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Gli anni dell'industrializzazione e dell'impegno

LIBRI

PRESENTAZIONE

II periodo dell’industrializzazione segna una tappa molto importante della storia di Ceccano.
Il passaggio da un ‘economia sostanzialmente legata alle vecchie tradizioni contadine a quella moderna, più vicina ai modelli delle grandi città, portò con sé un carico di contraddizioni che ancora oggi sono oggetto di indagini e discussioni.
 Dal quel periodo, Ceccano ha ereditato sicuramente un maggior benessere economico legato all’incremento delle attività, al potenziamento dei servizi e dei trasporti, alla nascita di scuole che hanno migliorato la vita, non solo del cosiddetto centro urbano ma anche delle contrade, una volta così isolate dal resto del territorio.
 Purtroppo la città ha dovuto affrontare anche problematiche nuove fino ad allora sconosciute per un centro della Ciociaria, sopratutto nel campo ambien­tale e sociale.
 Per meglio comprendere anche il periodo in cui viviamo, riteniamo che gli spunti offerti dall’opera di Loffredi possano essere molto utili per coloro che, mossi dall’intento di ricordare, di capire, oppure per semplice curiosità, voglia­no aprire una finestra sul nostro recente passato.
 C’è da dire comunque che l’Autore, pur avendo vissuto i fatti come diretto protagonista riesce ad assumere il ruolo di cronista distaccato, passando dalla descrizione di vicende popolari a più profonde analisi sociali e politiche.
 Le linee con cui si dipingono personaggi e protagonisti dei diversi episodi fanno inoltre emergere sfumature tipiche e comuni che caratterizzano il ceccanese: semplice ma determinato, agguerrito in politica ma leale.
 Negli anni riportati nel libro, infatti, erano i ceccanesi a portare la democrazia nelle fabbriche, nelle scuole, nei posti di lavoro del Circondario. I ceccanesi erano quelli che davano una speranza e invitavano gli altri ad alzare la testa.
 La pubblicazione dell’opera, a cura dell’Amministrazione Comunale, avviene con un intento ben preciso: in un epoca così colma di repentini cambiamenti, ci pare importante fissare certi ricordi e far sì che dalla lettura di questi avvenimenti si apra la riflessione su momenti che, anche se ancora vicini dal punto di vista cronologico, potrebbero sembrare a molti lontani e superati, cadendo così inevitabilmente del dimenticatoio.

L’ASSESSORE ALLA CULTURA                                                                                                           IL SINDACO
           Fabio Langiu                                                                                                                           Maurizio Cerroni





- PREMESSA DELL'AUTORE-

 Il giorno  di Natale del 1991,Michail Garbaciov, dopo  essere  stato tradito dai  compagni  di  partito e  travolto dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, abbandonava il Cremlino. Lasciava quelle stanze da dove, per sei anni, aveva alimentato la speranza che si potesse creare un ordine mondiale basato sulla pace e sul diritto dei popoli e dove aveva strenuamente lavorato perché l'esperienza realizzata con la rivoluzione di ottobre potesse essere rinnovata e democratizzata all'interno del sistema sovietico.
 In quello  stesso periodo si era consumato il mio distacco dal PCI-PDS. Era stata una scelta che mi aveva toccato profondamente e che concludeva una esperienza caratterizzata, nell'ultimo periodo, da dissensi e da incomprensioni.
 Al segretario della sezione, con amarezza e sofferenza, per motivare il mio dissenso, avevo scritto che si era determinata, nell'interno della sezione, la perdita del primato della politica sulle attività economiche, con le quali  il PDS  si voleva collegare, ricordando, inoltre, che il PDS  aveva  assorbito  metodi,  il costume, il modo di ragionare degli  avversari. Per me si era annullata la differenza tra la sezione del PDS e quella degli altri partiti. Niente ne caratterizzava valori o progetti alternativi.
 Erano questi gli anni dei fasti del pentapartito. Assistevamo alle grandi sfilate mondane e televisive di Ministri, Assessori e portaborse; diventavano sempre   più evidenti il conformismo e la piaggeria di giornalisti e conduttori televisivi nei confronti di uomini politici che sapevano mostrare solo arroganza ed un grande  vuoto  di idee. Sembrava che quel regime dovesse essere eterno, mentre intorno si palpavano incertezze e disorientamento.
 In questo scenario locale, nazionale ed internazionale, triste ed amaro, è maturata in me l'idea di scrivere «Gli anni dell'industrializzazione e dell'impegno».
Di fronte  a tante delusioni ed alle sconfitte  di una generazione, un quesito si andava e mi andavo ponendo: in Italia  era valsa la pena per milioni  di uomini e donne  avere dedicato la loro esistenza a  una causa oramai  ritenuta perdente? Quante persone in quei momenti erano sballottate dagli eventi e cadute in crisi, rinunciavano alla lotta o, inavvertitamente, accettavano i metodi e le idee degli altri, proprio quei metodi e quelle idee per tanto tempo strenuamente combattuti ? Erano giorni terribili! Possibile che anni di impegno, di risultati, di ricche esperienze dovessero sparire, far perdere ogni traccia della loro esistenza  passata?
 La risposta doveva essere data da chi queste esperienze le aveva  vissute, come protagonista, alle nuove generazioni ed a coloro che la fase attuale vivevano con rassegnazione o trasportati   alla deriva.
 Si doveva mantenere, infatti, la memoria di un passato recente che non era mai stata scritta e dovevano essere in particolar modo riportate le condizioni vita e di lavoro di uomini e donne, oltre che l'impegno di moltissime persone.
 La risposta ai quesiti ed ai dubbi nello stesso tempo doveva fotografare  i mutamenti che negli anni in questione andavano avvenendo ed  evidenziare nettamente gli obiettivi  posti di volta in volta, come pure le lotte che avevano coinvolto, qui a Ceccano, molti cittadini, i risultati concretamente ottenuti,  oltre che  delineare gli  scenari e gli  orizzonti  aperti  grazie  a queste  lotte e a questi risultati.
 Il lavoro voleva e vuol essere una ricerca ed un approfondimento sul periodo dell'industrializzazione e nello stesso tempo ricordare un momento della storia  e della  vita dei ceccanesi.
 Il periodo scelto è quello che va dal 1968 all'inizio del 1972: gli anni delle epocali  trasformazioni del territorio provinciale e cittadino e del passaggio  dalla società  contadina a quella industriale.
 Gli aspetti statistici, quantitativi e numerici sono puntualmente riportati, per conoscere l'entità delle modifiche, ma non costituiscono il nucleo centrale del lavoro; alla base dello stesso, infatti, vengono posti i problemi e le esigenze primarie della popolazione e gli strumenti di volta in volta creati ed utilizzati  per affrontarli e risolverli.
 Negli anni sopra indicati, Ceccano cambia radicalmente da ogni punto di vista:da una situazione ferma e stagnante, caratterizzata da fatalismo e rassegnazione, si passa alla consapevolezza della necessità dello stare insieme. Dall'isolamento individuale, dunque, al lavoro, all'attività, alla lotta sostenuta nel gruppo.
 L'idea è nata per ricordare e lasciare una traccia concreta di una fase di passaggio della nostra società cittadina, ma anche per difendere una storia comune e preservarne alcuni caratteri originali. Una storia dunque da custodire orgogliosamente, a cui si  accompagnava  però  malinconia  e tristezza  per  un passato  che  si riteneva  oramai  superato  o meglio  «sconfessato»   dalla  realtà.
Ma in questi  anni è accaduto  il finimondo: la situazione  è completamente modificata.
 È vero che il quadro generale non è molto tranquillizzante, anche perché la caratteristica dominante sembra essere la mobilità imprevedibile delle opinioni.
 La scoperta di tangentopoli ha sollevato il velo di ipocrisia  e di menzogna su cui si  reggeva un sistema. Gli intoccabili, per quanto ancora si agitino, minaccino, cerchino di nascondersi e riciclarsi sotto le spoglie del «nuovo» sono in difficoltà. È crollato l'impianto su cui si reggevano la forza e l'inganno; la crisi economica, inoltre, mette in evidenza una effimera  economia fatta di assistenzialismo, protezionismo e gravi  storture.
 Il lavoro è stato ideato per ricordare, ma oggi in questo convulso periodo può essere utile  per poter  affermare  che non esistono  soluzioni  miracolistiche e preconfezionate, idonee  a risolvere  la crisi  che stiamo  vivendo.
 Non possiamo dare deleghe in bianco ad uomini  forti, né seguire  la moda del «nuovismo», che sempre si presenta per nuovo ma spesso serve per puntellare il vecchio. Il trasformismo, insomma, è duro a morire.
 La verità è che un mondo  sta crollando,   ma è altrettanto vero che non se ne sta costruendo uno nuovo e migliore. La distruzione è molto più rapida e dirompente  rispetto  ai ritmi  di costruzione.
 Tutto  questo  non basta,  non è sufficiente   per costruire  una  seconda  fase della  nostra  repubblica.
 Sia chiaro che il libro  non  è stato  scritto  per invitare a fare  come  si fece venticinque anni fa, perché la storia e la nostra  vita non si ripresentano mai alla stessa maniera. Un'esperienza,  però, può essere ragionevolmente presa seriamente in considerazione: senza organizzazioni alle spalle e senza  l'intervento attivo e l'impegno costante dei cittadini  non si costruisce niente di stabile e di duraturo, nè si possono  mettere le radici  per un nuovo ordine  basato sulla giustizia e sulle pari opportunità. Impegno che si può esprimere sia attraverso  l'associazionismo, il volontariato, il sindacato, i movimenti in generale, e sia attraverso i partiti.
 Si, i partiti!  Non mi  sento ,infatti,  di fare  scommesse sulla loro rapida scomparsa. Certo non potranno essere più come li abbiamo conosciuti,  ma ancora oggi  sono convinto che se fossero  guidati  da alcuni  valori,  avessero  un progetto per uscire dalle emergenze e fossero animati da spirito di servizio,  assolverebbero ad una  funzione utile  e necessaria, e rimarrebbero ancora sulla scena politica.
 Così come la prima  repubblica  non fu un regalo che ci venne consegnato da pochi giuristi illuminati, ma venne strappata dall'impegno e dalla  sofferenza di milioni  di cittadini, alla  stessa maniera la seconda  repubblica non  sarà un omaggio di poche persone intelligenti.
 Di fronte ad un futuro incerto ed inquietante  dominato  dalla disoccupazione e dalla nascita di nuovi  poteri  criminali è necessario che ognuno faccia la propria  parte:  i magistrati, i giornalisti, i politici, gli uomini dell' economia, ma anche ed in particolar modo i cittadini; quest'ultimi non rimangano   indifferenti a guardare, siano  presenti, attivi ed intervengano direttamente.
 La seconda repubblica sarà forte ed avrà robuste  radici  democratiche solo se  sarà  ampia  e profonda la loro  partecipazione per creare una dialettica   dell'alternanza fra forze con valori, programmi ed interessi completamente diversi.



Capitolo1- Bamboccio, il Maresciallo, Gimì
 L’orologio del campanile di S. Nicola da poco ha finito di battere sei tocchi, quando s’ode bussare al portone della Caserma dei Carabinieri, di via Magenta. Da una delle finestre aperte sulla strada, per via del pomeriggio caldo ed afoso, una voce, quasi bisbigliata, di donna chiede con curiosità alla vicina chi sia a bussare.


Bamboccio

 « È Bamboccio» risponde l’altra con complicità dalla finestra accanto. Nello stesso istante il piantone della Caserma appare sulla porta e, senza chiedere le generalità del convocato, lo fa entrare chiudendo con molta energia il portone. Bamboccio per la prima volta varcava questo luogo che aveva sempre evitato e temuto e che aveva conosciuto solamente per le descrizioni che altri gli avevano fatto. Ora è li, solo e triste, ed ogni angolo che vede gli appare oscuro e spoglio. Avanza lungo il corridoio intimidito e impacciato, preoccupato anche delle congetture che potevano fare le persone che lo hanno visto entrare. Gli viene ordinato di attendere in una sala d’aspetto, arredata solo con alcune sedie di vimini, su una delle quali egli si accomoda immediatamente desideroso di trovare un pò di riposo. In attesa di essere convocato ha il tempo di rendersi conto di essersi venuto a trovare in una condizione molto difficile e preoccupante. Appena tornato dal lavoro, infatti, ha preferito conoscere direttamente e senza indugi cosa riguardasse quella convocazione inviatagli dalla Caserma e comunicatagli con apprensione dalla moglie. Solo ora, seduto in questo luogo silenzioso riesce a riflettere ed ha la piena consapevolezza che è stato un errore precipitarsi a rispondere stremato da una giornata di pesante lavoro, senza prima indagare sulle cause della convocazione. In questi rapidi attimi cerca di riordinare le idee, di capire meglio quale è la sua condizione e quali possano essere le motivazioni di quella chiamata. È impacciato perché avverte di essere poco presentabile, per quei panta­loni da lavoro che porta addosso e che gli sembrano più impolverati e strappati del solito. Osservandosi con attenzione nota di avere le scarpe, le unghie e forse anche i capelli imbiancati dalla calce. Addosso, inoltre, sente di avere appiccicato il sudore di una giornata di faticoso lavoro passata a tirare su, senza un attimo di riposo, una parete. Una giornata che, al contrario di tutte le altre, non si è conclusa sotto il piacevole spruzzo d’acqua di una doccia rigeneratrice. Questo suo disordine contribuisce ad accrescere in lui il disagio e l’insicurezza. Nella sua testa c’è un susseguirsi affannoso di incertezze e timori tutti protesi nella ricerca dei motivi della convocazione. Dopo tanto rimuginare piano-piano sembra farsi strada una ipotesi: fosse per quel sonoro schiaffo dato ad Achille Pallagrosi al termine della partita Piazza-Rifugio, per la finale del torneo rionale di calcio? Un gesto plateale, fatto con irruenza e determinazione, dopo una contesa partita che lo aveva visto attore principale, ma che lì per lì non aveva avuto conseguenze. Trovarsi in quella stanza tutto solo, in un ambiente squallido e minaccioso, gli agevola l’affacciarsi di tristi considerazioni. Ora i suoi pensieri si soffermano su quelle che potrebbero essere le reazioni dei suoi familiari ed in particolare su quelle di sua moglie Rosa. Il muratore già immagina quale sarà la scena nel momento in cui farà ritorno a casa e con quali modi aspri verrà redarguito: «Ormai hai venticinque anni, sei sposato con una figlia di pochi mesi; quando ti deciderai a mettere la testa a posto?» A riflettere bene anche lui conviene che dopo il matrimonio oramai non può più andare avanti come prima: partite di pallone, stanchezza, nervosismo, rivalità, litigi. Succede da anni, anzi da sempre, che in ogni torneo rionale l’agonismo ed i risentimenti accumulati nelle edizioni precedenti portino a tafferugli e scazzottate fra tifosi di squadre contrapposte, tanto facili da fomentare e da dimenticare, e mai finite in aule giudiziarie. Nella testa di Franco Del Brocco, perché cosi egli si chiama, altre preoccupazioni si affollano: la prima è quella di sapere se c’è una denuncia, se Achille è finito in Ospedale, se, insomma, ci sono delle complicazioni di ordine medico. Ritorna con il pensiero alla robustezza del colpo ben assestato al mento che, a ripensarci bene, gli era sembrato debole e cedevole sotto la rudezza del pugno. È un continuo arrovellarsi di domande, dubbi, supposizioni tutte rivolte a se stesso, tali da causargli attorno alla testa un cerchio rovente. Nel momento in cui i pensieri e le preoccupazioni si aggrovigliano sempre di più, le sue meditazioni vengono bruscamente interrotte da un perentorio ordine del piantone: «Ti aspetta il Maresciallo».


Il Maresciallo

 Pochi passi ed ecco che due persone vengono a confronto: una dall‘aspetto dimesso e mortificato, quasi inerme; l’altra,invece, sicura sin dal primo momento, padrona di un linguaggio corretto, da cui si evince un intercalare toscano. È un sottufficiale, in grado di usare modi idonei a mettere immediatamente fuori combattimento l’altro, il quale, sempre più intimidito rimane in piedi, quasi pietrificato, oramai pronto a subire una cascata di rimproveri e di invettive.«Allora, Del Brocco hai proprio deciso di non volere rispettare la legge?» chiede il Maresciallo, alzandosi dalla poltrona e mettendosi a girare attorno al malcapitato, battendo un frustino su un lato dei pantaloni.«Ma io non ho potuto proprio farne a meno» replica il giovane, cercando di organizzare alla meglio quella che avrebbe potuto essere la sua linea difensiva.«La campagna elettorale è finita» insiste con forza il Comandante della Caserma. Che c’entra la campagna elettorale?» risponde meravigliato Franco. «Fai finta di non capire? Ti hanno già imbeccato? Hanno già preparato il copione di quello che mi dovevi dire? Vero? Su, confessa! Due notti fa, tu, insieme ad altri agitatori comunisti, sei stato visto affiggere manifesti del tuo partito, sopra quelli missini» Quelle parole dette dal Maresciallo con toni duri e sicuri, certo di ottenere una immediata capitolazione, improvvisamente provocano nel muratore una imprevista quanto salutare carica di energia. Capisce che la convocazione non è dovuta a quello schiaffo dato ad Achille e di colpo il suo stato d’animo cambia. Dalla sua fronte scompare quel cerchio maledetto che la stringeva in maniera tale da non permettergli di spiccicare due parole di seguito; improvvisamente e quasi d’incanto, sente in corpo tanta energia e tanta ragione, da replicare a brutto muso: «Marescià, ma che stai a di’, lascia perde i comunisti. Fa la persona seria». Le parti si capovolgono. Il sottufficiale che pensava di cucinare a fuoco lento il giovane, con la speranza di carpirgli una immediata confessione, comincia perdere le staffe. Pur avendo accennato a delle testimonianze, non si sente più padrone della situazione, soprattutto quando gli viene replicato da Del Brocco: «Io, è dalla fine della campagna elettorale che non vado più ad appiccicare i manifesti. Solo ora ti ricordi dei manifesti fuori posto: durante la campagna elettorale hai permesso che i fascisti ed i democristiani li mettessero anche sui pali dell’alta tensione. E poi se c’è uno che mi ha visto, fallo entrare, fammelo vedere, dai, Marescià ». L’interrogatorio diventa un rodeo. Del Brocco come un cavallo selvaggio non si fa domare, replica, alza la voce, interrompe, non si lascia minimamente intimidire, anche perché sa di non poter essere smentito. Il contraddittorio, comunque, si esaurisce; i due si lasciano dopo che il Maresciallo è riuscito a trovare un’argomentazione per lui dignitosa, prospettan­do una convocazione successiva, che per altro non avverrà. Molti si chiederanno cosa era successo di tanto grave da mettere in azione la Caserma dei Carabinieri, impegnando in prima persona lo stesso Comandante. Vediamo di ricostruire con ordine e precisione i fatti essenziali. L’episodio che si sta ricordando avveniva in un giorno del mese di giugno del 1968, dopo un accanita campagna elettorale e all’indomani dell’assassinio di Bob Kennedy, consumatosi il 5 giugno a Los Angeles. Candidato alla Presidenza degli Stati Uniti, il secondo dei fratelli Kennedy aveva solo quarantatre anni quando fu assassinato, lasciando scossa ancora una volta l’opinione pubblica mondiale. Si ripeteva con un triste scenario quanto era avvenuto cinque anni prima con l’assassinio del fratello John. In tutto il mondo ci fu una grande ondata di commozione e di sdegno verso un atto cosi esecrando. I missini a Ceccano, cosi come era stato fatto in altre località, avevano affisso un manifesto attraverso il quale addossavano le responsabilità di quella morte ai comunisti. Un episodio come altri di ordinaria speculazione propagandistica che si aggiungeva ai tanti perpetrati in quello stesso periodo. Solo che molti erano infastiditi per il riproporsi di una volgare campagna tesa a rinfocolare gli animi, a creare muro contro muro ed a riproporre paure mai sopite. L’anticomunismo, infatti, è stato lo strumento attraverso il quale per un lungo periodo si sono coperte le più grandi nefandezze. Sempre in nome dell’anticomunismo, allora associazioni e persone potevano godere di vantaggi, protezioni e usufruire di notevoli contributi finanziari. L’assassino di Bob Kennedy, immediatamente consegnato alla giustizia, si rivelò un arabo di origine giordana. In quegli anni l’URSS era amica ed impegnata sostenitrice del mondo arabo, conseguentemente era chiaramente ostile alla politica dello Stato di Israele. Per i missini, dunque, essere arabo significava essere russo e russo, ovviamente, diventava sinonimo di comunista. Naturalmente essere comunista russo o italiano non faceva alcuna differenza. Attraverso un sillogismo psicolo­gico, il manifesto in questione accreditava le responsabilità di quell’assassinio ai comunisti italiani arrivando semplicisticamente alla conclusione di una vicenda della quale, come in tutti gli altri delitti politici americani (John Kennedy, Luther King, Osvald), non è stato mai possibile conoscere la verità. on si conoscono le verità americane e non voglio mettermi a ricercarle, ma è il caso di approfondire in modo più circostanziato quello che successe a proposito di quei manifesti per i quali abbiamo visto scontrarsi Del Brocco ed il Maresciallo nella Caserma dei Carabinieri.


