetto. La verità, invece, era diversa. Il dato vero era che il rapporto con Matteo Maura ci aveva costretto a definire una linea politica. Dovevamo sciogliere un nodo: riaprire o meno i contatti con il PSI, stabilire i prezzi da pagare e gli accorgimenti da prendere. Anzi, il nodo in quel preciso momento era già sciolto !L’incontro e l’intesa che stavamo stabilendo con Matteo ci permetteva di riallacciare i contatti con la sezione del PSI salvaguardando nello stesso tempo tutto quello che era stato fatto, senza autocritiche o pentimenti da proclamare. Si arrivava a questo appuntamento nel momento più alto dell’iniziativa comunista, attorno ad un tema importante quale quello dell’inquinamento.
La manifestazione non autorizzata
Maura però aveva fatto due domande, ben legate fra di loro alle quali non era stata data una risposta: l’avvicinamento fra le due forze politiche e un piano. Fu allora e solamente allora, che mi venne l’idea di fare per la sera stessa una manifestazione anti inquinamento. Gliene esposi i caratteri: una marcia di 30-
Capitolo 10 -
Era passato circa un anno da quel furtivo incontro notturno tenuto nel locale di «Giamattistigli», dove si era raggiunto I'accordo per formare una Giunta diversa. Una Giunta che a volte veniva chiamata «Piroliana>>,per mettere in evidenza il ruolo fondamentale del Sindaco Piroli,altre volte «Milazziana>>,in riferimento ad una esperienza avvenuta nella Regione Sicilia dieci anni prima,allorquando un Consigliere democristiano,chiamato appunto Milazzo, con altri colleghi di partito, per un paio di anni, aveva guidato l'isola insieme ai comunisti ed ai socialisti.
La Fiat
Il 1971 era stato un anno durante il quale il ritmo di crescita industrial e non aveva presentato rallentamenti. Nel territorio provinciale incominciavano però ad evidenziarsi alcune situazioni di crisi, come nella Metalfer-
Ma il dato prevalente riconfermava, come negli anni precedenti, la messa in produzione di altre fabbriche e f innalzarsi verso il cielo, dall'oggi al domani, di costruzioni industriali sul territorio di Ceccano e dintorni. Il l971 è l'anno in cui entrarono in produzione I'Irtes e la Termogas; inoltre è l'anno in cui la Tesit preparò con corsi di formazione professionale i futuri dipendenti; contemporaneamente il Comune di Ceccano rilasciava alla Modenese la concessione per poter costruire il fabbricato dell'azienda.
Non era solo nel comprensorio di Ceccano che si offriva il lavoro e si creavano nuove speranze di occupazione, oramai ciò avveniva su tutto il territorio provinciale da Paliano a Cassino. dove si affermava quella che a gran voce veniva chiamata "vocazione industriale". Finalmente si definisce anche ove sarebbe avvenuto il tanto atteso insediamento Fiat nè a Cassino , ne a Pontecorvo. Il Comune prescelto fu quello di Piedimonte S. Germano, una sconosciuta realtà con poco più di tremila anime , posta a pochi kilometri da Cassino. A nulla valsero le critiche e le proteste proveniente dalla comunità religiosa di Montecassino che paventava dall'alto dell'Abazia una panoramica "blasfema". L'avvocato Agnelli fu molto più forte ed influente dell'Abate di Montecassino poiché, tutti in coro, i massimi responsabili comunali della zona e le autorità governative , d'accordo con gli addetti ai fenomeni metereologici, garantirono che la sublime visuale non sarebbe stata deturpata dalla mostruosa presenza dell'insediamento industriale, in quanto questo per parecchi mesi dell'anno sarebbe stato nascosto dalla nebbia ristagnante sulla pianura.
Lo stabilimento avrebbe occupato duecentoventi ettari, una estensione veramente notevole: più della metà di tutto il territorio che a suo tempo era stato programmato per l'ex Nucleo Industriale di Frosinone. Si trattava di una grande realtà, di un eccezionale investimento, di una ipotesi occupazionale di cinquemila unità.
L'avvio dei lavori però non procedeva in maniera spedita e lineare, perchè duecentoventi ettari da espropriare costituiva una impresa difficile, in quanto si trattava di un'area pianeggiante ad alta vocazione agricola, in grado di dare una elevata redditività e perciò strenuamente difesa dai proprietari. Per l'esproprio dei terreni da assegnare alla Fiat avvenne qualcosa di diverso da quanto avvenuto precedentemente. La Coltivatori Diretti, infatti, organizzo i propri aderenti ed aprì una vertenza con l'Area Industriale. Le parti in causa, pertanto, patteggiarono il prezzo dell'esproprio della terra ma nello stesso tempo aprirono una trattativa, non ufficiale, anche sulle assunzioni dei familiari degli espropriandi. La Coltivatori Diretti mobilitò i propri iscritti, fece sentire la propria voce riuscendo così ad ottenere dopo una faticosa trattativa tutto quanto richiesto.