Gimì

 Sono trascorsi tanti anni, la situazione è cambiata notevolmente pertanto non credo possano esserci più delle ripercussioni negative sulla persona direttamente coinvolta in questa vicenda, e sulla identità della quale venne usata allora da parte di chi conosceva i particolari, la più severa prudenza. Un falegname ceccanese, lavorante presso la tipografia Piccola Città Bianca di Veroli, infastidito dai manifesti missini, con la complicità di un tipografo, proveniente da Roma, aveva stampato dei manifestini su cui aveva fatto scrivere «È falso» e poi li aveva incollati su quelli del MSI, che incolpavano i comunisti. Ai tanti giustamente incuriositi di conoscere il nome dell’autore di questa estemporanea iniziativa, se dirò che si chiamava Vincenzo Masi sicuramente non darò nessun riferimento preciso, essendo questo nome molto comune a Ceccano, ma se aggiungo che il suo soprannome è Gimì sicuramente molti faranno mente locale e lo riconosceranno in quella persona che, pur avendo oggi più di settanta anni, mostra ancora una inesauribile vitalità ed una vivace inventiva. Costui, in tipografia aveva nascosto quelle maneggevoli strisce di carta in una borsa. Ritornato a casa, alla stessa maniera dei cavalieri erranti senza macchia e senza paura, parte a cavallo del suo motorino. Con sé non ha né lancia né spada ma una borsa sulla ruota anteriore e colla e pennello su quella posteriore. Nella notte tra il sabato e la domenica compie un lavoro molto semplice, protetto dal buio delle strade semivuote. Con una pazienza certosina gira tutto il paese ed ad ogni manifesto che accusa i comunisti, egli sovrappone, trasversalmente, delle strisce su cui è scritto «È falso». È un gioco molto facile ma a guardar bene di grande efficacia: i cittadini che il giorno dopo videro quelle immagini, rimasero colpiti dalla eccezionale originalità e tempestività. Era veramente una grande trovata: le più specializzate compagnie di promozione pubblicitaria sicuramente non avrebbero saputo orche­strare una operazione cosi imprevedibile, in grado di esprimere in modo imme­diato una idea politica cosi semplice ed elementare. Franco Del Brocco, muratore, stella luminosa del firmamento calcistico e giovanissimo membro del Comitato Direttivo del PCI ceccanese aveva ragione ad indignarsi con il Maresciallo dei Carabinieri, poiché con quel manifesto filibustiere non aveva niente a che vedere. La verità semmai era un’altra: Del Brocco con un esiguo numero di attivisti aveva affisso durante la campagna elettorale moltissimi manifesti per conto del suo partito. Il Maresciallo, ritenendolo ancora cosi seriamente impegna­to, si era buttato ad indovinare, convinto di avere trovato il colpevole. Il sottufficiale non poteva capire che quel manifesto era frutto di un’ azione individuale ed autonoma, eccezionalmente imprevedibile, per essere concepito da una sezione in difficoltà e i cui tempi di decisione sarebbero stati necessariamente più lunghi. Gimì non era iscritto al PCI, anche se più di qualche volta aveva votato per questo partito. Era uno dei tanti cittadini che in quel momento si sentiva infastidito da quel menzognero manifesto. Resta un’ ultima curiosità alla quale non sono in grado di dare una risposta: l’iniziativa del Maresciallo fu promossa di ufficio o fu sollecitata o denunciata della sezione missina?. Nessuno ha mai risolto il mistero. Rimane questo, comunque, un episodio singolare. Un uomo d’ordine si era comportato come il più ingenuo degli sprovveduti: accecato dall’anticomunismo, non aveva fatto le dovute indagini, neppure aveva verificato le prove e le persone, così come ogni inquirente serio dovrebbe fare. A tanti anni di distanza posso commentare l’accaduto ritenendolo una coda sgradevole e lo strascico di una campagna elettorale particolare, ove la posta in palio non era solo la conquista di qualche voto in più, ma la definizione di alcuni dilemmi non risolti nell’ultimo decennio e che la consultazione aveva finalmente chiarito, lasciando però l’amaro in bocca a qualcuno. Fra poco mi spiegherò meglio.


Capitolo 2-L’industrializzazione ed i riflessi sulle elezioni politiche

 II  Nei giorni 19 e 20 maggio del 1968, il popolo italiano fu chiamato a votare per il rinnovo del Senato e della Camera dei Deputati. Il voto si caricava di significati importantissimi: si doveva accertare, infatti, se i cittadini italiani avevano intenzione di sostenere il programma di Saragat, allora Presidente della Repubblica, e di Nenni circa la fusione del PSI e del PSDI, che aveva dato luogo qualche anno prima al Partito Socialista Unificato. L’altro quesito, consequenziale al primo, riguardava il tentativo esplicito di sconfiggere il PCI e il PSIUP, che pur presentando proprie liste alla Camera concorrevano in unica lista al Senato. Agli elettori italiani veniva posto un quesito importante, un dilemma decisivo. La sinistra italiana, insomma, doveva essere rappresentata da un forte partito con connotati socialdemocratici, alleato della DC, oppure da un robusto partito comunista? Il responso delle urne sancì una grande avanzata elettorale sia del PCI che del PSIUP mentre il nuovo partito socialista ebbe un notevole arretramento. L’ambizioso disegno di creare una terza forza naufragava. Delusione e risentimenti guidarono atti e comportamenti di politici e di funzionar! di corpi diversi dello Stato poiché i comunisti dopo il voto risultavano essere più forti di prima. Le nuove forme di propaganda elettorale Fatti questi necessari e doverosi riferimenti alla situazione generale, è interessante ricordare e seguire attentamente quello che successe a Ceccano.  Cercherò di riportare come fu coinvolta la nostra città e di descrivere il più fedelmente possibile le sensazioni e gli umori di quel periodo. La campagna elettorale, come tutte le consultazioni alle quali abbiamo assistito, aveva sollecitato molta combattività fra le parti avverse alimentando anche speranze di facile successo in più di qualche candidato. Fu la competizione elettorale nella quale per la prima volta si fece un grande salto di qualità e di quantità nell’uso dei mezzi pubblicitari e dei costi finanziari. In quella occasione vennero notevolmente ridotte le scritte a mano sui muri e per terra e le installazioni di striscioni, dei quali precedentemente si era fatto largo uso, mentre circolavano, invece, lunghe carovane di automobili, quasi tutte dotate di tabelloni, insegne luminose e altoparlanti strombazzanti. Esse erano organizzate prevalentemente da candidati democristiani più facoltosi. Non passava giorno senza che vi fossero inviti a votare per questo o quel partito e per questo o quel candidato, adducendo i motivi più diversi. Si proferivano slogan a non finire e venivano lanciate le promesse più allettanti. Sembrava quasi che tutti i candidati si impegnassero a comporre la letterina di Natale. Si aveva l’impressione che le automobili dei vari partiti giocassero a rincorrersi e ciò creava vivacità: il clima era più di festa che di scontro e la tensione non esplodeva mai. Gli unici a non partecipare a questo festoso rito collettivo erano gli spazzini comunali: erano arrabbiati per via della gran mole di lavoro a cui venivano sottoposti. Negli ultimi giorni della campagna elettorale, infatti, le strade cittadine erano interamente coperte da manifestini, tutti graficamente ben curati che riportavano le varie richieste di voto e che spesso ritraevano i volti accattivanti dei candidati impegnati in prima persona. Oggi il manifesto personalizzato è diventato uno strumento comunissimo di propaganda, quasi una necessità, ma allora a molti anonimi spettatori appariva come una vera, interminabile fiera delle vanità. L’insegna luminosa, la grafica pubblicitaria, i microfoni, la scelta degli slogan rappresentavano senz’altro un elemento positivo ed intelligente; non era così per gli altri strumenti di propaganda che incominciavano a prendere piede: le abbuffate nei ristoranti e l’elargizione dei buoni di benzina distribuiti a piene mani da parte di alcuni candidati governativi, che anticipavano un fenomeno di malcostume e di micro corruzione ancora oggi usato come mezzo di propaganda. Il candidato democristiano Amati, noto gestore delle migliori sale cinema-tografiche romane, non solo organizzava cene per i propri elettori ma al termine delle stesse ai convenuti consegnava in omaggio i biglietti per assistere ai film in programmazione nei suoi locali. I candidati alla Camera e al Senato I temi politici costituivano il piatto forte del momento, ma erano gli uomini ad essere in competizione, a contendersi il voto. Anche se brevemente, è il caso allora di mettere in evidenza gli attori principali che salgono sulla scena politica, coloro che si trovano al centro della polemica e della simpatia quotidiana. Fra i candidati su cui sin dal primo momento si indirizzarono molte simpatie c’era Sisto Ciotoli, il quale dall’apertura della campagna elettorale si era accerchiato di un gruppo molto affiatato di attivisti che nelle ore più imprevedibili della giornata entravano in ogni casa portando i saluti del buon Sisto e per chiedere, infine, il voto tanto ambito. Non parlavano di politica, anche perché non erano in grado di sostenere un ragionamento impegnato e profondo. Anzi di questo limite facevano vanto, quasi fosse un titolo di merito in più, anticipando un orientamento decadente che risulterà vittorioso nelle politiche del 1994. Le macchine di Sisto che giravano per le strade annunciavano il seguente slogan «Se vuoi che l’Italia non vada a rotoli vota Sisto Ciotoli». Gli attivisti del  candidato avevano una comunicativa ed una gestualità particolari agevolate dall’uso del dialetto. Davano pacche sulle spalle, stringevano mani a non finire e si presentavano con fare amichevole, appellando tutti con il termine «compare». Tutti costoro, cosi come sempre avviene nella nostra città, ricevevano molta ospitalità e simpatia, anche perché Sisto Ciotoli era una persona dotata di grande calore umano. Nato povero, egli aveva fatto una buona fortuna nel campo della ristorazione, prima a Roma e successivamente ad Ostia. Questo successo costruito con un lavoro continuo e sodo aveva contribuito a creare una leggenda attorno alla sua persona. Era stimato da chiunque, anche dai suoi avversari politici, che rispettavano l’uomo arrivato al successo con le sue sole forze. Egli non si era mai interessato di politica ma in quel 1968 improvvisamente si era convertito al partito dello scudo crociato. Una scelta non prevista, che destò sorpresa, la cui unica motivazione forse era legata alla necessità di doversi sdebitare per qualche intervento provvidenziale ricevuto in materia creditizia. Il fatto nuovo e particolare della campagna elettorale era che per la prima volta un cittadino senza esperienza in materia, si trovava ad affrontare una competizione difficile e complessa. Egli si scontrava con avversari che avevano alle spalle anni di impegno nel settore ed un consolidato collegamento con gli elettori. Sisto Ciotoli, pur con questi limiti, riuscì a mobilitare un gran numero di persone e ad entrare in contatto con gran parte della popolazione ceccanese. Fra coloro che più calorosamente gli promettevano il voto molti erano quelli che avevano ottenuto qualche cortesia, altri, invece, speravano, dopo l’avvenuta elezione a Deputato, di ricevere una ben più sostanziosa ricompensa. Le simpatie e l’ospitalità dei ceccanesi e l’impegno dei suoi amici non furono sufficienti per fargli conquistare uno scanno a Montecitorio, bastarono solamente per un buon successo ed una soddisfazione personale. Sisto, infatti, con 1500 voti di preferenza il 20 sera divide, nel nostro paese, con Andreotti il primato del consenso dei voti democristiani.  Era di Ceccano anche Bonanni, candidato al Senato per la lista missina e da molti anni impegnato per questo partito sia come Consigliere Comunale che come Consigliere Provinciale. Durante la campagna elettorale il grado di mobi-litazione del suo elettorato fu tanto frenetico da ritenere possibile conquistare il lasciapassare per Palazzo Madama. Quando fu certo che l’ingresso non era più sicuro ci fu grande delusione e sconforto fra i sostenitori missini. Anche Bonanni ottenne una buona affermazione elettorale sia a Ceccano, ove conquistò il 19% dei voti, che in campo provinciale ove si attestò attorno al 12% (1). Per la DC al Senato era candidato l’avvocato Emanuele Lisi di Alatri. Egli venne eletto ma ottenne pochi voti dai ceccanesi perché molti suoi potenziali elettori preferirono votare per Bonanni in quanto più conosciuto e ritenuto coerente con le proprie idee e anche perché all’elettorato più moderato Lisi appariva un uomo di sinistra. Egli, infatti, aveva voluto e gestito qualche anno prima l’ingresso dei socialisti nella Giunta dell’amministrazione provinciale: fatto che allora per i moderati fu ritenuto sconvolgente e pericoloso. Il Senatore Dante Schietroma venne riconfermato a Palazzo Madama. Il risultato comunque confermava l’arretramento in voti anche nella nostra città del PSU, il «partito della bicicletta», come veniva chiamato, per via del simbolo che, riportando insieme quello del PSI e quello del vecchio PSDI, creava quasi l’immagine delle due ruote di una bicicletta. Venne riconfermato al Senato Angelo Compagnoni, anche se a Ceccano sia i voti arrivati alla lista PCI-PSIUP, uniti al Senato, che alla lista comunista alla Camera, evidenziavano un notevole arretramento rispetto alle elezioni precedenti. Un esito anomalo rispetto a quanto avvenne sia in provincia che a livello nazionale, ove il PCI ottenne un risultato positivo. (I) Le elezioni per il Senato dettero il seguente risultato: PCI-PSIUP 3643; DC2498; MSI 1747; PSU937; PR1 105; PDIUM76; PLI 65.  A mobilitare ed entusiasmare l’elettorato comunista ed a portar voti non fu sufficiente un ragionato e seguito comizio fatto in piazza Madonna della Pace da Ignazio Mazzoli, segretario della Federazione Giovanile Comunista e da Enrico Berlinguer, allora capolista nel Lazio. Ricordo con molta simpatia un discorso tenuto da Luigi Begozzi, nove giorni prima del voto, in piazza 25 Luglio. Un comizio che, seppur annunciato all’ultimo momento, vide presenti circa duecento persone. Begozzi, alcuni anni prima, era stato professore di Filosofia presso il Liceo Classico di Frosinone. Egli era stato eletto per due volte Consigliere Provinciale proprio nel collegio di Ceccano, nel 1952 e successivamente nel 1956, in una lista comprendente socialisti e comunisti. Socialista, sempre cortese ed affabile, è stato, forse, il politico più amato dai cittadini di Ceccano. Era sempre gradevole sentirlo parlare nei comizi, in quanto si esprimeva in modo molto comprensibile e convincente. Non ricercava paroloni per farsi capire, preferiva usare efficaci aneddoti. Begozzi, anche in quella tiepida sera di maggio non tradì le aspettative di chi era presente per ascoltarlo. Per criticare il centro sinistra e per motivare la sua candidatura nella lista del PSIUP, egli espresse il suo giudizio con questa "pennellata" «Prima, quando venivo a tenere i comizi, la gente si accalcava sotto il palco con entusiasmo e calore e venivo quasi pressato; non riuscivo mai a distinguere i socialisti, i comunisti o le persone senza dichiarata colorazione politica. Noto, invece, ora che da una parte ci sono i comunisti, da un’altra si trovano i socialisti, da un’altra ancora i curiosi, e più lontano sento i bambini che giocano insieme alle loro madri. Ecco cosa ha creato il centro sinistra: ha diviso i lavoratori, spezzato il sindacato, lacerato le famiglie. Ha creato un vuoto fra i cittadini. È lo stesso vuoto che vedo e che sento fra di voi e fra voi e me. Questa piazza, per tutte le distanze che ci separano, esprime benissimo cosa ha prodotto il centro sinistra. Ecco perché esso va combattuto e respinto».  Non erano state necessarie lunghe analisi ed approfondite ricerche; in un modo semplice e realistico aveva motivato, in maniera comprensibile, la sua critica al centro sinistra. Anche se con molte semplificazioni il suo discorso era stato di grande effetto. Al termine assistetti ad una scena commovente. Attorno a quell’uomo, un vero profeta disarmato, di cui già i gesti e l’apparenza annunciavano una morte imminente, si ritrovarono per pochi minuti insieme comunisti e socialisti. Un fatto insolito per le divisioni che in quel momento intercorrevano fra questi. Fu per me sorprendente sentire che dopo anni di lontananza, poiché da tempo risiedeva a Tivoli, egli fosse in grado di chiamare e di salutare tutti i presenti con nome e cognome e di rievocare episodi, scene, sensazioni di lontane campagne elettorali. Seppur per pochi istanti quell’uomo aveva rimesso insieme persone che da anni non si parlavano, che avevano rotto un vecchio sodalizio di amicizia e di politica. Il PSIUP, senza avere nessuna organizzazione alle spalle, a Ceccano prese 292 voti, pari al 2,9 % dell’intero elettorato. Nel riprendere dati già anticipati e per essere ancora più preciso debbo aggiungere che nelle elezioni del 1968 i risultati ottenuti nella città di Ceccano contrastano le tendenze nazionali, sopratutto per il PCI. Infatti questo partito avanzava ovunque tranne che a Ceccano. È interessante fare anche qualche comparazione statistica. Cinque anni prima il PCI aveva conquistato il 40,5% di voti sia alla Camera che al Senato mentre nel 1968 a malapena si attesta al 37,4. Ho già anticipato che la DC non ha successo al Senato per via della presenza del candidato locale nella lista missina ma alla Camera, al contrario, ottiene un positivo risultato. Essa passa dal 30% del 1963 al 37,1 % del 1968.1 due grandi partiti si fronteggiano in senso paritario, solo pochi voti li dividono: 3820 per  il PCI, 3789 per la DC. Un risultato contro tendenza, dunque; un voto che va letto e studiato con attenzione. Esso non è un risultato emotivo o un voto di opinione: va direttamente legato alle trasformazioni che stanno avvenendo nel territorio comunale ed in quello circostante. Il decollo industriale È necessario allora andare a vedere quello che nel concreto sta succedendo. Solo pochi anni prima attorno a noi il territorio era prevalentemente destinato ad uso agricolo con apprezzamenti raggiungibili attraverso strade strette o sentieri di campagna. In pianura si produceva grano, granturco e tabacco. Veniva sfruttata per queste colture la ricchezza naturale rappresentata dall‘acqua del fiume Sacco che, a quel tempo, scorreva tra argini fitti di vegetazione. Niente faceva supporre che grandi trasformazioni avrebbero intaccato l’equilibrio ambientale di una parte della verde valle del Sacco. Anche se da tempo previsto, nel giugno del 1962 avviene un fatto importante che condizionerà e solleciterà un indirizzo economico completamente diverso: l’apertura del casello autostradale che collega Frosinone con Roma e con Capua. È una grande realizzazione che apre la pagina dell’ industrializzazione nella nostra provincia e che sollecita un ulteriore approfondimento circa le potenzialità che questa infrastruttura determina su tutto il territorio provinciale. All’indomani di questa opera nascono nuove idee, sollecitate da una continua ricerca sulle vocazioni produttive del nostro territorio. Dopo tentativi ufficiosi e scelte provvisorie, l’undici ottobre del 1963, finalmente, si insedia ufficialmente l’assemblea del Consorzio per il Nucleo di Industrializzazione della Valle del Sacco. Nasce cosi lo strumento che porterà avanti operativamente la politica industriale della nostra zona. È una giornata memorabile, perché essa rappresenta il crocevia fra due epoche. Al Consorzio aderiscono i Comuni di Frosinone, Ceccano, Ferentino, Veroli, Patrica, Supino e l’Amministrazione Provinciale di Frosinone. Ne fanno parte con propri rappresentanti anche la Camera di Commercio e l’ISVEIMER. L’ idea del Consorzio è del ‘ ingegner Armando Vona, Sindaco di Frosinone. Proprio perché ne è l’ideatore e il principale animatore ne diventa, nell’aprile del 1964, il primo Presidente. Nell’assemblea consortile, il Comune di Ceccano ha designato a rappresentarlo l’avvocato Aldo Ambrosi, l’urbanista Leo Solari di Roma, voluto dai socialisti, ma sempre assente in tutte le sedute, infine, Francese Battista. Quest’ultimo, allora Sindaco di Ceccano, entra a far parte del Comitato Direttivo del Consorzio insieme a Minnocci, Bruscoli, Marini, Frezza e Tarquini. È utile e necessario precisare che, escluso Minnocci, socialista, gli altri sono tutti dirigenti della democrazia cristiana. Questa composizione darà un’impronta tutta particolare nel corso degli anni alle scelte del Consorzio stesso. Il territorio interessato al processo di industrializzazione è di 400 ettari. E un’area compresa in larghezza fra l’autostrada del Sole e il fiume Sacco ed in lunghezza fra il bosco Faito e le sorgenti di Mola dei Frati, presso il confine di Ferentino. È dunque un’entità geografica omogenea. È accertato che prima del 1968 il territorio a ridosso di Ceccano è già investito da un processo di industrializzazione che vede la realizzazione di fabbriche e la messa a disposizione di molti nuovi ed ambiti posti di lavoro presso la Nuova Fias, la Klopman, la birreria Henmed, l’Agusta, la Mallory, l’Ilfem sud, la Patty. Se andiamo a vedere l’incremento degli insediamenti industriali tra il 1951 ed il 1968 Ceccano ha una crescita del 327 %, superiore a quello di Sora che  è del 244% e di quello di Frosinone 223% Si creano così molti nuovi posti di lavoro. Nel maggio del 1968 è da presumere che all’interno del perimetro del Nucleo siano occupati più di cinquemila operai. I primi ad essere assorbiti sono falegnami, sarti, calzolai, imbianchini, cioè quelli che erano gli addetti ad un artigianato legato ad un tessuto economico di vecchio tipo. Il nuovo ciclo di sviluppo intanto incomincia a creare un nuovo tipo di attività artigianale legata allo sviluppo dell’automobile: carrozzieri, elettrauti, carburatoristi, meccanici, e alla società industriale: idraulici,tubisti,impiantisti,elettricisti. I muratori ed i carpentieri seguitano a fare i pendolari, a lavorare nei cantieri romani, non solo perché c’è la certezza del lavoro ma in particolar modo perché il contratto degli edili prevede salari più remunerativi rispetto a quello degli operai delle fabbriche. Francesco Battista Quando si parla di Consorzio e quando si pensa ai posti di lavoro assegnati nelle fabbriche il pensiero vola direttamente a «Checchetto» Battista: croce e delizia per avversari o amici; angelo salvatore o demonio infernale a seconda di come ci si collochi nel giudizio. Nel febbraio del 1968, Battista, all’indomani di una malattia del Presidente, conquista l’ambitissima carica di Presidente del Consorzio. A quell’epoca ha quarantanove anni ma non è più Sindaco di Ceccano e gestirà le sorti del Consorzio in qualità di Presidente per i successivi quattordici anni. Negli anni dell’espansione e della crescita ha messo a disposizione dei disoccupati di Ceccano moltissimi posti di lavoro. Si dice che in una sola giornata presso la Klopman ne abbia «piazzati» più di sessantacinque. In quegli anni e nei successivi è il politico più temuto, ricercato ed adulato. Presso l’Ufficio  Provinciale del Lavoro di Frosinone, ove svolge la sua attività lavorativa, o nella sede del Consorzio Industriale o addirittura nella sua abitazione in Ceccano, transiteranno migliaia di disoccupati o di lavoratori precari, animati da speranze e da ambizioni, molto spesso accolte ed esaudite. Fatta questa doverosa precisazione è interessante anche approfondire la qualità degli interventi finanziari. Il capitale che viene investito nella creazione delle fabbriche non deriva da risorse locali ma viene tutto da fuori provincia, dato significativo attraverso il quale è possibile individuare l’emergere delle prime contraddizioni ed evidenziare esplicitamente le condizioni di arretratezza del nostro tessuto economico. Nello stesso tempo c’è da essere lusingati dal fatto che l’economia si internazionalizza. Nel 1966, infatti, su 19 miliardi investiti nel Lazio da industrie straniere, 7,5 arrivano nella nostra provincia. Ci sono dunque nuove attese, incomincia faticosamente e timidamente ad affacciarsi una nuova imprenditoria locale che lavora nell’indotto. Vi sono, inoltre, professionisti che si raccordano ai processi produttivi. Favoriscono con la loro professionalità il sorgere di infrastrutture utili all’ industrializzazione. I progettisti del frusinate che lavorano per questo processo sono fra gli altri Valchera, .Silvestri, Santoro, De Bernardis, Bartolomucci, Sarra, Accinni, De Sanctis. I primi interventi infrastrutturali riguardano le disponibilità delle acque. Verso i terreni del nucleo industriale vengono convogliate le acque potabili delle sorgenti di Capofiume e di Tufano. La Klopman, che ha bisogno di una eccezionale disponibilità di acqua, risolve i suoi problemi attingendola diretta-mente dal fiume Sacco. Si costruiscono strade, si progettano reti fognanti che raccolgano gli scarichi degli opifici fra Ferentino e Frosinone ma non si pensa a costruire il depuratore per servire tutta la zona. Si potenziano, inoltre, le linee dell’Enel e della Sip. Si prospetta una nuova era. All’orizzonte sembra delinearsi un futuro  roseo per tutti. All’inizio del 1968, alla vigilia della campagna elettorale, è la DC a presentarsi agli occhi dei cittadini come il partito in grado di gestire una fase che nell’arco di pochi anni cambierà i connotati del nostro territorio dal punto di vista ambientale ed economico. L’epicentro di queste trasformazioni è Ceccano. Non deve meravigliare dunque se i segni dell’ industrializzazione hanno anche un risvolto elettorale. Chi pensava che l’industrializzazione, la crescita della presenza operaia nella società, avesse automaticamente rappresentato un aumento di influenza e di voti del PCI rimase deluso. Non bastava essere operaio per diventare comunista! A Ceccano, in questo periodo quindi la DC acquista credito a scapito del PCI, partito storicamente antagonista, ma messo in difficoltà, escluso da questo grande sommovimento epocale. Esso è emarginato dal punto di vista delle decisioni e delle scelte del potere reale e nello stesso tempo non è nemmeno attivamente impegnato come oppositore o portatore di idee o proposte alternative. L’arretramento elettorale del PCI viene contenuto per via del voto proveniente dai mille edili pendolari. Costoro, infatti, nei cantieri romani di Caltagirone, Gerini, Marchini ed Ansalone erano direttamente legati con i sindacati. L’espansione a macchia d’olio dell’attività edilizia romana aveva creato un grande esercito di proletari, consapevoli dei propri diritti e delle proprie capacità professionali. Gli edili erano cittadini bene informati sia dai sindacalisti che dalle pagine di "Paese-Sera", quotidiano molto letto ed in quegli anni, in sintonia con i temi riguardanti il lavoro e le grandi questioni politiche. Sui lunghissimi treni a vapore surriscaldati d’estate e freddi d’inverno, con scomodi sedili di legno che portavano l’esercito dei pendolari nella capitale, era facile trovare persone che avevano contrastato le cariche dei poliziotti e dei carabinieri a cavallo a Porta S.Paolo, quando si doveva battere il tentativo autoritario di Tambroni. Cosi come molti  erano quelli che non avevano avuto paura delle manganellate della «Celere» sotto la Galleria di Piazza. Colonna o a Piazza SS Apostoli nel 1964, quando essi riuscirono a strappare il miglior contratto del periodo. Sui treni, dunque, la forza dominante era quella comunista ma nel territorio cittadino era la De il partito egemone, quello che gestiva le trasforma-zioni delineando un «futuro» per tutti: era la forza che prometteva una nuova epoca. Allora appariva tutto rose e fiori. Dopo vedremo anche 1 ‘ altra faccia della medaglia.