Gli squilibri.
Il 1971 è, dunque, l'anno degli espropri e dell'avvio della costruzione dell'impianto. Si trattò di un grande evento così come ugualmente straordinario fu l'insieme dei lavori infrastrutturali da realizzare per favorire una produzione ottimale. Dovevano essere csotruite le infrastrutture non solo per la Fiat ma per tutto il territorio provinciale e per le nuove fabbriche in programazione.. Questa necessità determinò le premesse e le condizioni per arrivare a creare uno strumento privo di ogni controllo democratico, discutibile e contestato.
Venne costruita a tal fine, la SAIF, una società che interveniva per realizzare le infrastrutture. Il suo capitale azionario era così ripartito: il 51% apparteneva al Consorzio dell'Area Industriale ed il 49% alla società BONIFICA. Prima erano le imprese esterne che realizzavano le opere infrastrutturali ed al Consorzio toccava il compito di controllare i lavori e pagare i costi.
Il presidente della SAIF era Checco Battista, il quale continuava ad essere anche il Presidente del Consorzio; egli si assumeva una doppia funzione: diventava, infatti, nello stesso tempo controllore e controllato. La SAIF operò per un decennio nel settore, in un contesto di critiche politiche, di polemiche giornalistiche promosse da "Paese Sera" e di qualche strascico giudiziario.
La crescita industriale si arricchiva, dunque, della presenza Fiat.
Il potere di Battista con la mole di lavoro che stava facendo la SAIF, diventava ancora più forte e personale. Nussun uomo politico provinciale ha mai gestito un impero tanto smisurato avendo a disposizione ingenti finanziamenti e molta occupazione da assicurare, determinando, altresì, profonde trasformazioni del territorio.
In quel periodo la Città di Ceccano presentava 5.566 occupati e 614 cittadini in cerca di prima occupazione. E' interessante conoscere anche altri dati per avere piene consapevolezza della realtà che si era determinata nel corso degli ultimi anni.
Gli addetti all'agricoltura si erano ridotti a soli 380 unità. Il rapporto che passava fra gli addetti all'agricoltura e occupati era del 6,7%.
In provincia esistevano complessivamente 135.611 occupati. Nel settore agricolo lavoravano 36.221 unità che costituivano il 26,7% della popolazione attiva.
Fatte queste necessarie comparazioni risultava più che evidente la differenza fra realtà ceccanese e quella del resto della Provincia!
La quantità della manodopera nell'agricolture, notevolmente ridotta a Ceccano, ma non meno nel territorio provinciale, non rappresentava una situazione positiva.
Era il sintomo di uno squilibrio che a Ceccano si era creato nel corso degli anni; esprimeva una realtà nuova che soppiantav quella precedente senza potenziarla, senza irrobustirla ma creando, al contrario, le condizioni per la distruzione e la rovina delle campagne. L'industria aveva dato occupazione e speranze; aveva elevato il reddito pro capite ma, fatto grave, non aveva alcun legame con l'agricoltura.
Quando in Consiglio Provinciale, nel febbraio 1973, si discusse sul Piano Regolatore dell'Area Industriale, le posizioni di chi sosteneva il ridimensionamento della superficie destinata all'industria e l'estensione di quella destinata all'agricoltura, vennero respinte. Non solo era mancata una necessaria saldatura fra vecchi e nuova struttura economica, ma a quel tempo le forze dirigenti non ipotizzavano nemmeno una correzione di rotta rispetto al tipo di sviluppo avvenuto negli ultimi anni.
Fortunatamente sarà il Consiglio Regionale nel dicembre dello stesso anno ad intervenire, grazie ai poteri conferitigli dalla legge, per ridimensionare il piano e restituire alla destinazione agricola alcune superfici.
A corredo dei dati e delle considerazioni sopra indicati deve essere precisato che sempre nel 1971, a Ceccano, gli addetti ai servizi risultavano essere 704 ed al credito 33; i dipendenti della pubblica amministrazione erano 247; coloro che traevano un reddito dal commercio 456; i dipendenti di attività legate al trasporto e alle comunicazioni 293; quelli di aziende elettriche , gas e acqua 54, mentre ben 3.363 erano coloro che lavoravano nell'industria. L'insieme di questi dati mettono in evidenza una città laboriosa, con una netta prevalenza nel contesto degli occupati, dei lavoratori dipendenti, circa 84%.
In quei giorni la lotta politica rimaneva ugualmente aperta, così come si evidenzia dalla rappresentazione dei fatti che vado ad esporre. Il Consiglio Comunale di Ceccano fu convocato il 6 marzo 1971 per designare i propri rappresentanti in seno all'Assemblea Generale dell'Area industriale.
Fra tutti i Comuni aderenti al Consorzio quello di Ceccano fu il più sollecito a sostituire i propri membri da poco tempo decaduti. Questa tempestività non era dovuta al caso: la maggioranza in carica aveva intenzione di non nominare Battista sia perché era all'opposizione, sia perché intendeva privare lo stesso dall'immenso potere di cui stava usufruendo. Per questo motivo vennero designati quali rappresentanti al Consorzio Giovanni Percili, Antonio Masi, Micheli Loffredi. Battista, come previsto, venne escluso e per questa scelta considerata importante, quasi decisiva si palpava una contenuta e prudente soddisfazione. Anche in casa democristiana c'era chi era contento che Battista diventasse un Consigliere ed un politico come tutti gli altri.
Questa speranza, però, durò poco tempo. Battista,infatti, non eletto a Ceccano ebbe la capacità, determinata dalla sua influenza, di farsi designare rappresentante del Comune di Arnara.
Lo Statuto consortile non lo escludeva, per cui ogni tentativo di spodestarlo dalla Presidenza dell'Area alla fine risultò vano. Battista resterà Presidente dell'Area per altri dieci anni.
Come è stato già riportato, il 1971 risultò essere un anno caratterizzato da polemiche tumultuose ma non disordinate, al contrario, fu un periodo ricco di esperienze e di risultati concreti.
È il caso di ripercorrere ancora meglio il filo degli avvenimenti, partendo proprio da quel settembre del 1970.
Nei capitoli precedenti è stata evidenziata la polemica Piroli-
E utile, pertanto, riandare a vedere le positive novità che avvenivano a ridosso del periodo in questione.
Le realizzazioni cittadine.
Nei primi mesi dell'anno, da parte del Comune vennero appaltati i lavori per la costruzione della rete fognante, per un importo pari a 320 milioni.
L'opera venne assegnata alla Ditta Benito Stirpe. Il dato ugualmente significativo era costituito clal fatto che a quella data era stato predisposto anche il mutuo per realizzare quello che sarà il depuratore di via Gaeta. Indubbiamente si trattava di opere e di prospettive veramente signifìcative, se si considera che a Ceccano erano già sorte iniziative contro I'inquinamento del Sacco. Con questa opera il Comune si avviva ad avere una posizione politicamente inattaccabile nei confronti dell'Area Industriale, non ancora provvista del proprio depuratore.
Ceccano a quella data aveva una rete fognante realizzata nel lontano 1932, nello stesso periodo in cui erano stati costruiti il serbatoio e l'acquedotto comunale. La rete fognante raccoglieva gli scarichi del centro urbano e dopo un breve percorso li versava nel fiume, in prossimità del ponte sul Sacco, a cielo aperto ed a pelo d'acqua. Il lavoro da realizzare era importante sia perché ampliava il numero delle famiglie servite e sia perché attraverso il depuratore, si superava I'inconveniente degli scarichi nel fiume.
Ugualmente positive erano le realizzazioni e le novità che si stavano precostituendo nella politica scolastica.
Il 15 febbraio vennero aperte le prime tre sezioni di scuola materna statale. Questo era il risultato di una richiesta fatta durante il mese di luglio, dalla precedente Giunta di centro-
Istituire nuove sezioni di scuola materna, comportava per il Comune assumersi tutti gli oneri connessi, con la sola esclusione dello stipendio dell'insegnante. La Giunta infatti in pochi giorni predispose l'acquisto dei banchi e delle attrezzature scolastiche, del materiale per la refezione, sistemò i locali e nominò la bidella-
Delle tre sezioni, due vennero assegnate alla Scuola Elementare di via Matteotti, mentre l'altra trovò la propria sede in via per Frosinone, presso i locali di Vincenzo Ciotoli.