Capitolo 3-I ritardi e le contraddizioni

 Nelle pagine precedenti è venuto chiaramente alla luce come fosse in atto una grande trasformazione del territorio. Una modifica tumultuosa, non governata, perché priva di programmazione. È nelle mani di forze che hanno come obiettivo primario solo l’insediamento delle fabbriche, senza preoccuparsi delle ripercussioni sul retroterra circostante o più direttamente sull’ambiente. Emergono così problemi di varia natura, ma fra tutti ce n’è uno che avrà ripercussioni durature nel tempo e che ancora non vede una positiva e definitiva risoluzione. C’era una volta un fiume Mi riferisco all’inquinamento del fiume Sacco. Il fiume che nasce dai monti Prenestini. Da Roiate arriva a Valmontone, costeggia Colleferro ed Anagni, divide in due la città di Ceccano e dopo ottanta chilometri si unisce al Liri formando il lago di Isoletta. Fino al secondo dopoguerra parecchie famiglie traevano ancora so-stentamento dalla pesca andando a vendere il pesce anche nei paesi limitrofi. In particolar modo va ricordato che generazioni di ceccanesi hanno usufruito del corso del fiume come principale mezzo di divertimento e di pratica sportiva. Forse per questo motivo nel nostro paese si contano sulle dita le persone che non sanno nuotare. Fino ad una trentina di anni fa le vacanze marine, infatti, costituivano una prerogativa riservata solo ad alcune famiglie facoltose. Nel fiume invece si consumavano riti collettivi di tutti quei giovani che  non avevano la possibilità di trascorrere le vacanze altrove e perciò sfruttavano ciò che la natura e l’ambiente circostante mettevano loro a disposizione. Nelle acque nel nostro fiume infatti s’ ideavano continuamente nuovi giochi, si effettuavano esibizioni di tuffi, gare di nuoto e si provava anche il nuoto subacqueo. Il ricorrere delle belle stagioni li riconfermava e rendeva partecipi gli abitanti dell’ambiente e del territorio. Ma la magia non terminava quando ci si allontanava dalle acque; il ritorno a casa costituiva un fascino tutto particolare prodotto dalle razzie di pannocchie di granturco o di ceci, dalla raccolta di more o di «prunacci». Ogni qual volta la memoria ritorna a quei momenti si crea un alone di leggenda che sollecita quasi il richiamo ad un paradiso perduto. In verità bisogna ricordare che il fiume fu completamente integro fino al 1954. Già allora gli scarichi provenienti dalla fabbrica bellica della BPD di Colleferro saltuariamente ne minacciavano il colore e la salubrità. In quel periodo si parlava di «tritolo», un termine sussurrato a bassa voce, quasi mormorato, per il pericolo che evocava. Pur tuttavia per altri dieci anni i ceccanesi, anche se in misura sempre più limitata, continuarono a frequentarlo. Anzi nell’estate del 1965 ci fu qualcuno, un certo Biagio Cipriani per la precisione, abitante nel centro storico, che con molta ironia e freschezza, lungo la strada morolense, scrisse « LIDO » sul manto stradale, accompagnando la parola con una freccia vistosa indirizzata verso il fiume. Oggi in prossimità di quella nostalgica icona sorge un autosalone. Ancora in quel periodo c’era, dunque, chi nuotava in un fiume che diventava sempre più scuro. Era un modo come un altro per esprimere la capacità di una generazione di sapersi divertire con poco. Ma nelle stagioni estive del 1967 e del 1968 lungo il corso del fiume non si videro più bagnanti. Non era più possibile nuotare sia per il colore marrone scuro che per l’odore stesso dell’acqua per cui occorreva una forte dose di  temerarietà per immergersi. La prima manifestazione contro l’inquinamento del Sacco Un sabato sera del mese di luglio, pertanto, si svolse una manifestazione in piazza Berardi per protestare contro l’inquinamento: è la prima di una lunga serie di iniziative finalizzate a questo scopo. Oratori sono: il Senatore Angelo Compagnoni e l’avvocato Peppino Ambrosi. La manifestazione viene annunciata alla cittadinanza con un manifesto preparato dopo una lunga discussione presso l’Alleanza Contadini di Frosinone. Il titolo «Fogna o fiume?» è suggerito dall’avvocato Sancte De Sanctis. Un titolo solo apparentemente catastrofico, sicuramente profetico se si pensa che durante la stagione estiva dei primi anni dell’Ottanta, l’odore proveniente dal fiume divenne simile a quello della fogna. C’è da dire, comunque, che la manifestazione, sebbene cogliesse un malessere diffuso, vide presenti poco più di cento persone, per lo più abitanti della zona ponte, sensibili ad un tema che con il passare del tempo sarebbe stato sempre più pressante e dai risvolti dannosi per le attività commerciali e per la salubrità della zona. La manifestazione indusse l’Amministrazione comunale a deliberare la costituzione di un Comitato Cittadino per la lotta all’inquinamento. Anche questo sarà il primo di una serie di Comitati che ogni estate si avvicenderanno per rilanciare la protesta della nostra città. Nelle settimane successive i membri di questo Comitato trovarono difficoltoso elaborare una concreta, organica piattaforma alternativa rispetto alle travolgenti trasformazioni in atto. Escluso il dott. Giovanni Stirpe, apprezzato professionista, in grado di dare un notevole contributo di informazioni scientifiche e legislative, tutti gli altri membri si limitarono ad esprimere una volontà di  opposizione al fenomeno. Si percepiva una sostanziale impotenza politica a fronteggiare concretamente il problema. In effetti prevaleva anche nell‘ opinione pubblica una concezione disposta a sacrificare ogni valore al processo di industrializzazione. Essa si manifestava anche in termini di egemonia culturale: guai, infatti, a chi avesse voluto compromettere la possibilità di un posto di lavoro o rallentare quel progresso che solo l’industrializzazione sembrava garantire. I membri del Comitato si incontrarono un paio di volte, poi arrivò la stagione fredda e l’esperienza venne archiviata. A dimostrare la difficoltà nel preparare una linea di difesa ambientale esiste una deliberazione del Consiglio Comunale del 3 maggio del 1969, con la quale si rilasciava l’autorizzazione alla Clipper per la rigenerazione e il ricondizionamento degli oli usati. Dalla lettura di questa delibera si evince che i Consiglieri Pinetto Bonanni e Mario Maura sollevarono rilievi pertinenti e preoccupanti: chiedevano al Sindaco maggiori garanzie per il territorio circostante, e denunciavano questa fabbrica per l’inquinamento dei pozzi a ridosso della stessa, già procurati dalla Ferentum. Pur non ricevendo alcuna assicurazione concreta, al termine del dibattito, i suddetti Consiglieri votarono favorevolmente. Questo esito è la manifestazione più eloquente di come fosse difficile a quel tempo dire di no o sollevare questioni di fronte alla promessa di posti di lavoro. Il pendolarismo studentesco Nell’ottobre del 1968, così come del resto ogni anno, iniziarono le attività scolastiche. In quel periodo cinquecento studenti ceccanesi si spostavano dal nostro paese per andare a studiare nelle scuole superiori di Frosinone. Pagavano 3100 lire di abbonamento mensile se prendevano l’autobus nella zona ponte e 3400 se salivano nella parte alta del paese.  La pendolarità degli studenti, nelle dovute proporzioni, è parallela alla pendolarità degli edili che lavorano nei cantieri romani, e molto spesso nelle famiglie si vive il fenomeno in maniera gravosa. Per conoscere meglio l’entità del pendolarismo studentesco e per cercare di risolvere questo problema si costituiscono comitati, si elaborano questionari, si avviano indagini. Un lavoro utile, coinvolgente per chi partecipa a questa ricerca perché permette di avere una conoscenza particolareggiata del fenomeno. Circolano molti volantini, qualche manifesto e si apre un impegnativo dibattito fra i giovani. Ovviamente si determinano anche schieramenti politici. I giovani comunisti focalizzano nei particolari il problema, per chiedere succursali di alcune scuole superiori a Ceccano, dall’altra parte i giovani democristiani con tempestività replicano affermando che della questione è già stato informato e si sta adoperando per assicurare un risultato positivo, il Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Maria Badaloni. La lotta all’inquinamento e la richiesta di succursali di scuole medie superiori alla fine del 1968 costituiscono due argomenti che anticipano il riaprirsi di una battaglia politica dopo un periodo di stagnazione durato cinque anni. Sono le prime avvisaglie di una lunga, intensa stagione di lotte tesa a superare i ritardi e le contraddizioni aperte in seguito all’improvviso sviluppo e puntano al miglioramento della qualità della vita. I partiti si confrontano Su questi temi i partiti politici locali si fronteggeranno per altri vent’anni in modo continuo e quotidiano. Nei primi giorni del 1969 si evidenzia sempre più una attiva e presente iniziativa dei giovani comunisti, socialisti e democristiani. Volantini, manifesti, giornali murali, sono il veicolo di confronto e molto spesso di scontro fra le forze  suddette. A queste voci che si muovono e si affrontano con alcune asprezze molto spesso si aggiunge e si contrappone la voce della sezione del MSI, attraverso la presenza diretta della persona più autorevole del momento: Pinetto Bonanni. Per tutta l’estate del 1969 il MSI sarà in grado di pubblicare un ciclostilato, con cadenza quindicinale, che porta il titolo «Azione». Sullo stesso, oltre a Bonanni, scriveranno alcuni giovani, ora affermati professionisti. È il primo esperimento ben riuscito di scrivere di vita cittadina e di varia attualità. In esso vengono riportate note di politica locale e persino di critica cinematografica; inoltre si fa dell’ironia e si scrivono filastrocche che non risparmiano nessun uomo politico. C’è da precisare che l’azione politica si era sviluppata in modo frammentato fino al maggio del 1969; successivamente invece tende ad assumere le sembianze di progetto politico. Il dato vero ed inconfutabile comunque è che dalla sporadicità ci si avvia ad assicurare la continuità dell’impegno. Nella sezione del PCI si compie un decisivo passo in avanti. Si avverte la necessità e l’urgenza di estendere l’iniziativa in un ambito più ampio, organico, di governo reale. Si fa una ricognizione delle necessità della gente, si cerca un raccordo con i cittadini ed una presenza nel territorio più puntuale e tempestiva. Tutto questo favorisce una discussione interna sulle scelte politiche da prendere; si apre cosi il dibattito riguardante il modo in cui superare l’isolamento politico, dovuto all’alleanza delle forze di centro sinistra che amministrano Ceccano dal 1962. Si discute se è possibile risolvere i problemi privi di una serie di alleanze politiche e sociali. Inavvertitamente si affrontano temi più complessi e difficili di quanto a prima vista si possa immaginare. Nell‘ interno di questo dibattito si presentano due scadenze che alimentano il serrato confronto nella sezione del PCI: la celebrazione del 25 aprile, anniversario della Liberazione e l’organizzazione della Festa del Lavoro, il 1° Maggio. Nella fase precedente a queste scadenze i comunisti molto aspramente 38 discutono se questi importanti momenti debbono essere vissuti insieme agli uomini del PSU, partito che vede unificati i socialisti con i socialdemocratici, oppure ricordarli da soli, in uno «splendido isolamento». Non è un quesito facile da risolvere. È presente infatti una componente interna agguerrita e formata da uomini autorevoli e rispettati che si oppone a promuovere l’iniziativa unitaria. La celebrazione del 25 aprile, promossa autonomamente dai circoli giovanili comunisti e socialisti, favorisce però la discussione interna e ne determina la scelta in senso unitario. Per la celebrazione della Liberazione e’ è un convinto accordo fra la FOCI e la FGS perché non esistono risentimenti e diffidenze fra i giovani: il centro sinistra non ha avuto ancora il tempo di creare divisioni. È la prima volta che a Ceccano questa ricorrenza viene rievocata: è una giornata che, essendo all’insegna degli ideali della Resistenza dovrebbe essere celebrata insieme da tutta la gioventù democratica. I giovani democristiani però non sono d’accordo, non accettano l’iniziativa unitaria. Il loro segretario, Luigi Santodonato, risponde in termini negativi all’invito fatto da Gerardo Masocco, il quale a nome dei giovani socialisti ha cercato di stabilire un contatto con tutte le parti. Un rifiuto contraddittorio e pretestuoso, riportato su un giornale murale affisso in piazza 25 luglio. Sullo spazio, i giovani democristiani affermano di sentirsi legati all’esperienza storica della Resistenza ma annunciano anche che non avrebbero mai partecipato a manifestazioni che vedessero presenti i giovani comunisti. Pur con questo rifiuto, la celebrazione si tenne ugualmente. Fu la prima di una serie mai interrotta e che dal 1971 viene ancor oggi organizzata direttamente dal Comune. Essa rappresentò allora un’autentica novità. Su un brevissimo percorso, alcune persone dietro a due bandiere rosse e una bandiera tricolore sfilarono dal Monumento ai caduti fino alla lapide di Luigi Mastrogiacomo, trucidato alle Fosse Ardeatine, per deporvi un cuscino di fiori.  Un semplice ma significativo atto. Dopo molti anni circa cento persone scendevano insieme in piazza per esprimere la loro adesione ai principi che legittimano la Repubblica Italiana. Immediatamente ci ritrovammo presso la sede del circolo giovanile socialista, situata in piazza 25 luglio, ove Gerardo Masocco, per i giovani socialisti, ed il sottoscritto, per i giovani comunisti, esposero l’insegnamento e l’attualità della storica data. C’è anche da dire che sia nel corteo che nella sede socialista non erano presenti solo giovani, ma anche persone più anziane. Ricordo con piacere quando ci disponemmo al tavolo della presidenza e Amedeo Gizzi, vecchio leader del socialismo ceccanese, venne a sedersi accanto a noi per presentare l’iniziativa, conferendole così quella maggiore solennità che essa meritava. L’altro fatto nuovo e significativo fu che si ritrovarono insieme dopo otto anni di divisioni e di polemiche, a volte accompagnate da risentimenti personali, comunisti e socialisti. L’attualità della Resistenza e l’iniziativa dei giovani avevano alleggerito le tensioni e riaperto un rapporto a sinistra, che non si interromperà più negli anni successivi. La manifestazione dei giovani anticipò la ripresa di uno spirito unitario che si manifestò ancora più compiutamente nei giorni successivi con la Festa del 1 Maggio, anch’essa celebrata unitariamente. In occasione della Festa del Lavoro, come stabilito, il corteo parte dalla Borgata. I dirigenti della sezione democristiana, così come hanno fatto preceden-temente i giovani, non sono presenti, preferiscono ricordare l’avvenimento in un locale della Cantinella, fra un pranzo sociale ed una partita di bocce. Sebbene il tempo sia incerto, partecipa più gente del previsto: ci sono cittadini del centro urbano e della campagna, giovani e meno giovani. Il corteo è aperto da sette trattori stracarichi di ragazzi su cui è issata una bandiera rossa. Più indietro vengono altre persone che avanzano a piedi con cartelli e con immagini di Guevara e Ho Chi Minh. Vengono messi in evidenza, inoltre, striscioni inneggiami  al primo maggio, bandiere rosse e qualche bandiera vietnamita. Fra i convenuti c’è molta commozione per la presenza di tanta gente che per la prima volta si ritrova insieme. Dopo anni di solitudine politica e di divisioni si avverte una sensazione di forza che solo l’unità sa assicurare. Una gradevole percezione che non verrà scalfita nemmeno da un intenso ma breve acquazzone che disturberà il corteo in viale della Libertà. Il comizio, tenuto più tardi in piazza 25 luglio dal Senatore Giacinto Minnocci e da Luigi Petroselli, in quel momento segretario regionale del PCI, venne seguito attentamente da moltissimi cittadini che si accalcarono sotto il palco. È interessante ricostruire i fatti precedenti e quelli che accompagnarono quella splendida giornata. È utile approfondire meglio non solo le emozioni che la sostennero, ma anche mettere in risalto come l’apparenza era accompagnata invece da difficoltà e contrasti, molto spesso nascosti e quasi sempre di difficile comprensione all’esterno. Sia nella sezione socialista che in quella comunista, infatti, sin dal primo momento non e ‘ è soddisfazione nel conoscere i nominativi di coloro che debbono tenere il comizio. Nella prima serpeggia un malcontento perché avrebbe dovuto essere presente un certo Silvano Labriola, un oscuro personaggio, non parlamentare, il quale aveva il solo merito di far parte della segreteria personale di Francesco De Martino. La ricerca dell’oratore comunista viene vissuta in modo ancora più drammatico, sproporzionata rispetto alla reale importanza dell’avvenimento. Alcuni dirigenti ritengono che per l’occasione a Ceccano debba essere presente un oratore affermato e conosciutissimo dal largo pubblico. Per realizzare questa scelta comincia allora la carambola di richieste di nominativi presso la federazione del PCI. Non trascorre giorno che il prescelto richiesto dalla sezione di  Ceccano risulti impegnato altrove. Si passa dal nome di Terracini a quello di Amendola per arrivare a quello di Scoccimarro ed infine a quello di Pajetta. Solo qualche giorno prima viene annunciato che il comizio verrà tenuto da Luigi Petroselli. Un nome che non diceva niente, sconosciuto: una delusione per tutti. Tale designazione per coloro che avevano subito o guardato con scetticismo alla festa fatta insieme ai socialisti rappresenta un oltraggio ai ceccanesi. Per costoro, infatti, è espressione di una pessima considerazione della federazione verso i comunisti di Ceccano. Ed allora, proprio nei momenti decisivi per la riuscita della festa sorgono discussioni a non finire, vittimismi ed altre perdite di tempo. I socialisti furono più fortunati perché Labriola, il quale peraltro negli anni successivi diventerà un membro della Direzione nazionale del PSI, non sarà presente ma verrà sostituito all’ultimo momento dal Senatore Minocci, capo carismatico del socialismo ciociaro. Ma in casa comunista le polemiche non terminano nemmeno all’ultimo momento. Il malcontento giunge all’apice quando arriva Petroselli presentandosi con un doppio petto marrone strettissimo, con i capelli stoppacciosi e spettinati, con il suo naso schiacciato, da pugilatore e con una camminata incerta. Subito si obietta che non può, con il suo aspetto alquanto trascurato, «conquistare le masse». Questi argomenti costituiscono la goccia che fa traboccare il vaso: per poco non si arriva alle mani, anche perché la fatica ha reso più nervosi quelli che hanno preparato la festa. In effetti in quella occasione si anticipa un copione che negli anni successivi si è sempre ripetuto: coloro che stanno a guardare, che non raccolgono soldi, che non partecipano all’oscuro lavoro preparatorio, insomma quelli che non s’impegnano in prima persona, sono sempre i più esigenti, coloro che trovano da ridire sul lavoro di coloro che hanno realizzato la festa e l’iniziativa. Nessuno quel giorno, comunque, avrebbe scommesso su Petroselli, che dieci anni più tardi sarebbe diventato Sindaco di Roma, lasciando un ricordo tanto positivo fra il popolo romano che il tempo non è riuscito a cancellare. Non posso fare a meno di ricordare che qualcosa di simile era accaduto l’anno prima nei confronti di Enrico Berlinguer, quando venne a tenere un comizio a Ceccano. Berlinguer, anch’egli, a quel!’epoca segretario regionale del PCI, quella sera si presentò solo, senza onori e senza scorta. Si limitò a farsi indicare con il suo modo modesto e silenzioso l’abitazione del dott. Stirpe, zio della moglie, ed a piedi si diresse in quella casa per salutare i parenti. Anche allora il fisico smagrito, l’abbigliamento dimesso, lo sguardo serio ed assorto ed allo stesso tempo con un so che d’indifeso e spaurito non piacquero ad alcuni comunisti, i quali si affrettarono a giudicare che quella persona non era all’altezza della situazione. Stesse errate profezie, identiche non lungimiranze contraddette dagli alti incarichi che successivamente i due uomini politici andranno a ricoprire. Due uomini non ossessionati dall’apparire, così come avviene oggi; l’importante consisteva nell’essere. Nell’essere veri, coerenti e capaci. A tanti anni dalla loro scomparsa resistono al giudizio del tempo in quanto la loro opera non fu affidata ai truccatori, ai costruttori d’immagine o agli imbonitori poiché non ci fu mai illusione o inganno.