La funzione della scuola materna incominciava ad essere compresa perchè il processo di industrializzazione, ormai avviato, impegnava nell'attività lavorative anche le donne. Per questo motivo gli amministratori in carica ritenevano che I'istituzione di ulteriori scuole materne costituisse una scelta fondamentale per una buona politica sociale. A luglio. pertanto, in piena lotta contro le porcilaie, la Giunta aveva inviato al Provveditorato agli Studi un elenco di richieste per l'apertura di altre scuole materne ed il 20 ottobre lo stesso aveva risposto positivamente. La Giunta, trascorso appena un mese dalla comunicazione del Provveditorato, era stata in grado di approntare le nuove sezioni di scuola materna che vennero sistemate presso il plesso scolastico di via Matteotti, nel Santuario di S.Maria, nella Badia e nelle contrade Colle Alto, Colle Antico, Casamarciano.
Sul territorio comunale, dunque, istituite in pochi mesi complessivamente nove sezioni, presenti sia nel centro urbano che nelle campagne.
Nella politica dei servizi fu netta l'inversione di tendenza poiché si riduceva lo scarto fra città e campagna dotando ogni sede di attrezzature idonee.
Queste scelte seguiteranno ad essere prioritarie anche negli anni successivi.
E' interessante sapere che nell'ottobre del 1971 i minori esistenti nella nostra città da zero a sei anni erano 1.938, mentre le donne impegnate in attività lavorative erano 1.101 . La scuola materna dunque non era un servizio secondario, nè un surplus, ma corrispondeva ad una prorompente necessità della famiglia e avviava alla scolarizzazione nei termini migliori.
Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che il numero degli analfabeti nella società ceccanese raggiungeva la notevole cifra di 5.566 unità. Ne si poteva ritenere consolatorio il fatto che quelli che confessavano esplicitamente di non saper leggere o scrivere si riducessero a 1.151 .
Sempre in materia scolastica, qualche mese dopo, il 30 dicembre per la precisione, la Giunta indisse l'appalto per la costruzione del plesso elementare di Borgo Berardi, locale scolastico che non va confuso con la preesistente Scuola S.Francesco. Il prezzo base dell'opera era di 77 miglioni. Direttore dei lavori venne indicato l'ingegnere Nicola Vannucci.
Il 5 marzo197I, inoltre, la Giunta aveva richiesto all'Amministrazione Provinciale di istituire una sezione staccata dell'Istituto Commerciale. Iniziava così un iter lungo e complesso, fatto di trattative tra le due istituzioni e di atti politici che come Consigliere Provinciale ho curato personalmente. In seguito a questo impegno, alla fine del 1971, il Consiglio Provinciale votava una delibera attraverso la quale si chiedevano al Ministero, le succursali da istituire per gli istituti di competenza della Provincia. È importante precisare che in questo atto deliberativo la richiesta della succursale ceccanese precedeva tutte le altre.
Qualche anno dopo e precisamente il 1 settembre del 1 9'72 Ceccano ebbe i nuovi locali della Scuola Media Grzzi, opera molto attesa e realizzata nell'arco
di tre anni. L'edificio delle «Giuseppine» resosi così libero per via del trasferimento della Media, venne messo, da parte del Comune, gratuitamente a disposizione della Provincia per l'insediamento della succursale dell'ITC. Con grande soddisfazione delle famiglie, degli studenti e del personale scolastico fu possibile concretizzare le attese e le speranze di quei giovani che quattro anni prima avevano avviato la lotta per il decentramento scolastico.
L'intervento dei cittadini.
Anche la viabilità nelle campagne beneficiò di soluzioni originali per superare i disagi, propri delle strade bianche e imbrecciate. I cittadini che sperimentavano soluzioni particolari furono quelli della contrada di Colle Leo prima, seguiti da quelli di San Giuseppe.
Il Comune non aveva le risorse finanziarie per soddisfare una necessità che l'alto indice di motorizzazione aveva creato. I cittadini allora non vedendo all'orizzonte facili soluzioni si riunirono, crearono dei comitati, si misero d'accordo per una contribuzione da sottoscrivere e patteggiarono con il Comune mettendo a disposizione anche il proprio lavoro.
A Colle Leo esisteva una cellula del PCI e gruppi di persone erano già pronte ad agire. Luciano Natalizi da un anno Consigliere Comunale, persona molto attiva, stimata e sostenuta da un vasto parentato costituiva il punto di riferimento per qualsiasi iniziativa. Esistevano tutte le condizioni per sperimentare metodi di lotta sconosciuti in altre realtà del territorio cittadino. Gli abitanti della contrada, dunque, concordarono di asfaltare il tratto che dal casello ferroviario «Ottantotto>> conduce sino al punto più alto della contrada. Queste persone con un coordinamento ed un tempismo inauditi, furono in grado di realizzare cose che oggi appaiono incredibili. Gli abitanti, quasi tutti professionalmente impegnati in lavori edili, offrirono il loro lavoro, stabilendo le giornate da mettere a disposizione.
Le riunioni preparatorie si tenevano nella cantina di Sebastiano Masi: esse erano sempre appassionate e gremite e in nessun momento ci fu chi mettesse in dubbio la realizzazione dell'opera. Il bitume, attraverso i contatti che avevo con l'Assessore Provinciale Luciano Bove, venne messo a disposizione della Provincia.
I cittadini di Colle Leo, pertanto, con un camion di proprietà cli luccio Nicolia andarono a caricare il materiale necessario presso la Silesi, a Giuliano di Roma.
Le attrezzature vennero fornite dalla ditta Benito Stirpe, impegnata in quei giorni a realizzare la rete fognante del paese. Il Comune di fronte a questo impegno e a questo eccezionale dispiegamento di forze, fornì il brecciolino ed il mezzanello, necessari alla riuscita del lavoro.
Al termine di quest'opera i comunisti cli Colle Leo organizzarono nella contrada la prima festa de "L'Unità" ed inaugurarono il tanto desiderato manto bituminoso al suono di fisarmoniche, accompagnati dal fragore dei petardi e da copiose libagioni.
La realizzazione della strada costituiva un grande fatto non tanto per l'opera in sè per sè, quanto per l'esempio che sollecitava e per le speranze di cambiamento che alimentava.
"Fare come a Colle Leo" sembrava essere la parola d'ordine che in quei giorni rimbalzava nelle varie contrade di Ceccano.
Si assisteva ad un positivo ed interessante fenomeno, teso al superamento di individualismo e di scetticismo. Incominciava a crescere la consapevolezza che lo stare insieme e la lotta in comune assicuravano maggiore potere contrattuale, aiutando la risoluzione dei problemi.
Era lungo questa direttrice di marcia che si muoveva anche Francesco Del Brocco, abitante di una zona a ridosso della costruenda chiesa di S.Giuseppe, fra Fiano e Colle Alto. Questi si fece carico delle necessità della gente ed organizzò un Comitato di zona.
Lo scopo principale ed immediato era quello di risolvere il problema della strada, sempre dissestata; ma sin dal primo momento si presentarono altre questioni inerenti le condizioni generali della zona. I cittadini interessati alla risoluzione della strada si riunirono nell'abitazione di Del Brocco e dopo alcuni incontri preparatori portarono ostinatamente avanti le loro decisioni. Prima di tutto si misero a disposizione per assicurare il loro lavoro, successivamente raccolsero la somma, di cui Del Brocco fu cassiere. necessaria per acquistare il bitume. Poi attraverso una deliberazione comunale ottennero brecciolino ,ed altro materiale calcareo pari al valore di trecentottantamila lire. Nello stesso tempo Del Brocco, sapendo che Benito Stirpe aveva una ricchissima azienda agricola proprio in prossimità della strada in questione, fu capace di farsi mettere a disposizione tutte le attrezzature idonee per asfaltare la strada e di strappargli un prezzo di favore per l'acquisto del bitume occorrente.
Nel mese di novembre quando il Comune dovrà trovare i locali per sistemare la scuola materna in quella zona, sarà Del Brocco stesso a risolvere positivamente questa necessità e a sollecitare le mamme a mandare i propri figli scuola. Nello stesso tempo insieme ad altre persone del Comitato, egli fu in grado di predisporre tutta una serie di provvedimenti necessari all'avvio dell'attività scolastica.
Sempre in autunno, il Consorzio di Capofiume aveva finito di realizzare il serbatoio di Colle Bruni, fra Colle Antico e Colle Pirolo, con relativa adduttrice di acqua proveniente dallo smistamento di Colle Castagno, in territorio di Arnara. Il rifornimento idrico nel serbatoio c'era. Esisteva così una grande occasione per gli abitanti delle zone circostanti ma negli anni precedenti gli amministratori in carica non avevano richiesto nessun mutuo per la realizzazione della condotta comunale ed era perciò impossibile l'effettivo utilizzo dell'acqua nelle case.
Distribuire l'acqua durante l'estate attraverso l'autobotte militare era apparso un grande risultato amministrativo.
Il tam-
Leo". Pertanto anche a Colle Antico si andò a costituire un Comitato di cittadini che si riunì attorno alla fìgura di Mimmo Anelli. Consigliere Comunale dal 1952, stimato da tutti. Era persona saggia e sperimentata già in altre occasioni, come quando si trattò di portare l'energia elettrica nella sua contrada. La sua presenza era sufficiente garanzia della serietà di qualsiasi iniziativa si prendesse.