Capitolo 4-La richiesta di servizi

  Anche se in maniera ancora empirica e non ben definita si apriva un fronte di lotta per la battaglia a favore dei servizi. Arrivati a questo punto credo sia proprio necessario fermarci un attimo per misurare i rapporti di forza esistenti in Consiglio Comunale e seguire la loro evoluzione, focalizzando le figure degli uomini che guidavano allora il Comune. Nel luglio del 1969 il PSU si divide. Ovunque si ritorna alle vecchie divisioni fra socialisti e socialdemocratici. Tale separazione, però, non ha ripercussioni sull’amministrazione comunale di Ceccano. Il democristiano Gigetto Piroli seguita a ricoprire la carica di Sindaco, Vice è il socialista Walter Apruzzese. Della Giunta, inoltre, fanno parte Camillo Masi e Pietro Bragaglia appartenenti alla DC, Francesco Panfili che ha aderito al partito di Saragat mentre Dante Diana e Pia Capoccetta fanno parte del PSI. La Capoccetta, eletta in Consiglio nelle elezioni del 1964 nella lista comunista, successivamente approdata nel gruppo del PSU e poi in quello del PSI, è la prima donna che entra a far parte di una Giunta ceccanese. L’estate diventa una stagione di lotta per superare i ritardi che ogni giorno si presentano sul territorio cittadino, per chiedere servizi elementari, per riequilibrare le condizioni di vita fra città e campagna, per non rimanere indietro rispetto ai tempi.  La geografia del Consiglio Comunale è la seguente: 2 Consiglieri appartengono al MSI; 2 al PSU; 8 al PCI; 7 al PSU dopo una serie di adesioni che ha portato nel gruppo Dante Diana, eletto nella lista del PSIUP, Michele Loffredi eletto nella lista del PSDI, la Capoccetta eletta nel PCI; 11 la DC, che ha imbarcato Aldo Maliziola, eletto nella lista del MSI.

Le questioni scolastiche

 A Ceccano in questo periodo si stanno costruendo i due edifici che dovranno ospitare le scuole medie esistenti. Ambedue sono stati progettati dall‘ingegner Mario Pinchera, un professionista che ali " epoca monopolizzava gli incarichi per via di conoscenze e sostegni a livello governativo. I lavori della Scuola Media n° 2 sono realizzati dalla ditta Canali. Quelli della «Gizzi» sono eseguiti dall’impresa di Alberto Lenzi. Con l ‘ istituzione della scuola media obbligatoria abbiamo assistito ad una forte scolarizzazione di massa. La Scuola Media «Gizzi» è frequentata da 466 studenti, mentre la Scuola Media n 2 da 386. Queste due scuole sono sistemate in più plessi: la «Gizzi» occupa i locali delle «Giuseppine», alcuni appartamenti privati in via Matteotti e la sede dove oggi è ubicata l’Anagrafe comunale. La Scuola Media n. 2, invece, è dislocata in alcuni locali sopra il «Cral» di Via S.Francesco, in alcuni locali di fronte e in altri ancora situati in via per Frosinone. L’unica scuola superiore esistente nel nostro territorio è l’Istituto Pro­fessionale, che dopo tre anni di studio rilascia la qualifica di Tornitore Meccanico. La sede, o meglio le sedi, sono disperse presso alcuni locali privati situati davanti la stazione ferroviaria. Da questa scuola escono ragazzi che avranno sempre un posto di lavoro assicurato: una scuola che avvia veramente al lavoro e non una fabbrica di disoccupati. Nelle campagne i plessi scolastici delle scuole elementari non sono accoglienti. Il riscaldamento è a legna, molto spesso portata da casa dagli alunni. In qualche caso mancano i servizi igienici e ovunque prevalgono pluriclassi. È in attività, ma solo per un breve periodo, una sola sezione di scuola materna presso il Villaggio UNRA, nella parte bassa di Ceccano. Nella scuola media la legge prevede ancora la sessione autunnale per i rimandati. In campo nazionale si discute animatamente se la selezione scolastica sia il riflesso di una selezione di classe, cioè se il sistema scolastico attraverso le bocciature colpisca più il figlio dell’operaio e dei ceti meno privilegiati. È aperto, comunque, il problema dei rimandati, delle ripetizioni, dei costi sulle famiglie dei non abbienti. Alle discussioni l’ARCI locale, fortunatamente, coniuga concretezza ed intervento attivo. L’ARCI non è altro che la sigla di una organizzazione di sinistra presie­duta a Ceccano da Gerardo Masocco, attiva e presente per oltre un decennio nella nostra città. La sede, collocata a fianco della sezione socialista, in piazza 25 Luglio, organizza durante il mese di agosto la preparazione degli studenti rimandati nelle scuole medie. Il corso è gratuito e vi partecipano più di venti studenti. Gli insegnanti sono: Nicola Masi, Carmelina Spada e Gerardo Masocco che rispettivamente impartiscono lezioni di Inglese, Italiano, Storia,Geografia e Matematica. È un’iniziativa interessante ed encomiabile, purtroppo, mai più ripetuta. A titolo di cronaca va detto con soddisfazione che i ragazzi partecipanti vennero tutti promossi.



II raffronto con il Nucleo Industriale


 Le strade comunali ben asfaltate e sistemate riguardano solo il centro urbano e via Badia. Spesso la viabilità rurale ha un buon fondo stradale, perché realizzata attraverso i cantieri aperti negli anni precedenti dal Ministero del Lavoro, ma esso è ricoperto solo da breccia. Le automobili stanno diventando una necessità per espletare meglio l’attività lavorativa e non un bene di consumo per cui in ogni famiglia incomincia ad essercene una. Se la strada imbrecciata era funzionale per il carretto o per il birroccio, essa diventa ora micidiale e pericolosa per l’automobile. Nel territorio del Nucleo industriale invece si costruiscono molte strade, ovviamente di buona percorribilità. Esse collegano fabbrica con fabbrica oppure gli opifici industriali con il raccordo autostradale o con le strade Morolense e Casilina. Il telefono è un utilissimo servizio accessibile solo a pochi cittadini del centro urbano mentre nelle campagne il servizio è inesistente. All’interno del Nucleo, nelle fabbriche, invece si trovano molti apparec­chi telefonici tanti quanti sono gli uffici ed i reparti. Inoltre incominciano ad essere usati i telex.  Il Comune di Ceccano ha bisogno, invece, di una deliberazione del Consiglio Comunale per chiedere alla Azienda telefonica impianti pubblici presso l’Ospedale Civile, il Manicomio, il Municipio e la Stazione Ferroviaria. Nelle campagne sono moltissime le zone abitate prive di energia elettrica. Dove esiste la linea, inoltre, bassa è la potenza, per cui spesso gli elettrodomestici vengono danneggiati. È interessante riportare come questo problema veniva affrontato in sede consiliare. Durante una seduta del Consiglio Comunale, il Consigliere del PCI, Vincenzo Masi, abitante presso la contrada Celleta, per rendere edotti i presenti della grave situazione esistente, introdusse una folta delegazione di cittadini della zona. Il Sindaco Piroli, messo in difficoltà dalle argomentazioni portate dalle molte donne presenti, per alleggerire la tensione legge un telegramma, espediente allora veramente molto in voga, inviatogli da Andreotti «A seguito del mio vivo interessamento mi è gradito communicarLe che sono in corso di approvazione i progetti relativi all’elettrificazione delle contrade Celleta, Pantano, Acqua Santa». Così suonava il testo. C’è da precisare, comunque, che tali opere si realizzarono solo quattro anni più tardi. Al di là delle maniere funamboliche di Piroli, capace di destreggiarsi in ogni momento, il problema era attuale e incominciava a diventare grave perché la potenza erogata sul territorio cittadino era inadeguata rispetto alla richiesta. Il ventitre marzo, di domenica, si era verificato un black out e l’Ospedale, il Carcere, i bar, i frigoriferi delle botteghe alimentari erano rimasti privi di corrente elettrica per l’intero pomeriggio. Nel frattempo nell’interno del Nucleo si costruiva, invece, il nuovo elettrodotto ed entravano in funzione le più moderne cabine elettriche.




Le donne di Colle Leo.

 Per i dodicimila abitanti delle campagne non era stata ancora costruita una rete idrica comunale. L’acquedotto rimaneva quello del 1932, con una cabina di sollevamento ed il serbatoio in via S.Stefano. Solo nel 1960 si costruì il serbatoio di Borgo Pisciarello per raccogliere l’acqua proveniente dall’Acquedotto di Capofiume. Nelle campagne si utilizzavano i pozzi. A quell’epoca ne esistevano, fortunata­mente, 1331 ma i particolar modo nelle contrade Acqua Santa e Colle Leo, durante la stagione calda, si prosciugavano. Grazie alla raccomandazione di Andreotti e di Tanassi, arrivava in aiuto l’autobotte militare che prelevava l’acqua dall’impianto di sollevamento situato sulla Morolense e la distribuiva in alcune località di campagna. L’addetto a questa operazione giornaliera, che si protraeva da luglio a settembre, era un militare che veniva spesato dal comune con un costo complessivo pari a 128 mila lire. È interessante riportare un episodio accaduto nella contrada Colle Leo che svela chiaramente come attorno ai bisogni fortemente sentiti e alle primarie necessità da soddisfare si inserissero metodi tanto ricattatori e discutibili da essere respinti immediatamente. Si era sparsa la voce che era prossimo il primo arrivo dell’autobotte militare per distribuire l’acqua agli abitanti della contrada. La mattina del giorno indicato c’è attesa e fermento per l’evento. Di buon ora, le donne munite di conche e di recipienti vari si dirigono al luogo convenuto, ordinatamente formano una lunga fila e fiduciose, tra un discorso e l’altro, aspettano l’arrivo dell’acqua. Le ore passano e alle undici della «manna» promessa non si vede nemmeno una goccia. L’iniziale allegro vocio comincia a diminuire: subentra un malessere generale, si avvertono stanchezza e sfiducia. Il sole è alto e picchia forte; fortunatamente l’ombra degli alberi posti lungo il ciglio della strada offre riparo e un po’ di sollievo. Nessuna donna però rinuncia e torna a casa. La razione di acqua è tanto importante da sopportare qualunque sacrificio. Intorno c’è un caldo soffocante e non si ode altro che l’assillante frinire delle cicale. Anche i bambini che festosi e gai hanno seguito le mamme con un fiaschette in mano per contribuire alla provvista d’acqua, sembrano di colpo ammutoliti. Qualcuno rinuncia e torna a casa dai nonni, altri spossati, cercano frescura nel piccolo fossato. Ma quando tutto fa supporre che l’autobotte non arrivi più, ecco che da lontano un rumore, via-via sempre più chiaro, ridona di colpo coraggio e speranza alla donne in attesa. È, infatti, il camion militare che arranca faticosamente lungo la salita, avvolto da una nuvola di polvere alzata nella strada bianca, arsa dal sole. Il sogno finalmente si appresta a diventare realtà! Le donne ricuperano i recipienti e fiduciose riprendono il loro posto nella fila; qualcuna richiama con tono fiducioso e allegro i figlioli. Quando l’autobotte è ormai vicina è possibile intravedere che c’è un’altra persona accanto all’autista: è un civile che le donne riconoscono nel suo aspetto spavaldo e vistoso, per la stessa persona che nei giorni precedenti si era dato un gran da fare per annunciare l’arrivo dell’autobotte. Costui è impiegato come usciere presso l’INAM: originario di Frosinone è da qualche tempo impegnato nella contrada a promettere cortesie e raccomandazioni perché aspirante candi­dato al Consiglio Comunale per la DC. Il camion finalmente si ferma ed il primo a scendere è proprio lui, il civile che con fare perentorio si rivolge alle donne in questi termini: «Avete visto, vi ho portato l’acqua; mettetevi bene in fila senza litigare e non prendetevela più con la DC.» La sua prepotenza fisica, le sue affermazioni fuori luogo, ma ancor più la sua inflessione dialettale provocano una immediata azione di rigetto e generano tumulto e rabbia incontrollata.


«Che c’entri tu? Vattene! Chi t’ha chiamato?»

 Queste ed altre più sprezzanti e colorite parole accompagnate anche da qualche lancio di pietra costituiscono la reazione immediata di quelle donne che pazientemente avevano aspettato per tante ore l’arrivo dell’autobotte ma che non per questo erano disposte a tollerare che questo bene primario fosse concesso loro attraverso forme di ricatto! Sia chiaro che non si trattava di uno scontro politico ma quel comportamento da padroncino, da caporale era la goccia, non certo di acqua, che faceva traboccare il vaso. Dopo essere state alcune ore sotto un sole cocente, stanche, con le vesti imbiancate e appiccicose di sudore, avevano avuto il coraggio di rifiutare e di tornare a casa con i recipienti vuoti, ma fiere di non aver subito prevaricazioni di nessun genere,di non aver accettato metodi e regole da un figuro estraneo ai loro problemi ed alla loro contrada. Il giorno successivo il Sindaco Piroli che conosceva bene gli abitanti della zona, per evitare incidenti, diffidò questo individuo a salire sul camion. L’acqua, dunque, mancava nelle campagne, era razionata nel centro urbano ma era disponibile in abbondanza all’interno del Nucleo, poiché direttamente captata dalle sorgenti di Tufano e di Capofiume. Per tutta l’estate venne posto all’attenzione il tema dei servizi. In alcune contrade: Colle Leo, Colle S .Paolo, Paolina, Celleta, Peschieta la gente chiedeva interventi, partecipava, si impegnava alla lotta. Il movimento di protesta si estendeva e si arricchiva di nuovi temi e in ogni angolo della città si coglieva malumore e molta insoddisfazione. A Ceccano dopo un periodo di immobilismo e di silenzio, il 1969 rappresenta 1 ‘ anno della ripres a del movimento . Con la lotta si cerca di ricuperare i ritardi accumulati, di evidenziare le contraddizioni, di chiedere di vivere in condizioni civili.


L’Area industriale.

 La descrizione sopra riportata risulta, però, incompleta se non viene accompagnata da una più chiara fotografia di quello che succedeva nel territorio ove operava il Nucleo. Va precisato allora che con il Decreto del Presidente della Repubblica del 5 maggio 1969 veniva riconosciuta la trasformazione da Nucleo ad Area. L’ importanza non era dovuta al cambiamento della denominazione ma a qualcosa di più corposo e sostanziale. Non riguardava più, infatti, solamente l’iniziale adesione di 6 Amministrazioni comunali, ma la presenza di 36 Comuni, con tutto quello che di nuovo questo allargamento rappresentava. L’Area veniva articolata in cinque agglomerati: quelli di ANAGNI, FROSINONE-CECCANO, SORA-ISOLA, CASSINO-PONTECORVO, CEPR ANO. Si estendeva in prospettiva la superficie d’ intervento e aumentavano le zone dove era previsto lo sviluppo industriale. Gran parte della Provincia oramai era coinvolta da questo grande fenomeno. Il  1969 mantiene, come l’anno precedente, il ritmo elevato degli sa le lo insediamenti industriali ma in particolar modo è da ricordare come l’anno in cui si viene a sapere che la Fiat ha intenzione di creare un nuovo stabilimento nel cassinate. Notizie imprecise, è vero, ma che anticipano un evento che sarà dirompente. Nell’interno di quello che oramai si deve chiamare «ex nucleo» la situazione alla fine del 1969 è la seguente: 25 industrie in funzione che occupano 6000 addetti. Ma è ancora più significativo riportare che 17 industrie sono in costruzione con una previsione di occupazione di 1500 addetti. Inoltre, sono programmate 52 industrie per altre 7000 unità lavorative. Sono dati importanti, significativi sotto certi aspetti addirittura incredibili. Ceccano rappresenta lo snodo fra vecchio e nuovo; è il paese ove si mescolano meglio sviluppo ed arretratezza, ove vengono per ciò alla luce le contraddizioni di un’epoca. A poca distanza dal centro abitato è in atto un intenso processo di industrializzazione accompagnato da tutto quello che di moderno esso porta; nel paese,invece, rimane una situazione stagnante che si sviluppa in maniera lenta ed impacciata, al di là delle previsioni del Comitato Regionale Programmazione Economica (CRPE), che prevedeva uno sviluppo coordinato alle zone industriali. Purtroppo tale ipotesi era rimasta sulla carta: in quegli anni si stava ampliando il divario tra il nuovo e il vecchio, anche perché mancava la presenza di un ente capace di programmare e di distribuire equamente le risorse. È la differenza che passa fra la velocità di una locomotiva a vapore ed un "pendolino". Lo sviluppo a velocità diversa apre nuove contraddizioni, sollecita nuovi antagonismi, crea nuove aspettative.


Capitolo 5-L’autunno caldo e lo sciopero degli operai di annunziata

 In una tranquilla e silenziosa notte di luna piena, nei pressi del Cimitero Comunale, accadde qualcosa di strano e di insolito. Il modo in cui tutta la vicenda si svolse fa pensare ad una cospirazione. In quella tiepida notte autunnale, dunque, un uomo su di un motociclo si aggirava nei pressi del Cimitero, ad andatura lenta ed indecisa. Guardandosi intorno, con fare circospetto imboccò la stradina che costeggiava il muro del Cimitero e si fermò nel punto in cui questa finiva. Giunto lì e non vedendo nessuno, stava per tornare indietro, quando in lontananza comparve un’automo­bile che si mise a lampeggiare come per un segnale evidentemente già convenuto. Il nostro uomo tirò un sospiro di sollievo quando vide arrivare anche un’altra automobile e due motorini. Questo gruppetto di persone altro non erano che operai della fabbrica di Annunziata costretti a vedersi in quel luogo appartato e segreto per discutere e concordare chi dovesse essere il rappresentante sindacale e chi dovesse essere eletto nella Commissione Interna da ripristinare. È questa l’unica riunione di cui si ha notizia. Nessuno ha mai saputo se e quanti approcci precedenti ci siano stati e quali precauzioni siano state necessarie per avviare rapporti interpersonali. Nella Repubblica fondata sul lavoro, per presentare una lista di candidati per le elezioni dei propri rappresentanti, questi lavoratori erano costretti a riunirsi di notte e di nascosto invece che alla luce del sole o in una rassicurante sede del sindacato! Come i cristiani primitivi si incontravano nel chiuso delle catacombe per sfuggire alle persecuzioni, alla stessa maniera gli operai di Annunziata dovevano riunirsi in un luogo segreto, oltretutto macabro, per evitare soffiate e prevenire le sicure rappresaglie padronali.


Il contesto entro il quale si sviluppa «l’autunno caldo»

 Tutto questo accadeva tra gli operai di Annunziata quando, invece, in gran parte dell’Italia le maestranze lottavano a viso scoperto e scendevano in piazza, mostrando con fierezza le proprie idee. Agli inizi del mese di settembre si incominciava ad avvertire che la stagione del rinnovo contrattuale sarebbe stata diversa da tutte le altre. C’erano segnali che dimostravano la straordinarietà dell ‘ avvenimento. Tutte le forze politiche percepivano le novità profonde che l’esito della vertenza dei contratti avrebbe potuto portare nelle relazioni fra datori di lavoro ed operai, oltre che nel rapporto fra le stesse. A livello nazionale si susseguivano incontri preparatori, sia nei sindacati che nelle organizzazioni imprenditoriali: si aprivano discussioni, si preparavano bozze di documenti, si sentivano le prime dichiarazioni e si vedevano sfilare nelle città industriali i primi cortei operai. Era in preparazione quello che verrà chiamato «l’autunno caldo». Qualche anno prima si era felicemente conclusa la questione del superamento delle gabbie salariali, un’antiquata regolamentazione che prevede­va retribuzioni differenziate non sulla base della produttività del lavoro ma in base alla sede in cui l’attività veniva svolta; perciò a nord i lavoratori avevano paghe superiori rispetto a quelli che abitavano nel centro e nel sud Italia. In quell’autunno del sessantanove nell’ambito dei rapporti politici incide­va in una certa misura anche il risultato delle elezioni politiche, tenutesi nel maggio del 1968. Esso aveva dato una grande forza al PCI ed al PSIUP, creando così le premesse della crisi del neonato Partito Socialista Unificato (PSU): si era costituito sulla base della fusione fra il PSI e il PSDI. Quello che doveva essere un polo di sinistra alternativo al PCI ed al PSIUP, infatti, si era diviso nel luglio del 1969, permettendo così al PSI di riacquistare i connotati di forza di sinistra e di riprendere i propri collegamenti con il movimento dei lavoratori. Inoltre, nelle scuole e nelle università si allargava a macchia d’olio la presenza e l’influenza del movimento degli studenti, il cui programma, anche se su basi molto utopiche, ipotizzava la costruzione di un mondo nuovo, il superamento del vecchio ordinamento scolastico e più in generale l’abbattimento di tutte le gerarchie sociali esistenti. Pur se in chiave non bene definita, il movimento degli studenti auspicava inoltre una unità d’azione con il mondo del lavoro. Milioni di lavoratori (metalmeccanici, edili, chimici, tessili) dovevano a quel tempo rinnovare il contratto. Gli operai non erano isolati: lo scenario entro cui si svolgeva la lotta non era caratterizzato dall’indifferenza generale e dallo scetticismo, ma da simpatie e da adesioni. Esistevano, dunque, tutti i presupposti per il coagularsi attorno agli operai di alleanze vere e proprie. Il formarsi di uno schieramento abbastanza ampio determinò, in contrapposizione, la formazione di uno schieramento contrario, il cui collante erano la paura del nuovo e il terrore del salto nel buio. Incominciarono così ad agitarsi settori tendenti a fermare la crescita del consenso attorno alle richieste ed alle proposte del movimento operaio. Fu proprio a ridosso di questo grande conflitto di classe che nacque la strategia della tensione, tendente a impaurire i settori moderati ed a mettere in difficoltà i sindacati e coloro che auspicavano il cambiamento. È molto interessante seguire più da vicino quello che in merito alla stagione de contratti accadde nella nostra provincia. La giovane classe operaia ciociara formatasi con la costruzione delle nuove fabbriche, incominciava a muovere i primi passi, all’inizio incerti, ma via via sempre più decisi. Si assisteva alla metamorfosi di lavoratori che avevano ottenuto il posto di lavoro grazie all’appoggio del prete del paese o alla raccomandazione del notabile locale. Essi incominciavano a partecipare alle prime riunioni sindacali, ad acquisire una consapevolezza della propria funzione, per essere pronti a comple­tare un velocissimo apprendistato. Il fermento era vivo e si coglieva in ogni angolo della Provincia e in ogni fabbrica, sia nella zona intorno alle cartiere di Isola Liri, Ceprano, Atina che in quelle di nuova formazione. Per la prima volta si presentarono le liste per le Commissioni Interne; questo avveniva persine alla Klopman, il regno degli americani, il luogo ove la direzione aziendale stava facendo i primi tentativi atti a dimostrare a tutti gli industriali italiani che in quella realtà il sindacato non avrebbe mai messo piede, né mai esso sarebbe stato chiamato in causa dai lavoratori. Con differente intensità e consapevolezza tutti si impegnavano, si muove­vano, partecipavano.


Il saponificio: terra senza legge

 Solo gli operai del saponificio Annunziata rimanevano estranei a questo vulcano in eruzione, isolati e lontani anni-luce dagli altri, oltre che privi di ogni legame con il sindacato. Dall’inizio del 1964 questi operai erano senza guida, inermi di fronte al proprietario, Antonio Annunziata. Questi, approfittando delle laceranti divisioni fra CGIL e CISL, a quell’epoca avviava la sua «ristrutturazione», con l’intento di ridurre nel periodo di cinque anni il numero degli occupati da seicento a trecento. I primi ad essere licenziati furono gli operai più combattivi, più sindacalizzati; alcuni vennero trasferiti, altri ancora furono isolati e messi nelle condizioni di non nuocere. Su tutti aleggiava lo spettro della disoccupazione, l’idea dominante era il rassegnazione. Alla fine di quella discussione non senza difficoltà riuscirono a concor­dare i nomi dei candidati e di coloro che coraggiosamente avrebbero dovuto presentare la lista. Non erano posti privilegiati, né erano cariche rimunerative. Anzi la loro funzione non garantiva facili passaggi nelle categorie superiori, per cui si doveva avere del coraggio a fare quelle scelte perché potevano comportare la perdita del posto di lavoro.


Il rischio ed il coraggio

 Eppure il coraggio venne fuori. Presentata la lista per le elezioni della Commissione Interna, il Commendatore non la riconobbe. Fu un atto grave, arrogante, antisindacale. Alla base di un provvedimento cosi sconsiderato c’era la convinzione che gli operai promotori di questa temeraria iniziativa sarebbero stati isolati rispetto agli altri. C’era la sicurezza da parte di «Sor Antonio» che di fronte ad una resa dei conti, ad una verifica dei rapporti di forza, la grande maggioranza degli operai avrebbe avuto ancora timore del suo potere, quindi, non avrebbe sostenuto il sindacato. Venivano a scontrarsi così posizioni e linee antagoniste e non componi­bili. La questione ormai aperta era importante e nevralgica. Essa riguardava il destino delle relazioni industriali future. Non esistevano, dunque, posizioni intermedie, non c’erano possibilità di aggiustamenti o di mediazioni. Immediatamente apparve chiaro che ancora una volta tutto si sarebbe risolto sulla base dei rapporti di forza. Così come si dice in termine pocheristico, bisognava «andare a vedere». Per questo non ci fu altra scelta per la CGIL che quella di proclamare lo sciopero ad oltranza. Una scelta senz’altro pesante. Ma data la situazione non esistevano altri modi per lottare q per sostenere una vertenza oltretutto avviata senza avere la possibilità da parte del sindacato di discutere con i dipendenti alla luce del sole.


Una scelta inevitabile

 Il 27 ottobre si arrivò così alla proclamazione dello sciopero a tempo indeterminato. Non è esagerato dire che la vicenda del saponificio Annunziata toccava profondamente tutto il paese; essa parlava al cuore ed ai sentimenti di una città. Richiamava alla mente i licenziamenti di undici operai effettuati nel 1953, anche allora per l’elezione della Commissione Interna. Riportava alla memoria lo sciopero e la morte di Luigi Mastrogiacomo nel maggio del 1962, gli scioperi del 1963, i licenziamenti del 1964 e la relativa sconfitta del sindacato. Ogni atto di quei momenti non aveva riguardato solamente le maestranze: essi erano stati vissuti coralmente, intensamente da tutto il paese. Non si trattava, dunque, solo di esprimere solidarietà verso gli operai dell’opificio, ma di riscattare una ferita che aveva già duramente colpito al cuore il paese. Nonostante i gravi fatti accaduti, negli ultimi cinque anni il saponificio era ritornato ad essere «terra senza legge». Il carattere del padrone aveva condizio­nato sempre le lotte, le aveva messe al di fuori di ogni altro punto di comparazione. Gli operai ed i cittadini non avevano mai avuto vie di mezzo: o da una parte o dall’altra. Anche in questa occasione dunque la quasi totalità dei ceccanesi scelse, non senza trepidazione, di stare dalla parte degli operai.


Preoccupazioni e timidezze

  E’ bene precisare che attorno agli operai in sciopero c’era un consenso della città tutto particolare; fatto di prudenza, preoccupazione e consapevolezza. Su queste adesioni però pesavano alcune difficoltà: soprattutto il ricordo dei tragici eventi accaduti nel 1962. In quella occasione lo sciopero venne portato avanti dalle maestranze, appoggiate dalla generosità della popolazione, dalla solidarietà degli operai di Isola Liri e dal sostengo attivo dell’Amministrazione Comunale, guidata da Vincenzo Bovieri. L’appoggio della Giunta e di tutti i partiti, in quella primavera del sessantadue, fu esplicito, convinto, senza doppiezze oltre che trainante per tutti gli strati sociali. Nel 1969, al contrario, l’Amministrazione Comunale di centro sinistra rimase estranea: solo una seduta del Consiglio Comunale, ove venne espressa solidarietà agli operai in lotta. Oltre a questa importante diversità di atteggiamento rispetto al passato, in quei giorni pesava ancora il fatto che in tutta la durata dello sciopero del 1962, cinquantaquattro operai rimasero nell’interno della fabbrica a lavorare; erano i «crumiri», nei confronti dei quali per anni, da parte di moltissimi cittadini venne riservato il più severo ostracismo. Come ho già anticipato, la Commissione Interna fu presente ed attiva fino a metà del 1963. In occasione delle elezioni politiche tenute in aprile, insorsero divergenze profonde fra la CGIL e la CISL circa l’opportunità di proclamare uno sciopero in piena campagna elettorale, divergenze che aprirono una frattura fra i due sindacati. Mentre la CISL si opponeva alla proclamazione dello sciopero, la CGIL aprì ugualmente la vertenza. Per questa traumatica divisione che non verrà sanata neppure successivamente, Annunziata, all’inizio del 1964 fu nelle condizioni di emarginare, trasferire, licenziare gli operai più combattivi e sindacalizzati. Rimasero però saldamente nel loro posto di lavoro tutti i «crumiri»: pertanto, quando venne proclamato lo sciopero nell’autunno di cui stiamo scrivendo, gli operai licenziati nel corso degli anni precedenti, guardarono con distacco e scetticismo la ripresa sindacale nella fabbrica. L’ultimo e sicuramente il più importante fatto che pesava era la conclusio­ne della vertenza del 1962. Il 28 maggio, infatti, con una immotivata sparatoria attuata dall ‘ ottavo battaglione mobile dei Carabinieri su una popolazione inerme, rimanevano sull’asfalto il corpo massacrato di Luigi Mastrogiacomo e di otto feriti. I cittadini in quelle poche ore in cui si consumò la tragedia avevano visto e sentito il rumore delle raffiche dei moschetti automatici, il fuoco delle armi, avvertito il fastidio dei gas lacrimogeni, avevano alzato e difeso le barricate. Nei giorni successivi il paese notò i muri mitragliati, assistette con soddisfazione alla requisizione della fabbrica da parte del Sindaco, manifestò chiaramente la propria adesione quando i nastri neri, in segno di lutto, vennero affissi sulle porte delle abitazioni dei "crumiri" e sul portone della Caserma dei Carabinieri, ritenuti tutti solidalmente responsabili di quei fatti di sangue. Tutto questo era vivo nel ricordo della popolazione, ma per quanto quei momenti potessero essere ritenuti esaltanti, coraggiosi e forse anche epici, in quell’autunno invitavano alla prudenza, alla moderazione, a prevenire colpi di testa, in definitiva a non sprecare l’occasione di ripristinare i diritti sindacali dentro i cancelli della fabbrica.


II sindacalista Palombi esprime fermezza e moderazione

 In che maniera bisognava sostenere la vertenza? Quali forze si dovevano far muovere per assicurare un risultato positivo? Dopo qualche giorno dalla proclamazione dello sciopero si riunì il Comitato Direttivo della sezione del PCI. Quella sera erano presenti tutti i membri del Direttivo. Cosa insolita, ma molto significativa, perché esprimeva tutta la tensione politica che attraversava la città di Ceccano. Venne invitato alla riunione Daniele Palombi, segretario provinciale della CGIL, stimato e conosciuto da tutti i presenti, per via del suo impegno, prima come operaio nella cartiera Visocchi-Arata di Ceprano e poi come sindacalista. Nel rispetto dell’ autonomia fra partito e sindacato era interesse reciproco delle due organizzazioni conoscere quanto stesse accadendo. Palombi espose con molta pacatezza la vicenda ripercorrendo i momenti più salienti. Il suo fu un intervento molto minuzioso, tutti lo seguirono con attenzione ed alla fine chiese che la sezione del PCI sollecitasse le altre organiz­zazioni politiche e l’Amministrazione Comunale al fine di sostenere la vertenza che si prospettava molto difficile. Di rilievi da fare ce n’erano ben pochi, tuttavia Mario Papetti prendendo subito la parola concordò sulla complessità della situazione e ipotizzò, anche se con qualche dubbio, l’occupazione della fabbrica. Della stesso parere si dichiarò l’avv. Sancte De Sanctis. Di fronte a questi interventi ci fu silenzio in sala: era evidente che non tutti si trovavano d’accordo su questa ipotesi anche se a prima vista poteva sembrare la più forte e la più coraggiosa. In questa atmosfera pesante ed incerta, resa irrespirabile dal fumo e dall’ambiente chiuso, Palombi, intuita l’indecisione generale e timoroso che i presenti assumessero posizioni controproducenti, riprese immediatamente la parola. Con molta pazienza rielaborò alcuni punti che non aveva sviluppato nel primo intervento. Le sue parole furono queste «Gli operai del saponificio non hanno alle spalle una esperienza sindacale come quelli di Colleferro, Castellaccio o delle cartiere di Isola Liri o di Ceprano. Lo sciopero ad oltranza senza occupazione della fabbrica permette a tutti di arrangiarsi. Gran parte degli operai vive in campagna, quindi avrà facili possibilità di sostentamento. Il problema rimane solo per quegli operai che abitano nel centro di Ceccano, privi di una qualificata e specialistica professionalità. Lo sciopero non sarà breve. Di questo bisogna essere certi. Se tutti avranno la possibilità di arrangiarsi si potrà tirare per le lunghe, così potranno resistere un minuto più del padrone» ed ancora «Bisogna saper valutare che si è indetto uno sciopero senza avere dei dirigenti sindacali affermati ed esperti. Abbiamo solamente un’avan­guardia coraggiosa, consapevole di rischiare il posto di lavoro,ma di cui non conosciamo le capacità di guida ed il senso dell’organizzazione. L’occupazione è più rischiosa perché bisogna preparare i turni di presenza, prevenire litigi e gelosie, stroncare provocazioni. Nell’interno della fabbrica immediatamente apparirebbero le debolezze e si evidenzierebbero le difficoltà. Annunziata con questa lotta rischia più dell’operaio, il quale ha già perso tutto. Sarà il Dio Denaro a far rinsavire il Commendatore, quando misurerà le perdite. Nei depositi della società collocati nelle altre Province d’Italia le scorte possono durare per altri dieci giorni. Poi quando non ci sarà più mercé da vendere, egli valuterà il danno ricevuto e quello che potrà ricevere, ed allora incomincerà a temere la concorrenza.» L’intervento di Palombi si dimostrò molto efficace. Le sue furono delle valide argomentazioni con le quali tutti i presenti si trovarono d’accordo, ma si volle anche esprimere, come del resto era solito nel PCI, un appoggio incondizio­nato all’uomo Palombi per la sua riconosciuta combattività e per la fiducia creata attraverso il suo impegno quotidiano: dominava, infatti, il fideismo, ovvero la cieca fiducia verso uomini prestigiosi, che costituivano oramai una leggenda. Persone che esercitavano un certo fascino ed un carisma sia con la loro presenza che con la loro azione e godevano di una indiscussa credibilità.


Si costituisce il Comitato Cittadino

 Nei giorni successivi,abbandonata la tesi dell’occupazione così come aveva suggerito Palombi, si lavorò per la costituzione del Comitato Cittadino: una struttura di rappresentanza composta da cittadini, da organizzazioni locali che volevano sostenere la vertenza dei lavoratori del saponificio e dai rappresentanti degli operai. Non ci fu nessuna difficoltà ad avere l’adesione del partito socialista che in quel periodo aveva come segretario Armando Gapulli. Per quanto cauti fossero gli atti del Comitato Cittadino, Gapulli e Remolo Pizzuti, dopo qualche giorno, vennero chiamati nella Caserma dei Carabinieri dal Maresciallo, il quale volle sapere la natura e le finalità del Comitato. I due furono molto fermi, quanto rispettosi, nell’ indicare i compiti essenziali del Comitato, ma anche nel respingere ogni tentativo seppur sofisticato di intimidazione. Essi, infatti, continuarono poi ad impegnarsi attivamente. Per questa improvvisa ed ingiustificata convocazione tutti provammo molta apprensione. L’interferenza dei Carabinieri ci riportava indietro nel tempo, quando la jeep della Caserma in quel mese di maggio del 1962 faceva da taxi per portare i «crumiri» dalle loro abitazioni alla fabbrica. Fortunatamente dopo questa convocazione i Carabinieri non presero nessun altra iniziativa di parte. Ci furono alcune riunioni del Comitato Cittadino, vennero preparati vari comunicati e fatti affiggere manifesti di sostegno alla vertenza. Ma soprattutto si invitarono i cittadini a sottoscrivere fondi per sostenere la lotta. L’attività era portata avanti con affiatamento. Al termine di una riunione, il Comitato Cittadino, certo di una adesione che saliva a fianco degli operai, indisse lo sciopero cittadino di solidarietà. Una iniziativa che venne presa, a pensarci oggi, con una certa leggerezza dal punto di vista formale, perché non fu il sindacato a proclamarla, ma il Comitato che con perspicacia aveva ben individuato i sentimenti e la volontà del popolo di Ceccano. Il giorno previsto venne indicato per il 16 novembre. La preparazione venne curata in tutti i particolari: manifesti, volantini, impegno dei partiti, rapida informazione. Per questo importante appuntamento il movimento ebbe una forte accelerazione con l’impegno e la mobilitazione di molte persone che volevano il rispetto delle libertà sindacali dentro la fabbrica. In realtà per cinque lunghissimi anni l’operaio di Annunziata non era stato battuto solamente nell’interno del saponificio e privato di ogni minima iniziativa sindacale, ma era stato neutralizzato e devitalizzato anche fuori della fabbrica, in famiglia, fra gli amici, nelle attività del tempo libero. Lo sovrastava il pericolo di rappresaglie, di possibili licenziamenti in ogni momento. Si doveva limitare a leggere il Corriere dello Sport, a commentare le partite di calcio e se proprio voleva seguire le vicende politiche tutt’al più poteva andare a sentire i comizi indetti dal MSI, oppure accettare i doni portati dalla "Befana Tricolore". In un convegno tenuto ad Anzio qualche mese dopo la chiusura dei contratti, per difendere gli oltre ventimila operai denunciati nel corso delle lotte, Peppino Di Piazza, nel prendere la parola e parlando a braccio, disse che il motivo principale che lo aveva spinto a scendere in campo, era che i suoi figli ogni volta che vedevano la televisione e sentivano le notizie riguardanti gli scioperi in altre parti d’Italia gli dicevano «Papa, solo voi operai di Annunziata avete paura di scioperare». Quelle parole lo avevano ferito perché offendevano la sua dignità ed il suo prestigio personale.