Dopo lunghe ed estenuanti riunioni, finalmente si riuscì a conoscere il numero dei cittadini interessati all'ampliamento della rete idrica. Si stabilirono ipotesi tecniche e fìnanziarie di riparto per ogni zona e per ogni singola famiglia.
Era un lavoro molto complesso, altrettanto delicato, durante il quale si doveva assicurare in ogni momento serenità, reciproca fiducia e molto senso pratico.
Grande era il bisogno di acqua ed elevato fu il numero dei cittadini che aderirono all'iniziativa. Nel nostro territorio, infatti, su 5.074 abitazioni solo 2.836 erano fornite di acqua corrente. Per altre 254 rete idrica arrivava ai confini della proprietà. Fortunatamente esistevano 1.331 pozzi. Pochissimi furono i cittadini che si estraniarono da questo fermento.
Il Comitato, attraverso contatti con il Comune, riuscì ad ottenere che l'Amministrazione comunale realizzasse la condotta dal serbatoio fino alla zona
abitata dalle famiglie Bruni, Anelli, D'Annibale, perché la più abitata.
Per altre località si convenne che il Comune avrebbe sostenuto il costo dello scavo mettendo a disposizione i propri idraulici, mentre i cittadini avrebbero provveduto ad acquistare le canne idriche. Coordinatore per questa attività sarà Giovanni Percili che insieme ad altre persone del Comitato sarà responsabile della trattativa con la ditta fornitrice e del collegamento con gli uffici comunali.
Come appare chiaro attraverso la lettura di queste pagine c'era su tutto il territorio comunale, al centro, come in campagna, molta speranza; era un momento in cui il rapporto fra amministratori ed amministrati era molto vivace e costruttivo. La gente partecipava e discuteva con passione, non chiedeva mai cose impossibili ma interventi che potevano ragionevolmente essere realizzati.
Delegazioni di Comitati furono presenti nelle discussioni preparatorie alla elaborazione del bilancio di previsione del 1972, approvato poi il 30 ottobre del
I971. Nella stessa seduta il Consiglio Comunale deliberò all'unanimità il riassetto del personale, atto molto utile perché mise ordine, per la prima volta,
nell'interno degli uffici e dei servizi.
Sempre nella stessa, si posero le basi di tre importanti realizzazioni: il archeggio antistante la stazione ferroviaria, la circonvallazione di via Gaeta e il
serbatoio idrico in località Acqua Santa, necessario per rifornire d'acqua gli bitanti della stessa contrada e quelli di Colle Leo. Opere compiute e progetti da avviare, dunque, si inseguivano costantemente in una situazione cittadina molto dinamica.
La sezione socialista, finalmente, decide.
Non deve essere dimenticato, però, I'impegnativo colloquio tenuto a Surpino ncl mese di agosto con Matteo Maura, quando insieme al Vice sindaco
Papetti disegnammo il futuro della coalizione. Ci sentivamo impegnati, pertanto, nell'evoluzione del quadro politico in modo che nella Giunta Comunale fosse presente la rappresentanza legittima della sezione socialista.
Inoltre, è il caso di puntualizzate che nella prima seduta del Consiglio Comunale, all'indomani dell'estate, il Consigliere Orazio Trotta comunicava che Rinaldo Cinque era ritornato a far parte del gruppo DC. Ciò era stato previsto: la dichiarazione che l'accompagnava era breve, imbarazzata e priva di qualsiasi motivazione.
E' ancora più importante riportare che alla fine del mese di ottobre Lucio Giovannone, Walter Apruzzese e Dante Diana si dimettevano dalla loro carica di Assessori. L'atto non esprimeva un contrasto con la coalizione o l'apertura della crisi ma rappresentava solo la precondizione per rientrare nel partito e partecipare paritariamente ad altri alla discussione che si andava ad aprire nell'interno della sezione socialista. Con le dimissioni volevano dare la possibilità al loro partito di affermare il proprio primato, scegliendo i futuri Assessori.
La discussione e la scelta in seno al PSI anche in questa occasione non fu facile nè rapida, comunque, dovette tener conto dei fatti nuovi determinatisi nel corso dell'anno, poichè la coalizione che governava il Comune. in poco tempo aveva ottenuto risultati positivi, svolgendo la propria attività fra nuove speranze e in un clima di accresciuto consenso.
Nella sezione del PSI si riaprì il dibattito: c'erano persone che ritenevano fosse necessario aderire senza toccare gli assetti generali; altri pensavano di <<punire>> i socialdemocratici privandoli dell'Assessorato ai Lavori Pubblici, altri ancora ritenevano di escluderli dalla maggioranza. Vi furono tre mesi di discussioni interne, che fortunatamente non frenarono l'attività programmata dell'amministrazione; fino a quando la sera del 3 febbraio, proprio mentre stavo uscendo dall'Ospedale, ove da qualche ora era nata mia fìglia Natalia, appresi da Gererdo Masocco, militante socialista, notizie molto soddisfacenti.