Lo sciopero cittadino

 II giorno prima dello sciopero io, che ero impegnato in queste vicende, venni a conoscenza di cose che ignoravo. Facendo la distribuzione dei volantini con Tommaso Angelini annuncianti lo sciopero per il giorno successivo, allungai il percorso fino ad arrivare nella federazione del PCI di Frosinone. Non trovai la simpatia ed i familiari sguardi di curiosità e di adesione che di solito ci venivano riservati per le cose che stavamo facendo. Incontrai, invece, occhiate nervose che fui in grado di interpretare solo quando mi venne esposta una forte preoccupazione: esistevano contatti fra l’On. Pietrobono ed il Prefetto, per una mediazione che in quel momento quest’ultimo stava portando avanti verso Annunziata. «Se lo sciopero va male o peggio dovessero esserci incidenti»,ci venne rimproverato «nessuno avrà potere di contrattazione con il Prefetto e lui stesso non avrà forza alcuna verso Annunziata». La vertenza, dunque, si sarebbe potuta concludere con un esito catastro­fico. Nella discussione che si aprì, difesi con determinazione quella che era stata la decisione del Comitato Cittadino, sia per lealtà, perché con altri avevo concorso a determinarla, ma anche per convinzione. Nessuno di noi era stato percorso da dubbi ed incertezze. Forse con una certa incoscienza, tutti eravamo convinti che il paese si trovava sulla stessa sponda del Comitato. Quando uscii dalla federazione ero seccato da questa valutazione diversa e deluso per non aver sentito un esplicito sostegno; però durante il ritorno venni toccato anch’ io da qualche perplessità. Incominciai allora a verificare se le nostre valutazioni corrispondevano alla realtà; se cioè non stessimo scambiando luccio­le per lanterne. Da questi pensieri venni distolto solo quando in prossimità della chiesa di S. Rocco sentii la voce di Walter Masi che attraverso un altoparlante fissato sulla sua Wolkwaghen, a nome del Comitato Cittadino invitava per il giorno successivo i commercianti ed i cittadini ad aderire allo sciopero. In quegli istanti quella voce mi fu molto cara, perché mi rinfrancò e mi aiutò ad allontanare pessimistici pensieri. Arrivati alla Madonna della Pace,vedemmo Armando Gapulli e Romolo Pizzuti che uscivano dalla casa di Lellenzo Masi. Mi fermai rimanendo in automobile. Gapulli mi disse che gli uomini del Comitato Direttivo del PSI in quel momento erano tutti impegnati per la riuscita dello sciopero. Lellenzo, che nel frattempo si era avvicinato, aggiunse «Al Comune domani dovremmo scioperare tutti. Questo mi fa pensare che anche nella DC c’è una componente che non sta dalla parte di Annunziata». Previsioni significative ed importanti. Ci salutammo. Arrivai in sezione ove c’era un andirivieni di persone molto impegnate. L’attività era intensa ed il clima quello dei grandi momenti. Ci fu tra di noi uno scambio di notizie che riportavano tutte segnali positivi. Dopo un po arrivò Aldo Papetti, allora segretario della sezione, e con lui mi appartai per aver modo di discutere su ciò che mi era stato detto in federazione. Seppi con sorpresa che anche lui ne era venuto a conoscenza in mattinata; nervosamente concluse il discorso in questi termini «Ma che vogliono, la scelta dello sciopero l’abbiamo fatta una settimana fa! C’erano i socialisti, gli operai, Palombi, che di queste cose ne sa più di noi. Non vedo dove abbiamo sbagliato. Comunque se non erano d’accordo potevano dircelo prima. Ora all’ultimo momento come facciamo a fermarci? Non tutti, ma gran parte dei commercianti sciopereranno, di questo sono sicuro». Rassicuratici a vicenda, ci salutammo per andare a cenare. Mentre mangiavo, mia moglie, che da qualche mese insegnava nella Scuola Media "Gizzi" con un fare molto fiducioso, in seguito a percezioni avvertite nell’ambiente, mi disse che probabilmente il giorno dopo nessun alunno sarebbe entrato in classe. Questa notizia mi confermò che era maturata una decisione anche fra la popolazione. Ritornai in sezione; c’erano altre persone pronte per uscire ad affiggere i manifesti. Presi la macchina ed uscii con Betto e Franco Del Brocco. Dovevamo affiggere la semplice scritta «SCIOPERO», sia sulle porte che sulle saracinesche dei negozi. Il giro fu più rapido e più facile del solito. Anche se la serata era umida, c’era ancora gente che circolava e si fermava mentre noi facevamo la sopra descritta operazione. Coloro che passavano ci facevano domande, volevano essere informati degli ultimi avvenimenti ed unanimemente terminavano i loro ragionamenti con colorite espressioni dirette al «Commendatore». Finito il lavoro, tornammo in sezione e lì arrivarono Oriano Pizzuti, Barbarossa, Angelo Perfili e qualche altro della «Paolina»; poi Tonino Palermo, Mario Papetti e Tommaso Angelini. La sezione si riempì di nuovo: altre verifiche e nuove notizie. Tutte rassicuranti; esse confermavano che l’interesse dei cittadini era molto vivo. Andammo, infine, a dormire. Ero stanco ma mi tranquillizzavano i fermenti promettenti riscontrati nei vari avvenimenti della giornata. Eppure ogni tanto il pensiero che lo sciopero non potesse riuscire o che vi potessero essere incidenti turbava il mio riposo. La mattina mi alzai ali’ alba. Ansioso presi l’automobile e girai il paese per vedere se i bar erano aperti. Notai subito che quello di via Roma e i due di piazza 25 Luglio erano chiusi. La scritta «SCIOPERO» era ancora li, affissa sulle saracinesche chiuse, quasi a darmi il buongiorno. Mai visione mi è stata tanto gradita quanto quella delle scritte affisse sulle saracinesche. Girai ancora con la Cinquecento aspettando l’apertura dei distributori di benzina. Tutto era chiuso e c’era scarso movimento di persone. Non si vedevano nemmeno gli studenti che di solito a quell’ora erano pronti a prendere l’autobus per andare a Frosinone.Alle otto c’era già qualcuno nella sezione del PCI, mentre Gerardo Masocco si muoveva nella sezione socialista. Mentre ci immettevamo sulla Morolense ci accorgemmo che su questa strada c’erano parecchi mezzi della polizia. Giulio Sindici, che guidava l’auto­mobile ebbe qualche parola di sconcerto. Aldo girandosi verso di me che sedevo nel sedile posteriore mi disse «Su,dì qualcosa all’altoparlante». Per me fu un colpo improvviso, una richiesta che-non mi sentivo di esaudire. Aldo in preda al panico insistette «Dì quello che ti viene in mente, ma fa presto prima che arrivi il peggio» l’automobile in quel momento arrivò davanti alla Farmacia Tambucci. C’era molta gente, era iniziato, purtroppo, il blocco stradale: carabinieri ed ufficiali urlavano e spingevano gli operai per far passare le automobili. Vedevamo e sentivamo un’ondeggiare tale di persone e di parole che sembrava un mare in tempesta. Io stavo ranicchiato sul sedile posteriore in maniera scomoda, nessuno mi poteva vedere. Questa posizione fortunatamente mi diede più coraggio nel parlare. La prima cosa che riuscii a dire con la bocca asciutta dall ‘ emozione e con la voce roca fu «Lo sciopero è riuscito». Poi dissi altre cose, ma non ricordo quali, tanto ero agitato. La folla si aprì e la macchina passò facilmente ed allora le parole incominciarono ad uscire con facilità, dettate da una crescente sicurezza. La sostanza era questa: «Annunziata è isolato; si è scioperato negli uffici e nelle scuole. Dimostriamo la nostra forza evitando incidenti e respingendo le provocazioni». La folla approvò, si aprì al nostro passaggio e ci salutò. Girammo fin sopra la Borgata e ripassammo di nuovo in Piazza Berardi. Tutto sembrava tranquillo, il pericolo del blocco stradale era scongiurato. I Carabinieri si erano dileguati, sicuramente felici perché qualcuno aveva levato loro le castagne dal fuoco. Annunciammo che alle undici ci sarebbe stata la manifestazione in Piazza e quando ci accorgemmo che con una certa lentezza e a gruppi sparpagliati la gente risaliva verso la parte superiore del paese, tirammo un sospiro di sollievo. Nel frattempo Betto e Franco del Brocco avevano velocemente allestito un palco. Piazza XXV Luglio, intanto, incominciava a riempirsi; dopo un pò arrivarono anche alcuni parlamentari. Furono presenti, infatti, in quella occasione Simonacci, deputato democri­stiano che qualche anno prima aveva avuto a Ceccano una bella affermazione elettorale; Tomassini, Senatore del PSIUP, eletto in provincia di Latina; l’On. Querci, socialista insieme a Minnocci Senatore eletto nel Collegio di Cassino; i parlamentari comunisti Pochetti, Pietrobono, Compagnoni ed Assante. Quando credevo di aver terminato il mio compito e di poter scaricare la tensione ascoltando tranquillamente le parole dei parlamentari in qualche angolo della piazza, mi fu detto dai segretari di sezione del PCI e del PSI che sarei dovuto salire sul palco per illustrare il significato e l’esito della manifestazione. Lo feci avvertendo, però, attorno a me una situazione alquanto tesa e fredda, forse per le preoccupazioni incombenti, che lo sciopero, per quanto riuscito, non aveva dissipato. La manifestazione si concluse senza incidenti con un incontro che tutti i parlamentari ebbero in Comune con la Giunta. Uno sciopero cittadino riuscito per due combinazioni: un movimento nazionale di lotta legato al rinnovo dei contratti che sollecitava a schierarsi ed a rompere gli indugi, ma anche da una certa angoscia che spinse parecchi commercianti ad abbassare le saracinesche preoc­cupati ed intimoriti dei fatti accaduti nel 1962. Il Commendatore Annunziata era veramente isolato. Quello che avevo annunciato con la voce piena di emozione non era uno slogan buttato a caso, in quanto i fatti dimostravano che era una realtà chiara  ed evidente. Cittadini e forze politiche, pur con impegni molto differenziati, sostenevano la lotta degli operai. Isolato Annunziata lo era senz’ altro, ma questo non bastò a convincerlo ad accettare la realtà delle cose. Ci volle un altro mese di lotta ed una lunga serie di tentativi dell’Unione Industriale e dello stesso Prefetto di Frosinone per persua­derlo a rispettare la legge. Tutti parteciparono in seguito alla gara di solidarietà attorno agli operai. Il Comitato Cittadino raccoglieva denaro, organizzava il ritiro dell’approvvigionamento dei prodotti alimentari (si trattava quasi sempre di pomodoro in bottiglia, fagioli e di pasta alimentare). Ogni atto di solidarietà era un momento per riconfermare il dissenso verso la direzione aziendale, per riaffermare il legame fra cittadini e lavoratori, per chiedere il rispetto della democrazia sindacale dentro la fabbrica. Si raccolse anche del denaro, per l’esattezza oltre cinquecento mila lire. C’erano molti cittadini che si prodigavano in questa iniziativa continua, ma il motore era costituito dalle sezioni del PCI e del PSI. È giusto ricordare fra coloro che non avevano nessuna tessera di partito e che si impegnarono in questa gara di solidarietà, Mario De Santis, studente universitario, oggi Segretario comunale presso il Comune di Giuliano di Roma. Egli nell’interno del Comitato Cittadino rappresentava il gruppo cattolico AGLI, in quel periodo molto attivo sui temi del lavoro, legato alla Parrocchia di S.Pietro. Nello stesso tempo va riconosciuto un ruolo attivo e serio al fratello Giovannino, allora corrispondente locale del «II Messaggero», neo laureato in lettere. Il quotidiano, ancora legato alla proprietà dei Perrone, sosteneva una linea governativa e di appoggio agli industriali. Giovannino De Santis dette la possibilità ai suoi lettori provinciali di conoscere con molta precisione le posizioni delle parti in lotta. Fino al termine della vertenza fu in grado di respingere le pressioni e le lusinghe che da più parti gli provenivano per assumere una posizione di appoggio alla direzione aziendale. In questo contesto e con questi rapporti di forza la lotta andò avanti ancora a lungo: da una parte gli operai non davano segni di cedimento, nello stesso tempo la città non mollava, non vi erano segnali di stanchezza. Il Prefetto, Ciro Conte, spinto da una situazione che oggettivamente gli dava forza, incalzava il Commendatore Annunziata. Finalmente al cinquantasettesimo giorno di sciopero, due giorni prima di Natale, si raggiunse una mediazione, difficile, certamente discutibile, non esaltante, e non completamente positiva. Gli operai da una parte ottennero la possibilità di votare e di portare la democrazia in fabbrica ma Annunziata vide accolta la richiesta di allontanare i promotori della vertenza. Il Prefetto, il giorno dopo le dimissioni, riuscì a occupare in altre fabbriche gli operai che avevano portato i diritti nella «terra senza legge». Fu un accordo dal sapore amaro, ma costituì un evento più dirompente di quanto si possa pensare, poiché la riconquista delle libertà sindacali nell’interno della fabbrica alimentò la circolazione delle idee; nella nostra città dopo un lungo periodo buio, si rompeva il fronte della paura e del ricatto. Il ritorno della democrazia nella fabbrica significava il rafforzamento nella società civile delle idee di solidarietà, di giustizia ed alimentava i cittadini ancora indecisi ad assumere posizioni coraggiose ed autonome. Qualche giorno prima dell’accordo aziendale, il 21 dicembre per la precisione, la vertenza nazionale del rinnovo dei contratti, che aveva interessato tre milioni di lavoratori si era chiusa con l’accettazione da parte del padronato delle richieste normative e salariali fatte dai lavoratori. Vennero riconosciuti, infatti, aumenti salariali e normativi quali la settimana lavorativa di 40 ore, l’aumento delle ferie, 10 ore annue per le assemblee di fabbrica ed agevolazioni per gli studenti lavoratori. Il Ministro del Lavoro Carlo Donat Cattin davanti alle telecamere, commentando l’evento, non aveva potuto fare a meno di riconoscere che «L’Italia è cambiata, l’abito che porta è molto stretto, bisogna sostituirlo.»

Capitolo 6 – Le elezioni del 1970

Le elezioni amministrative si dovevano tenere nell’autunno del 1969, alla loro scadenza naturale, ma il Governo preferì rinviarle alla primavera dell’anno successivo. Tale spostamento non era dovuto tanto a valutazioni riguardanti le elezioni dei Consigli Comunali e Provinciali, quanto alla novità politica del momento: le previste e temute elezioni dei Consigli Regionali a Statuto ordinario.
 Negli anni precedenti erano andati a votare con scadenze diverse solamente gli elettori della Sardegna, SICILIA, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige. Erano, infatti, Regioni per le quali la Costituzione aveva previsto uno Statuto speciale.
 Ora, dopo ventidue anni dalla promulgazione della Carta Costituzionale si andavano ad eleggere gli altri quindici Consigli Regionali. Con l’istituzione delle Regioni si dava così un grosso colpo alla struttura centralizzata dello Stato, arroccata attorno ai Ministeri ed alle Prefetture. Si apriva la possibilità di costruire la Repubblica delle autonomie, come auspicata dall’Assemblea Costituente.
 Tale prospettiva in ambienti ministeriali e fra coloro che erano legati al potere reale creava forti preoccupazioni per il pericolo di perdita del potere stesso.
 Senza fare la storia del regionalismo e la cronaca di quegli anni burrascosi, caratterizzati da un intenso dibattito sulla dottrina giuridica e sulla Costituzione e dai tentativi che fino a marzo ci furono per rinviare le consultazioni, mi limiterò solamente  a ricordare che le elezioni comunali, provinciali e regionali, finalmente, vennero indette per il 7 ed 8 giugno del 1970.
 Durante i mesi precedenti nell’interno delle fabbriche ciociare s’era venuta a determinare una situazione nuova caratterizzata dalla operatività delle Commissioni Interne alle nuove realtà aziendali e dalla democrazia operaia attuata attraverso le assemblee da tenersi durante l’orario di lavoro.
 Nella Provincia di Frosinone non si erano evidenziati, in autunno, segnali di prevaricazione verso gli operai, al contrario di quanto verificato nella Provincia di Latina e Roma ove alla "Manuli" di Castelforte ed alla "Palmolive" di Anzio si erano verificati atti di aggressione fisica padronale nei confronti di operai e di dirigenti sindacali.
 Il 12 dicembre la strage di Piazza Fontana a Milano apre la fase della strategia della tensione e tutti gli avvenimenti politici successivi sono da valutare in questo contesto.
 La scadenza elettorale preoccupava gli uomini di governo, ma sollecitava l’Amministrazione Comunale di Ceccano, guidata da una Giunta di centro-sinistra, a una attività efficace. Il 28 di febbraio vennero deliberati atti molto impegnativi e qualificanti: l’acquisto dell’area su cui doveva essere costruita la scuola elementare di Borgo Berardi e l’approvazione di due importanti progetti, quali quello riguardante la costruzione del nuovo Ospedale e quello della realizzazione dello stabilimento della Tesit. Si trattava di due opere fondamentali, che purtroppo avranno un percorso molto sfortunato, poiché la mancata realizzazione dell’Ospedale andrà ad aggiungersi alle grandi opere incompiute, gestite dalla Cassa del Mezzogiorno, mentre la seconda, dopo un periodo di attività e l’assunzione di moltissimi operai, verrà chiusa con motivazioni mai ben comprese.
 Non va dimenticato che da qualche tempo nella Provincia di Frosinone si era aperto un dibattito che evidenziava la mancanza di una industria trainante, idonea ad assicurare i prevedibili benefici in grado di sanare la situazione di squilibrio esistente. Il Comitato Interministeriale della Programmazione Economica (CIPE), pertanto, nell’esaminare il programma degli investimenti della Fiat nel Mezzogiorno, l’otto gennaio del 1970, riconobbe l’esigenza di localizzare nella zona di Cassino-Pontecorvo uno stabilimento con queste finalità. L’investimento previsto era di circa cinquantadue miliardi. Le voci più o meno ufficiali circolate nel periodo precedente trovavano, finalmente, conferma nella deliberazione di un Ufficio economico ministeriale.
 Fu un fatto importante, accolto con favore da tutti. In conseguenza di ciò, il Consorzio Industriale, continuando nella redazione del Piano Regolatore dell’intera Area, ritenne indispensabile predisporre uno stralcio preliminare relativo all’agglomerato Cassino-Pontecorvo, allo scopo di dotarsi di uno strumento tecnico operativo, idoneo a consentire l’organizzazione degli insediamenti nella zona interessata e l’avvio delle procedure per la realizzazione delle infrastrutture (viabilità, raccordo ferroviario, rete fognante, acqua industriale e potabile, energia elettrica, metanodotto, comunicazioni telefoniche).
 Qualche mese più tardi, e precisamente il 31 marzo, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri venne approvato il Piano Regolatore del vecchio Nucleo industriale. Questo assunse, così, una dimensione urbanistica e concretizzò la sua funzione di piano territoriale di coordinamento dei singoli piani regolatori dei Comuni interessati (Frosinone, Ceccano, Patrica, Supino, Ferentino, Morolo, Veroli) i quali dovevano essere armonizzati con i elementi contenuti in quello generale del Nucleo. Tale provvedimento prevedeva l’allargamento, della superficie destinata all’industria, del vecchio piano del Nucleo da 400 a 2500 ettari.
 Nello stesso periodo il PCI, attraverso un convegno tenuto a Cassino cerò di analizzare la condizione entro la quale sarebbe avvenuto l’insediamento della grande fabbrica torinese. In concorrenza con le forze di governo, esso si accreditò una funzione sollecitatrice per questo intevento.