Gli argomenti che mi espose furono pochi ma di grande rilievo. In sostanza mi annunciava che nell'interno del PSI si andava affermando una maggioranza che intendeva aderire ad una Giunta, che egli chiamava di sinistra, senza mettere in discussione l'alleanza in corso.
Anticipò, inoltre, alcuni punti programmatici molti interessanti: rafforzava la nostra tesi sulla fine di ogni politica di tipo clientelare e la necessità di avere come punto di riferimento le novità che andavano emergendo con la nuova funzione della Regione; riteneva, inoltre, necessaria la richiesta allo stesso Ente del finanziamento per espropriare ed urbanizzare le aree 167, indicata dal Programma di Fabbricazione e la sollecitazione per le stesse di interventi di costruzione per le case popolari; ipotizzava il passaggio della Metalfer Fias alle Partecipazioni Statali e auspicava iniziative per la costituzione del Consorzio Regionale dei Trasporti.
Le cose di cui venivo messo a conoscenza erano veramente nuove e positive.
Geraro Masocco aveva parlato, inoltre, come persona che si apprestava a diventare segretario di sezione. Era stato un incontro, dunque, per quanto "casuale" fatto con ufficialità da pari a pari.
Si afferma un nuovo ceto politico.
La discussione aveva dimostrato che il PSI cercava di rinnovarsi nella formulazione del programma. nella presenza dei propri uomini in Giunta e nella guida della propria sezione.
La situazione era veramente in movimento e stava per concludersi con un esito straordinariamente positivo. Le notizie anticipate da Gerardo Masocco rappresentavano il portato di un sommovimento presente nella società ceccanese e delle sue forme di lotta e di partecipazione, in grado oramai di influenzare la vita dei partiti.
Nel PCI, infatti. il processo di rinnovamento si andava consolidando definitivamente. Il 1 ovembre c'era stata una riuscitissima assemblea di donne con Licia Perelli. la cui relatrice era stata la giovanissima Anna Elisa De Sanctis.
Due giorni dopo la conversazione con Masocco, nella sala consiliare ci fu una riunione promossa dal Comune con la partecipazione di Vincenzo Magni, docente presso il Liceo Castelnuovo di Roma. II tema dell'iniziativa riguardava la violenza fascista nelle scuole, ma si discusse anche della necessità di creare l'Università di Cassino e dell'importanza a Ceccano della presenza della succursale dell'Istituto Tecnico Commerciale di Frosinone. L'incontro mise a confronto 24 docenti, 30 studenti e delegazioni operaie dell'APD, Metalfer e Klopman.
Questo avvenimento rappresentò un momento nuovo ed importante, espressione di una unità che andava maturando e di una ricerca di piattaforme comuni. La riunione rivelò un gruppo di uomini e di donne, non solo ceccanesi, che si affacciavano alla vita politica. Non posso fare a meno di ricordare che fra coloro che avevano curato l'iniziativa c'era il professore Domenico Proto, docente presso l’ITC di Frosinone, amico carissimo, prematuramente scomparso.
Nel MSI locale, durante l’estate, per fronteggiare «il pericolo comunista>> c'era stato un cambio di guardia e l'avanzamento dei giovani in posti di responsabilità di cui Franco D'amico era la più eloquente espressione.
Nella DC il processo di rinnovamento appariva più lento, ma ormai avviato. Aldo Maliziola si impegnava in Consiglio Comunale su tematiche urbanistiche preparando le sue teorie sulla città-
Orazio Trotta era l'altro Consigliere emergente, autonomo, forte di nuovi consensi.
Nell'interno della sezione bianco-
In tutti i partiti si stava affermando un nuovo personale politico. Le lotte sociali e politiche in corso avevano aperto una fase nuova. È in questo contesto che il 26 febbraio, finalmente, si riunì il consiglio comunale, per eleggere tre Assessori, espressione ufficiale del PSL Dopo un tentativo di Maliziola di rinviare le nomine, vennero designati Michele Loffredi, Matteo Maura, Walter
Apruzzese.
La maggioranza era formata da 10 consiglieri appartenenti al PCI, 5 al PSI, 2 al PSDI, più il Sindaco Piroli.
AII' inizio del 1972 i residenti nella città erano 18.875 fortunatamente non si erano verificate ondate emigratorie. L'attrazione verso Roma capitale o verso realtà extra nazionali era stata scongiurata.