La campagna  elettorale

 Con queste premesse si andò alla campagna elettorale.
 Per le elezioni regionali l’unico candidato ceccanese a presentarsi fu Mario Maura, operaio, da più di cinque anni Consigliere Comunale per conto della lista del PCI.
 Il PSI presentò il Dott. Ugo Bellusci, negli anni precedenti primario chirurgo presso l’Ospedale di Ceccano e varie volte Consigliere Comunale e Provinciale.
 Per il Consiglio Comunale di Ceccano vennero presentate le liste della DC, PCI, PSI, PSDI, PSIUP ed una lista civica con soli undici candidati, composta da dissidenti DC.
 Per il Consiglio Provinciale erano presenti dieci candidati.
 Ceccano, forse con molto autocompiacimento ed anche con qualche esagerazione,si è ritenuta sempre l’università della politica locale. La politica ceccanese, infatti, era sempre stata caratterizzata da dibattiti accesi , da confronti forti, da risposte date sempre a tamburo battente e da limitate polemiche personali ma con il 1970 si raggiungeva il momento più alto di un dibattito politico civile, rispettoso e leale.
 Eppure la campagna elettorale non fu né  noiosa né priva di mordente, fu, invece, accompagnata da un’ampia e vivace partecipazione di popolo, che nelle con sultazioni successive via, via si andò, purtroppo, sempre più riducendo. Come era consuetudine, la prima forza politica a scendere in campo e a farsi sentire fu quella comunista, che in Piazza Madonna della Pace presentò i propri programmi ed i suoi candidati. Nei giorni successivi, a cominciare dal MSI, anche gli altri partiti fecero la stessa cosa. I temi al centro del confronto politico riguardavano la validità o meno della Regione, l’attività dell’Amministrazione Comunale, e in modo minore, quella della Provincia. Fra le forze politiche, inoltre, si discuteva e si chiedevano pronunciamenti e anticipazioni per le future alleanze.
 La domenica precedente la consultazione elettorale, la lista civica, dall’alto di una aeroplano , fece lanciare sul centro abitato numerosi volantini che costituirono l’unico fatto inconsueto di tutta la campagna elettorale. Fu un gesto spettacolare, ma deludente per le banalità delle cose scritte.
 Nello stesso giorno si seppe dell’assassinio del deputato missino Nicosia, ucciso a Palermo. Un altro dei tanti assassinii insoluti che determinò turbamento ed una frenetica iniziativa nell’elettorato missino.
 I comunisti, impegnati quotidianamente a tenere comizi, rendevano ancor più gaie e colorite quelle tiepide serate primaverili, perché ogni volta si dirigevano nel posto ove si doveva tenere il comizio, ogni automobile ci teneva a far svolazzare la propria bandiera rossa. Era la prima volta che questo avveniva e ciò creava molta curiosità fra l’opinione pubblica. Le carovane di macchine con le bandiere rosse costituirono una novità, furono un elemento che era nello stesso tempo spettacolo, coreografia politica e liberazione. Tale modo di esprimere era nato spontaneamente, quasi cautamente, poi venne sempre più gradevole e coinvolgente.
 La domenica precedente le votazioni senza alcun impegno organizzativo, si assistette ad un confluire di moltissime automobili, munite ognuna di una bandiera rossa, che si dirigevano verso la contrada di Colle Leo, dove si doveva tenere un comizio. Lo sventolio delle bandiere, la lunga teoria di automobili che si snodava lentamente lungo la strada, le note di " bandiera rossa" che uscivano nitide dall’altoparlante fissato sulla macchina che apriva il corteo, rendevano il pomeriggio gaio ed esaltante. Si assisteva ad un fenomeno alquanto coinvolgente: al passaggio della carovana, gli abitanti della contrada accorrevano  lungo la strada per salutare e rendersi anche loro partecipi all’avvenimento.
 In quell’angolo di Ceccano, ove più forte si era fatta sentire la richiesta per i servizi, si registrava uno spettacolo tutto particolare, fatto di calore umano, per via della presenza di uomini e di donne, di cittadini del centro e della campagna ma anche di colore vero e proprio, per via di   quel rosso predominante dovuto alle numerose bandiere sistemate nelle vicinanze del luogo dove si doveva tenere il comizio o tenute a spalla dai convenuti.
 Luciano Natalizi candidato al Comune e che per oltre venti anni sarà il punto di riferimento per i cittadini della contrada, era il più radioso di tutti. Quella moltitudine di persone, quello sventolio di bandiere aveva incuriosito prima ed incoraggiato poi, le persone più incerte ed indifferenti. Quella capacità di mettere insieme cittadini del centro e delle campagne fu un fenomeno che caratterizzò quegli anni, quando la solidarietà e l’uguaglianza erano valori non solo declamati ma anche perseguiti, non ancora minacciati dall’individualismo esasperato e dalla corsa spregiudicata verso l’arricchimento.
 Nei giorni precedenti le elezioni anche i socialisti utilizzarono questa forma di intervento politico circolando con le loro bandiere rosse, anche se Gerardo Masocco sulla sua automobile preferiva issare la bandiera del Vietnam.
 Solo nell’ultimo giorno della campagna elettorale con spirito di emulazione si videro uscire i democristiani dalla loro sezione con le bandiere bianche per dirigersi a piedi al loro comizio di chiusura che si tenne in Piazza Municipio.

La frenetica attività della Giunta

Il confronto fra i partiti era corretto e civile. Le parti in causa ed i candidati usavano argomenti politici per affermare le proprie ragioni, ed ogni partito con orgoglio amava far sventolare i propri vessilli. Ma la campagna elettorale non si faceva solo sulle piazze ed agli angoli delle strade, con comizi, annunci o discussioni; essa veniva portata avanti anche nel chiuso del "palazzo", attraverso atti deliberativi  e concrete realizzazioni.
 E’ opportuno allora seguire quello che la Giunta in carica deliberava e realmente realizzava in tempi eccezionalmente rapidi, proprio negli ultimi giorni, anzi nelle ultimissime ore precedenti la consultazione elettorale per ottenere consensi e suffragi. Il ventidue maggio, la Giunta di centro-sinistra in carica deliberò di far bitumare un tratto di strada lungo centocinquanta metri nella contrada  Colle Antico,in prossimità della zona "De Nardis" ed altri tratti presso il Galluzzo, il ponte sul Cosa e  nelle vicinanze della scuola elementare Cardegna. A titolo di cronaca, va ricordato che i lavori vennero realizzati dalla Ditta Domenico Canale. Venne anche deliberato di bitumare la Piazza del Castello  e di allungare il tratto il tratto di condotta idrica in Via Gruttina.
 Il venticinque maggio la Giunta si riunì di nuovo per accettare un contrito di duemilionicinquecentomila lire da parte della SNIA BPD, destinato ad asfaltare il tratto di strada tra il ponte sul Cosa e i cancelli della fabbrica stessa.
 Il primo ed il cinque giugno la Giunta tornò a riunirsi per deliberare l’allungamento della condotta idrica di Via Gruttina verso l’Armiconto. Venne previsto, altresì, il ripristino della rampa di Mura Castellane e delle cunette di Via Madonna della Pace. Inoltre venne deliberata la messa in opera di tre punti luce a Colle S. Paolo e di altri tre a Colle Leo. Per quest’ultima contrada l’atto deliberativo fu tanto perfetto da individuare con esattezza il numero civico delle abitazioni da "illuminare": il 101, il 195, il 334. Con una tempestività insolita tutti gli impegni deliberati vennero realizzati qualche  ora prima della apertura dei seggi.


I risultati elettorali

Le elezioni si tennero con regolarità nei giorni 7 e 8 giugno. Nel pomeriggio di lunedì si aprirono le urne per scrutinare le schede del Consiglio Regionale.
 Era la prima volta che si votava per questa istituzione. Non esisteva dunque la possibilità di fare comparazioni o di avere punti di riferimento.
 Il voto aveva caratteristiche simili a quelle della Camera dei Deputati.
 L’esito, comunque, poteva essere indicativo per intuire in anticipo le preferenze dei ceccanesi, riguardanti le elezioni comunali e provinciali , scrutini che si sarebbero tenuti la mattina del giorno successivo.
 I risultati delle elezioni regionali videro l’affermazione del lista del PCI che mantenne il 37,1% mentre la DC si dovette accontentare di un 30,5% .
 Il dato politico significativo era che solamente a Ceccano, fra tutti i comuni della provincia, il PCI difendeva le posizioni rispetto alle elezioni politiche di due anni prima, perché esso in altre realtà arretrava.
 La DC invece aveva avuto un notevole arretramento. Il voto ottenuto dal PCI esprimeva un risultato stazionario solo a prima vista, in effetti era pieno di significati perché anticipava una crescita che si affermerà negli anni successivi.
 Questo risultato induceva la gran parte dei comunisti a ritenere che il giorno successivo anche per le elezioni provinciali e comunali quei voti sarebbero stati riconfermati. Se ciò si fosse verificato sarei stato eletto nel Consiglio Provinciale, mentre nel Consiglio Comunale il PCI sarebbe aumentato di tre consiglieri.
 Quella sera ricordo molti visi radiosi accompagnati da altrettante considerazioni ottimistiche. Si percepivano in giro sentimenti fatti di speranze e di rosee aspettative. In autunno c’era stata la vittoria degli operai di Annunziata in un quadro nazionale che vedeva il rafforzamento della democrazia operaia e del potere di contrattazione sindacale. Ora c’era l’istituzione della Regione, con tutto quello che di nuovo rappresentava; insomma, si individuavano chiaramente nuove forme di democrazia dentro e fuori la fabbrica, nella società e nello Stato.
 Tutti aspettavano con trepidante attesa l’indomani.
 Non assistetti direttamente a ciò che avvenne il martedì a Ceccano, poiché mi trovavo a l’Aquila a sostenere degli esami.
 E’ facile immaginare in che stato di trepidazione e di attesa mi trovassi quella mattina e facevo uno sforzo enorme per concentrarmi sugli esami poiché il mio pensiero era rivolto a Ceccano e a come stavano procedendo gli avvenimenti. Era la prima volta che in un momento politico così importante e particolare mi trovavo lontano dai miei compagni di partito, e non vivevo insieme a loro le tribolazioni, le aspettative, le ansie che il momento riservava.
 La notizia della mia avvenuta elezione a Consigliere Provinciale mi fu data nella tarda mattinata in modo inusuale e forse anche spettacolare considerato il luogo austero e per certi aspetti militaresco, in cui mi trovavo.
 Mentre mi accingevo a terminare il secondo esame della mattinata il Direttore dell’ISEF comparve improvvisamente in palestra chiedendo se tra i presenti ci fosse Angelino Loffredi. Il mio professore esaminatore mi indicò al Direttore e questi alzando ancora di più la voce, di fronte ad una platea muta e curiosa di sapere cosa stesse succedendo, disse:<<Giovanotto, ti comunico con molta soddisfazione, che sei stato eletto Consigliere Provinciale . Sono convinto che ti farai molto onore, dopo aver studiato in un importante centro di studi come l’Aquila>>.
 Con fare più solenne mi strinse la mano.
 Trascorsi il resto della giornata alquanto stordito e aspettando con trepidazione che arrivasse la sera, perché telefonicamente avrei avuto notizie più dettagliate. La telefonata infatti arrivò puntuale e mia moglie telegraficamente mi aggiornò sulla situazione. Per le elezioni provinciali, nelle sedici sezioni elettorali che componevano il Collegio di Ceccano 1, avevo preso 2815 voti pari al 33,9%. Risultavo essere il quarto dei sei consiglieri eletti nelle liste del PCI. Ero l’unico candidato ad essere stato eletto nel Collegio di Ceccano 1, mentre Bonanni era stato eletto nel collegio di Frosinone. Secondo mia moglie, che per altro riportava le sensazioni dei compagni di Ceccano, nelle elezioni comunali per il PCI non era andata secondo le previsioni perché erano stati eletti dieci consiglieri, solamente uno in più rispetto alle elezioni precedenti, mentre la DC ne aveva avuti 12, due in più, il PSI cinque, il PSU-PSDI due, il MSI uno.
 A tanti chilometri di distanza e sicuramente  a mente più fredda e senza condizionamenti, la reazione dei compagni mi sembrò spropositata, ingenua e in definitiva politicamente errata.
 L’aver scrutinato prima le schede del Consiglio Regionale per il quale il PCI prendeva il 37,1% dei voti, poi quelle per il Consiglio Provinciale con il 35%  ed infine quelle riguardanti il comune con il 28% aveva deluso la gran parte degli elettori comunisti. Gli aspetti psicologici erano stati prevalenti rispetto alla riflessione politica.
 Infatti raffrontata alle elezioni politiche precedenti la forza del PCI progrediva notevolmente e questo avrebbe dovuto bastare. In Consiglio Comunale i consiglieri da nove passavano a dieci. Nel Consiglio Provinciale dal 26% arrivava al 35%.
 Se lo scrutinio delle schede avesse avuto un ordine inverso e cioè si fossero fatte prime le comunali, successivamente le provinciali, infine le regionali allora per i comunisti ceccanesi l’entusiasmo sarebbe arrivato alle stelle.
 L’altra verità riguardava il fatto che la DC, battuta sia alle regionali che alle provinciali, alle comunali diventava il primo partito ottenendo una brillante affermazione, passando da dieci a dodici consiglieri.
 Ritornai a Ceccano la sera successiva, dopo aver sostenuto altri esami. La prima persona che vidi fu Aldo Papetti, il quel periodo segretario della Sezione PCI.
 A suo modo cercava di capire le delusioni provate dai compagni. Vi si immedesimava tanto da rimanerne passivamente coinvolto: il mancato successo della lista alle elezioni comunali lo aveva prostrato.
 Per i compagni, ma ebbi l’impressione anche per lui, un seggio in più era troppo poco.
 L’altro ragionamento riguardava il voto complessivo della sinistra, in quanto essa arrivava con il PSI ad avere 15 consiglieri. Una forza insufficiente per fare una Giunta. Il partito socialdemocratico in quel periodo era ritenuto troppo legato alle scelte DC. Dalle forze di sinistra esso veniva chiamato il partito della crisi e dell’avventura, per rimarcare alcuni connotati di destra che in quei mesi caratterizzavano il partito di Tanassi.
 Aldo mi ricordava che l’attesa più importante per i compagni riguardava l’esito delle elezioni comunali.
 Quella sera ma anche nelle riunioni successive non fummo in grado di poter valutare in modo approfondito il risultato elettorale. Fu un limite analitico che in seguito non aiuterà positivamente lo sviluppo del PCI.
 Con Aldo quella sera ci limitammo a concordare la data per la riunione da convocare ed alcune indicazioni politiche da dare.
 Con il senno del poi cercherò di dare una mia interpretazione di quell’esito. Il voto ottenuto nel Consiglio Regionale era legato al fatto che negli ultimi diciotto mesi la sezione aveva sviluppato una iniziativa continua attorno a problematiche differenziate. Anche se non si trattava di un rpogetto alternativo a quello DC, poiché mancava una politica urbanistico-economica, la sezione del PCI stava ristabilendo un rapporto con i cittadini e con il territorio, pertanto, l’influenza democristiana, evidenziata nel 1968 attraverso l’industrializzazione, veniva contenuta e ben fronteggiata. Tutto ciò era accompagnato anche da un rinnovamento del gruppo dirigente.
 Di questa forte valenza politica era stato favorito anche il voto per le provinciali. La mia candidatura esprimeva, inoltre, molto ben quanto di nuovo stesse avvenendo nella sezione ed il forte grado di unità interna raggiunto.


Alle elezioni comunali è la DC il primo partito

Era molto poù complesso e difficile fare una valutazione sul voto comunale.
 In casa comunista, se il rinnovamento era percepibile chiaramente con la mia candidatura alla Provincia, diventava più In casa comunista, se il rinnovamento era percepibile chiaramente con la mia candidatura alla Provincia, diventava più In casa comunista, se il rinnovamento era percepibile chiaramente con la mia candidatura alla Provincia, diventava più sbiadito, o meglio non si evidenziava affatto con la presenza di Vincenzo Bovieri, capolista e candidato a Sindaco. Bovieri, in condizioni fisiche alquanto precarie, non aveva partecipato a nessun comizio e a nessuna manifestazione, e ciò non era stato incentivante perché non sollecitava voti, anzi aveva causato molti problemi.
 Nella Dc la situazione era completamente diversa. Le candidature erano assicurate da uomini, che pur non avendo svolto attività politica in senso pieno, avevano forti legami con i cittadini per via della loro funzione professionale. Aldo Maliziola era funzionario dell’INPS; Orazio Trotta era impiegato presso l’Ufficio del Registro; Antonio Masi era segretario presso l’Ospedale di Frosinone; Titta Liburdi era Direttore dell’Ufficio Postale; Carlo Martini, che rappresentava il "volto umano" dell’azienda, era capo del personale presso lo stabilimento Annunziata; Peppino Del Brocco era responsabile dell’approvvigionamento presso la Elicotteri Meridionali; Renaldo Cinque, inoltre, era proprietario di un caseificio e dell’annessa porcilaia. Una figura emergente che aveva alle spalle una quarantina di dipendenti accaniti sostenitori, ed uan serie di amicizie personali.
 Il successo personale della DC alle comunali, inoltre, era dovuto principalmente alle trasformazioni industriali e quindi al fatto che Battista rappresentasse e gestisse queste novità.
 La grande influenza avuta in queste circostanze dal processo di industrializzazione  emerge in modo eloquente se andiamo a confrontare alcuni voti di preferenza: Battista ottenne 1400 preferenze mentre Piroli, capolista e sindaco uscente, appena 800. Lo scarto notevole di voti fra i due rappresenta la cartina al tornasole di come le modifiche del territorio influenzassero il voto. Stava per finire l’epoca dei notabili e si stava affermando la DC legata al mondo industriale e alla burocrazia.
 L’antagonismo bipolare fra Gigetto e Checchetto aveva caratterizzato per diciotto anni le vicende interne della DC. Battista ora diventava l’uomo forte, gestore di uno straordinario potere, con ingenti leve di comando  a disposizione.
 Per molto tempo la forza dirompente dell’Area Industriale era stata sottovalutata dal PCI; fu Ignazio Mazzoli, segretario della federazione all’indomani delle elezioni politiche del 1972 ad avviare una riflessione autocritica nell’interno del partito.
 Per anni il fenomeno era stato liquidato con il semplicistico termine clientelismo, una definizione equivoca ed espressione di fatalismo e di impotenza politica. In questo modo il processo di industrializzazione ed il ruolo di Battista non venivano focalizzati bene, così come non si vedevano le trasformazioni che avvenivano con la presenza di nuove forze sociali e di nuove figure professionali che apparivano nel processo di crescita. Dal 1972 la federazione del PCI impegnò tutta la propria forza per seguire lo sviluppo industriale senza semplificazioni e senza demonizzazioni, ma avendo come punto di riferimento una propria piattaforma regionale.
 In questa maniera il PCI fu in grado di conoscere gli aspetti essenziali dello sviluppo e le contraddizioni che scatenava, proprio in mancanza di una programmazione. E’ in questo quadro che venne aperta una vertenza per lo sviluppo dell’agglomerato Isola-Sora, privo di un collegamento viario; per le Università di Cassino, Viterbo e Tor Vergata, per l’apertura del Mercato Ortofrutticolo di Fondi, per la bretella autostradale Fiano-Vlamontone.
 In  particolar modo la federazione del PCI avviò una serie di iniziative per cercare di equlibrare le dimensione dell’industria senza modificare la funzione dell’agricoltura. Fu un lavoro non semplice ma attraverso un impegno continuo che coinvolte i propri militanti, il PCI potette presentarsi alle elezione del 1976 non come un partito di oppositori ma come una forza di governo.
 A Ceccano una fase elettorale veniva archiviata, un’altra, con un obiettivo ancora più importante, si apriva: entrare in Giunta Comunale.


Capitolo 7-«Giammattistigli»

 Come spesso avveniva in ogni sezione di partito, all’indomani delle elezioni comunali, l’esame del voto non si faceva in modo serio ed approfondito rispetto agli altri argomenti del dibattito. La valutazione delle preferenze personali conquistate prevaleva di gran lunga l’analisi dei fattori che avevano determinato l’accrescimento o la diminuzione dei voti di partito. Questa angustia di interessi e di metodo penalizzava sempre la possibilità di valutare il da farsi e di capire come dar vita alla Giunta futura. In concreto avveniva che i candidati non eletti, spesso vittime e complici di accordi non mantenuti con e da altri candidati, scaricassero frustrazione, rabbia e delusione, tali da condizionare negativamente la discussione e l’esame oggettivo del risultato elettorale stesso. Con la nuova legge elettorale e con la preferenza unica oggi ogni candidato gestisce la propria campagna elettorale da solo e non in compagnia di altri candidati, pertanto, non può dare la colpa di «tradimento» a nessuno, diversamente da come è avvenuto in tutte le passate elezioni. In quella occasione la consuetudine venne riconfermata. Gli scontenti esistevano e si facevano sentire all’interno di tutte le sezioni. Inoltre si apriva una polemica anche attorno al voto del Consiglio Provinciale. Fra i democristiani, infatti, mugugno e lamentele venivano mani­festati dal Dott. Lucchetti e da moltissimi suoi amici che ritenevano troppo esigui i voti ottenuti nelle elezioni provinciali. Una situazione ancora più turbolenta esisteva in casa socialista. Anche in questa sezione si ritenevano limitati i voti arrivati sul candidato alle provinciali, Gapulli, ma ancora di più si faceva sentire la mancata elezione di Dante Diana e Pia Capoccetta, ambedue Assessori Comunali uscenti, e dello stesso capolista Amedeo Gizzi. Ugualmente forte era lo scontento di Remolo Pizzuti e di Lorenzo Carlini, a loro dire vittime di inganni e scorrettezze perpetrati da alcuni Consiglieri eletti. Anche nell’interno della sezione comunista era più che evidente la delusione dei non eletti. Oltre la metà di questi non rimetterà più piede nella sezione. Questo dato potrà sembrare esagerato o inverosimile ma i comunisti accompagnavano le proprie delusioni con un silenzioso abbandono della militanza. Precedentemente è stato riportato che l’alleanza dei partiti che davano vita alla coalizione di centro sinistra (DC-PSI-PSU) nel comune di Ceccano durava ininterrottamente da otto anni. Le grandi speranze che avevano alimentato l’avvio di questa fase politica con il passar del tempo lasciavano spazio a parecchie delusioni, per via degli scarsi risultati ottenuti e per i metodi praticati non proprio esemplari. Tale alleanza era stata praticata su tutto il territorio della Provincia di Frosinone, in ogni realtà comunale e negli Enti derivati. I comunisti di conseguenza si limitavano ad amministrare solo alcuni piccoli centri, da tutti ritenuti delle fortezze inespugnabili: Piglio, Paliano, Boville, Sgurgola. S.Donato Val Comino e S.Giorgio a Liri. Fra i Comuni ove si votava con il sistema proporzionale e superiori a 10.000 abitanti, la maggioranza di sinistra (PCI-PSI) aveva resistito solo ad Isola Liri, il più grande centro operaio della provincia, ma i socialisti per questa alleanza avevano preteso la carica di sindaco. Si raggiunge un accordo PCI-PSI In quel giugno del 1970, dopo le prime riunioni turbolente, nelle sezioni del PCI e del PSI la situazione si stemperò. Le ostilità si raffreddarono, prevalse la discussione politica, forse aiutata dal clima festoso determinato dall’ingresso, in quei giorni, della nazionale italiana di calcio nella finale del campionato del mondo che si teneva a Città del Massico. In quella domenica mattina di fine giugno mentre nelle due sezioni si discuteva, lungo le strade cittadine molti sportivi circolavano con le loro automobili facendo sventolare la bandiera tricolore. Vissuti i fasti di Meazza e di Piola, l’Italia ripartecipava dopo trentadue anni ad una finale di Coppa Rimet. Una grande occasione, dunque, che rallegrava tutti e riduceva le animosità. Il grande Brasile ma in particolar modo Rivera, Riva e Mazzola inavvertitamente condizionavano il dibattito politico. Fenomeno che si ripeterà spesso in Italia dove il gioco del calcio ha il potere di sviare l’attenzione dai più gravi problemi. La sera del 13 luglio, dopo incontri precedentemente avuti, le delegazioni dei due partiti sottoscrissero un’intesa per dare alla città una Giunta di sinistra che godeva, però, solamente dell’appoggio di quindici Consiglieri su trenta. Questa data, non suffragata da nessun documento ufficiale in circolazione, mi è rimasta particolarmente impressa, perché corrisponde con quella della nascita di mia figlia Vanessa. Detto accordo venne accolto con molto entusiasmo dalla base dei due partiti. Al di fuori delle sezioni, per festeggiare l’avvenimento, vennero esposte al pubblico le rispettive bandiere e nei bar adiacenti si brindava sollevando allegramente i bicchieri. In questo modo si rafforzavano ancora di più i rapporti personali dei militanti dei due partiti. Ai comunisti, pur avendo il doppio dei Consiglieri rispetto ai socialisti, secondo l’organigramma concordato, sarebbero andati il Sindaco e due Asses­sorati. Ai socialisti sarebbero stati assegnati ben quattro Assessorati e fra questi la carica di Vicesindaco e l’Assessorato ai Lavori Pubblici. Era un accordo su cui, però, incombeva un clima di precarietà, dovuto alla mancata maggioranza assoluta dei voti, anche se si ipotizzava un allargamento della maggioranza. Ma i socialisti tentennavano. Purtroppo dover contare solamente su 15 Consiglieri fu la causa che non permise un esito immediato e un procedere lineare e risolutivo.