Arrivati a questo punto, i ricordi che ho riportato, per problemi di economia e di opportunità, si debbono arrestare al 28 febbraio. Va altresì precisato che con questa data non si esaurisce un ciclo, cioè la fase caratterizzata dalla partecipazione e dall'impegno, in quanto questa costituisce solamente la prima tappa di un lungo percorso che si allungherà nel tempo ancora per tutti gli anni Settanta.
Per i più interessati alle cronache ed agli sviluppi che ho finora descritto preciso che in quei giorni il Presidente della Repubblica aveva affidato ad Andreotti il compito di formare un nuovo governo. Il tentativo non era riuscito e si andava così verso le elezioni politiche anticipate.
La nuova coalizione comunale, arricchita dai programma socialista anticipatomi da Masocco, andrà avanti speditamente per altri sette mesi ma poi l’ esperienza verrà interrotta.
Il governo di centrodestra Andreotti-
I1 consigliere Antonio Masi, così come aveva fatto cinque, si apprestava a ritornare nella DC. Alla fine di gennaio del 1973 anche Piroli rientrerà nella DC e verrà eletto nuovamente Sindaco da una coalizione di centrosinistra.
Fino al 1915 ci saranno maggioranze consiliari deboli e traballanti ma i processi politici avviati frii i cittadini non si interromperanno, andranno ugualmente avanti. Le lotte e le richieste della popolazione saranno sempre più estese e pressanti.
Sono passati pochi anni da quando Gimì in modo solitario aveva cercato di affermarla sua verità e aveva dato la sua risposta al manifesto missino. Da quella sera erano avvenuti nella società cambiamenti sempre più profondi.
Molti altri ne avverranno: nella mentalità corrente, nei rapporti fra uomo e donna, in campo sociale e politico ma ancor di più non può essere sottaciuto quello che rappresentarono alcuni anni dopo il voto ai diciottenni, il nuovo diritto di famiglia, i decreti delegati per la scuola ed in particolare, proprio a Ceccano, l'istituzione da parte del Comune del Consultorio, del servizio riabilitativo per gli handicappati e la distribuzione gratuita dei libri a tutti gli studenti della scuola media.
La concezione che si andava affermando a Ceccano e successivamente anche altrove era quella che i problemi potevano essere risolti solo attraverso la lotta comune. La solitudine e la disperazione erano condizioni e sentimenti che sembravano non esistere più. Tutti gli anni settanta saranno caratterizzati da una tale esercitata solidarietà, fertile ed appagante.
Con la lotta, l’organizzazione e gli obiettivi posti emergevano anche il rifiuto ad accettare a scatola chiusa le gerarchie precostituite ed a far rimanere le cose così come stavano. Si sviluppava con il procedere del tempo, la speranza di poter cambiare le cose e questo si rilevava ogni giorno di più, coinvolgendo sempre nuove persone. Fu questa la molla che spinse tanti cittadini a rompere con il conformismo ed a gettarsi sempre più decisamente nella "mischia". Fu un fenomeno che come si ò visto aveva impegnato all’ inizio un ristretto gruppo di persone ma successivamente coinvolse le sezioni di tutti i partiti, fino a diventare un ampio e profondo fenomeno cittadino, selezionando e facendo affermare così un nuovo ceto politico.
Il periodo scelto rappresenta l'alba di una aurora che stava sorgendo e che ha illuminato la nostra città fino agli inizi degli anni Ottanta.
È importante osservare come nel periodo descritto attorno ad una piccola o grande questione posta, ogni forza politica affermasse la propria posizione ed esprimesse il proprio giudizio. Era tutta la città, pertanto ad essere coinvolta, a discutere, a prendere posizione, a dividersi ed a ricomporsi. Non esistevano dunque avanguardie isolate, pensatori inascoltati. Apparivano sulla scena, al contrario, persone semplici e modeste che esprimevano questo sommovimento e rappresentavano una coralità di sentimenti e di speranze.
Io mi auguro solamente che i motivi che mi hanno indotto a riportare gli avvenimenti e la grande tensione ideale che li caratterizzò, anticipati nella premessa, siano stati ben delineati e resi comprensibili. Ogni lettore, inoltre. Potrà responsabilmente ed autonomamente giudicare se è valsa la pena per tanti come me prodigarsi in un impegno politico così intenso e quotidiano.
Verranno stagioni che indurranno in molti di noi una delicata nostalgia quell'agire forte e generoso, per molti sicuramente altruista. Anche questa volta non mancheranno storie appassionanti di donne e di uomini che qualcuno, al più presto, mi auguro vorrà ricordare.