Vediamo meglio perché.

 L’accordo era firmato, tutto era ufficiale, dunque, ma il nuovo Consisti Comunale tardava ad essere riunito. Secondo la legge, era la Giunta : doverlo convocare, ma questo non avveniva, non solo perché i democristiani e il socialdemocratico non avevano nessuna convenienza e nessuna volontà ma anche perché stranamente i tre Assessori socialisti non lo chiedevano con dovuta convinzione.
 Ecco così emergere la doppiezza di un certo modo di fare politica; l’accordo non era stato contestato, non esisteva esplicito dissenso, anzi la sera della sottoscrizione dell’intesa, sul foglio che lo sanciva erano state p di venti dirigenti socialisti, il che dimostrava la forte adesione a questa ics con questa premessa si intuiva una riserva strisciante, subdola e mai espressa. te dichiarata che influiva negativamente proprio su di un centro decisionale quale la Giunta. La sezione socialista aveva sottoscritto ma non aveva la forza per determinare i conseguenti comportamenti dei j Assessori.   Si susseguirono attese, prudenze, tatticismi: incominciai delinearsi uno scenario in cui si intravedevano furberie, reticenze, cai coi In quei giorni si avvertiva, inoltre, la sensazione che a livello delle federazioni PSI, PSU-PSDI e DC, si intrecciassero contatti per ristabilire una Giunta di centro sinistra.


Uniti contro l’inquinamento

 II tempo passava, la disillusione incominciava a prender? speranze e delle attese per un facile e repentino cambiameli temporeggiava ed appariva indeciso sulla prospettive di dare per la guida del Comune, vennero prepotentemente alla luce la questione dell’inquinamento del fiume Sacco e dell’ambiente circostante. Quella estate il fiume presentava un colore più scuro del solitoci periodo di magra contribuiva a farlo diventare nauseabondo, inoltre, ogni tanto evidenziava colori diversi ma il bianco della schiuma era sempre prevalente. Mai come in quella stagione del 1970, inoltre, proliferarono zanzare e sciami di piccoli insetti aggressivi e fastidiosi che resero insopportabile la vita all’aperto. Questi ultimi venivano chiamati «Annunziatine» da quando l’avvo­cato Giuseppe Ambrosi così li aveva battezzati, perché nascevano e proliferavano dalle noci di cocco che servivano come materia prima per la produzione del sapone nell’interno dello stabilimento «Annunziata». Alla vigilia di Ferragosto, per fronteggiare i suddetti problemi vennero portate avanti due iniziative convergenti: una in direzione dell’Amministrazione Provinciale per ottenere alcuni interventi ed un’altra pubblica da svolgersi in piazza. Nella mattinata, una delegazione di Consiglieri Comunali e di cittadini si incontrò nel palazzo della Provincia con il Presidente Eugenio Giovannini, il quale si dichiarò disponibile ad inviare una motobarca in dotazione della Provincia per tagliare i cespugli situati lungo le rive del Sacco, ove si annidavano le larve delle zanzare, mentre espresse la propria impotenza a fronteggiare il problema dell’inquinamento del fiume. Quella sera, il comizio in piazza Berardi fu tenuto dal Senatore Angelo Compagnoni, dal neo eletto Consigliere Regionale Ugo Bellusci e dal Sindaco Luigi Piroli. Esso si risolse in una necessaria e doverosa manifestazione di protesta ma non in un momento di proposte concrete ed alternative. La scelta dei tre oratori, concordata con il segretario del PSI Gapulli, avrebbe dovuto rappresentare non solo il consolidamento dell’accordo fra PCI e PSI, ma anche scoraggiare le iniziative della federazione socialista tendenti a sostenere una scelta di centrosinistra . La presenza di Piroli, ancora di più, non solo avrebbe assunto un signifi­cato istituzionale, poiché in qualità di Sindaco prendeva posizione contro gli inquinatori, ma avrebbe avuto una funzione preparatoria, propedeutica ad un eventuale allargamento dell’alleanza PCI-PSI, con Piroli stesso come Sindaco.


I socialisti ci ripensano

 Anche dopo questa importante iniziativa politica, l’indecisione rimase un dato permanente nell’interno del partito socialista. Alla fine di agosto improvvisamente si seppe dell’accordo raggiunto fra DC-PSI-PSDI. Accordo voluto e sottoscritto a Frosinone e accettato e subito dalla sezione socialista di Ceccano e dai suoi iscritti. Si può immaginare la ripulsa di tanti comunisti verso quei dirigenti socialisti che avevano firmato l’accordo prima con il PCI e poi con la DC. Sconforto, rabbia, delusione furono le caratteristiche dominanti di quei momenti. Questo accordo rinfocolava vecchie polemiche sulla presunta inaffidabilità del PSI. Inoltre veniva affiorando una sottile ed insidiosa polemica interna nel PCI rivolta verso quelle persone che avevano voluto e firmato l’accordo con il PSI. Gli animatori di queste polemiche ritenevano un atto di ingenuità 1 ‘ aver dato credibilità al partito socialista. Era amaro constatare che in seno ai due partiti chi si era impegnato per riaprire un rapporto a sinistra e a superare vecchie divisioni veniva oggettivamen-te messo in difficoltà dagli eventi. Era, infatti, accaduto un fatto gravissimo: una sezione e molti uomini non avevano onorato la firma del 13 luglio. Una vicenda, un modo di fare che in questi anni è diventato cosa normale e che ha riaperto un grande dibattito attorno al tema etico politico, se cioè sia possibile fare politica senza ispirarsi a dei valori, a dei principi, ad un codice di comportamento. Ma la vicenda non si concluse neppure con quella firma.


DC e PSI stracciano l’accordo con i socialdemocratici.

Quella estate, infatti, stava preparando nuove sorprese. Pur con questo nuovo accordo sottoscritto la Giunta non convocava il nuovo Consiglio per gli adempimenti dovuti. Si ripeteva, così, anche in questa occasione il teatrino delle falsità e delle ipocrisie, al quale avevamo assistito nelle settimane precedenti. Si arrivò a settembre senza che alcun provvedimento fosse stato preso, fino a quando una mattina «II Messaggero» nella cronaca di Frosinone riportò, a grande titolo, la notizia di un ulteriore accordo raggiunto, questa volta solamente fra i democristiani ed i socialisti, che escludeva i socialdemocratici. Fu un fatto improvviso ed inaspettato. Non erano altro che le propaggini, la coda di quanto già avvenuto presso l’Amministrazione Provinciale qualche settimana prima, ove il PSU-PSDI, senza un motivo politicamente plausibile, era stato scaraventato all’opposizione. Nessun dirigente provinciale o locale del partito di Saragat era a conoscenza 0 aveva percepito la grave decisione presa. L’avvenimento politico destò scalpore, ma fu accolto a Ceccano con sarcasmo perché la sezione socialdemocratica in tanti anni di attività aveva sempre dimostrato una fedeltà assoluta verso l’alleato democristiano, per cui non si riuscivano a capire quali fossero state le cause determinanti che avevano portato 1 democristiani a «scaricare» gli amici di sempre, ovvero Checchino Panfili e Felicetto Di Mario. Si faceva anche dello scherno verso il PSI per via degli impegni sottoscritti e per le parole date ma puntualmente non rispettati. Fu un fiorire continuo di parole verso i dirigenti socialisti oramai ritenuti dai più inaffidabili e dotati solamente di una gran faccia tosta, per via di tre firme messe su tre tavoli diversi. Questa volta però, ed in tempi abbastanza rapidi da parte del PSI e della DC, si andò alla discussione ed alla designazione degli uomini che dovevano occupare posti di responsabilità nella Giunta. Il sabato 12 settembre, le due sezioni separatamente si riunirono e dopo lunghe e contrastate discussioni decisero quali dovevano essere le persone delegate a rappresentarle nella stessa. Nella DC vennero così designati Checco Battista alla carica di Sindaco: Liburdi, Bartoli e Del Brocco a quella di Assessori. Nel partito socialista Matteo Maura venne indicato come futuro Vicesindaco mentre Pio Spinelli e Michele Loffredi avrebbero dovuto svolgere il ruolo di Assessori. Le scelte fatte dalla DC stavano a significare che Gigetto Piroli, dopo cinque anni, doveva essere rimosso dalla carica di Sindaco. Nella sezione socialista la lotta era ugualmente frontale, senza mediazioni. La parola d’ordine era quella di sostituire i passati amministratori e sperimentare gente nuova. Via, dunque, Lucio Giovannone ed il Vicesindaco Walter Apruzzese. uomini da sempre sulla cresta dell’onda, presenti prima nelle coalizioni di sinistra, poi nelle variegate ed instabili combinazioni di centrosinistra. Avanti i giovani, dunque.



Si tesse un’altra tela.

 Le decisioni prese il sabato notte, vennero conosciute da tutti i cittadini la domenica mattina in piazza 25 Luglio allorquando si assistette ad un frenetico andirivieni di persone che si congratulavano e scambiavano calorose strette di mano con quegli uomini che avrebbero dovuto far parte della Giunta. Si assisteva così ad una passerella di persone che di colpo si sentivano «personaggi» e ostentavano la propria immagine e la propria amicizia con compiacimento e vanità, sperando che quella mattina non finisse mai. Oltre a questa atmosfera carica di soddisfazione e contentezza in piazza aleggiava anche scontento e risentimento specialmente tra il gruppo dei comunisti, radunato in prossimità della loro sezione ed il livore superò ogni limite quando assistettero al prolungato abbraccio che si scambiarono Checco Battista e Pio Spinelli. Proprio quel Pio Spinelli che la sera del 13 luglio era stato il primo firmatario dell’accordo tra socialisti e comunisti, precedendo addirittura la firma del segretario della sezione, Gapulli. Di fronte a queste scene la forza della disperazione aguzzò l’ingegno di qualcuno, tanto che Bicetto Canestrelli rivolto al suo gruppo di compagni disse «Ma Gigettino che posizione prenderà?» e poi rigirandosi verso di me completò il suo pensiero, quasi intimando, «Va sentito!». Bicetto aveva visto giusto, anzi aveva anticipato quanto si preparava ad accadere perché ad un certo momento, infatti, mi si avvicinò Franco Bruni, dipendente comunale e con parole quasi sussurrate mi disse: «Ti cerca Gigettino, ti aspetta su in Comune». Era quello che mi auguravo, non attesi altro tempo e mentre mi avvicinavo al palazzo comunale immaginavo compiutamente il significato di quell’invito. Salii velocemente le scale del Comune ed entrai nella stanza del Sindaco. Piroli affrontò immediatamente l’argomento che mi aspettavo aprisse: «Conoscerai quello che è successo questa notte. Non voglio fare brutta figura, prima di muovermi voglio sapere se il PCI è ancora disponibile a fare una Giunta con me come Sindaco». Dunque aveva fatto la sua scelta. Era pronto a varcare il suo Rubicone ma ovviamente cercava garanzie per non annegare. Gli risposi che era una ipotesi possibile e nello stesso tempo volli sapere, inoltre, su quali Consiglieri pensava di poter contare. La risposta mi fu data con tranquillità e sicurezza «Posso contare su due socialdemocratici, due socialisti, due de compreso il sottoscritto e, se siete disponibili, su dieci comunisti. Bisogna però fare presto, non perdere tempo, sorprendere quelli che domani vogliono altre soluzioni amministrative». Gli risposi che in linea di massima ero d’accordo ma che dovevo parlare con gli altri compagni e che comunque era necessario riunire insieme tutti i futuri, potenziali partners di maggioranza. Ci lasciammo rimanendo d’accordo che ci saremmo risentiti in serata. Mentre uscivo dal palazzo sulla piazza del municipio incontrai, salutandoli, il dott. Lucchetti e Enrico Martella che si accingevano anche loro a salire dal Sindaco. In piazza nel frattempo era arrivato Aldo Papetti, segretario della Sezione PCI, al quale raccontai l’accaduto invitandolo a sentire Piroli, per confrontare successivamente le sue con le mie impressioni. Quando ritornò mi disse che a parer suo Piroli era sostenuto da molte persone, anche da dirigenti provinciali e che comunque aveva avuto la percezione che Gigettino ci ritenesse nell’interno della sezione ancora fragili e vulnerabili, per cui egli era sembrato incerto sulla nostra capacità di concludere l’accordo. In verità non capii se la preoccupazione esposta fosse di Piroli o di Aldo stesso, e così mi espressi «La verità è che l’ipotesi di avere Sindaco Piroli non sarà gradita a Bovieri e ad altri compagni, comunque la scelta va fatta, anche perché seppur in maniera ipotetica, essa dalla Sezione non è stata mai esclusa. Se Piroli cerca dei garanti alle nostre posizioni facciamolo parlare con Bicetto Canestrelli». La nostra giovane età, la limitata militanza nell’interno della sezione, un processo di rinnovamento avviato ma non ancora consolidato, per un certo periodo erano stati elementi positivi per le prospettive di cambiamento che si aprivano nell’interno della città di Ceccano, ma in certe occasioni diventavano un punto debole. Non per niente in quel periodo mi capitava di discutere e patteggiare con uomini che a volte avevano venti anni più di me ed una lunga esperienza politica alle spalle. Nel tardo pomeriggio Aldo e Bicetto Canestrelli, uomo di grande prestigio, già Vicesindaco di Ceccano, di cui da tempo conoscevamo la sua posizione favorevole a Piroli Sindaco, si incontrarono ad Amaseno, nella casa del vigile urbano Lucari, con lo stesso Piroli. A sera ritornato da Amaseno, Aldo mi annunciò che Piroli era favorevole a sostenere la candidatura di un Vicesindaco comunista e che comunque ci saremmo visti tutti alle undici di sera nel locale di Pizzuti, meglio conosciuto come «Giamattistigli», gestore di una rivendita di generi alimentari con annessa osteria, posta lungo la strada statale, in contrada Maiura. All’ora prevista Aldo mi venne a prendere e avviandoci al luogo conve­nuto avemmo cura di prendere tutte le precauzioni necessarie per non essere notati poiché, visti i precedenti, l’arma migliore rimaneva la sorpresa. All’incontro erano presenti il dottor Panfili, laeder storico ed indiscusso della socialdemocrazia ceccanese, Walter Apruzzese e Lucio Giovannone, consiglieri socialisti, Romolo Pizzuti, Lorenzo Carlini ed Rico Gizzi dirigenti del PSI, infine, Piroli unico democristiano presente. Aprì la discussione quest’ultimo mettendo in evidenza l’accaduto e le scelte dei partiti. Ai presenti toccava secondo lui il compito di preparare l’organigramma di una Giunta da votare il giorno dopo, ma si guardò bene dal fare delle proposte. Il primo ad intervenire nel merito della questione in oggetto fu Rico Gizzi, che denunciò alcune scorrettezze commesse da candidati socialisti verso suo padre Amedeo, per il quale chiedeva, come atto riparatore, la nomina nel Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale. Di fronte alla nostra sorpresa (di Aldo e mia) a discutere di un argomento non previsto ci venne chiarito che esso doveva far parte dell’accordo complessivo. Dopo Gizzi parlò il dott. Panfili. Egli ripercorse le vicende post elettorali, il tradimento dei socialisti e dei democristiani,colpevoli di aver rinnegato gli accordi. Anche lui, però, scivolò dritto nel cuore del problema. I Consiglieri socialdemocratici erano due, pertanto, chiedeva l’Assessorato ai Lavori Pubblici per Felice Di Mario e per sé l’incarico di rappresentare il Comune presso l’ente ospedaliere, in base alla sua conoscenza dei problemi sanitari. Giovannone e Apruzzese furono ancora più sintetici dei due interlocutori precedenti ponendo la loro candidatura alla carica di Assessore. Ai presenti, Pizzuti e Carlini, sarebbe andata la presidenza dell’ECA, ma non facemmo nessuna scelta specifica. Piroli, quando si accorse di aver dimenticato un’altra proposta, riprese a parlare chiedendo il settimo posto in Giunta per l’altro Consigliere della DC che 10  avrebbe sostenuto. Infine, quello che rimaneva, due Assessorati, compresa la carica di Vicesindaco, vennero assegnati al PCI. L’incontro non si svolse come Aldo ed io avevamo immaginato. Quella sera ci sentivamo alquanto intimiditi pensando di dovere discutere del futuro di Ceccano con persone che avevano avuto grandi esperienze amministrative. Coscienti dei nostri limiti e della nostra inesperienza a riguardo, ci eravamo preparati a questo incontro buttando sulla carta alcuni appunti pro­grammatici, ma rimanemmo delusi allorquando ci rendemmo conto che l’oggetto prevalente, o meglio, esclusivo, era l’assegnazione delle cariche. Per il PCI era una trattativa pesante, e puramente inaccettabile, eppure era il prezzo che si doveva pagare per avere una «legittimità democratica». Era un costo oneroso, aldilà del quale, però, temevamo l’emarginazione e l’isolamento.
Ma quello che ci sospingeva a pagarlo era la convinzione di poter legare l’istituzione comunale al grande movimento rivendicativo nato con la nostra volontà e la nostra presenza attorno alle questioni riguardanti i servizi cittadini e a quello della democrazia operaia. Inoltre, e’era da tener conto dell’eventualità di vedere eletto Sindaco Battista. Al potere che gli veniva dall’essere Presidente dell’Area Industriale e segretario di sezione si sarebbe aggiunto quello derivato dall’essere Sindaco. La creazione di questo monopolio politico era ciò che più temevamo. Formalizzato a voce l’accordo, Aldo chiese che si firmasse un documento. A quel punto Panfili con voce un pò alterata disse: «Io già ho firmato un documento che successivamente è stato rinnegato da altri. Non firmerò più nessun altro pezzo di carta, pertanto, l’ accordo di questa sera lo sottoscrivo con una stretta di mano. La mia è una parola d’onore di socialdemocratico non di socialista». Allungò la mano e tutti gliela stringemmo calorosamente. Mentre tornavamo a casa tutte le precauzioni prese per rendere l’accordo segreto, di colpo rischiarono di svanire, quando in via Gaeta, trovammo i Carabinieri con mitra spianati che perquisivano Panfili, fatto scendere dalla sua automobile, da una parte, e Giulio Sindici e Mario Papetti, dirigenti della sezione comunista, dall’altra. Cosa era successo? Questi ultimi due andavano alla disperata ricerca di Aldo e del sottoscritto, perché non vedendoci in giro avevano intuito che qualcosa di nuovo stava accadendo. Nonostante l’imprevisto blocco dei Carabinieri che avevano fermato anche le auto di ritorno da «Giamattistigli», a causa di un furto effettuato in casa del dott. Igi, arrivato a casa passai il resto della nottata dormendo saporitamente. La mattina seguente, verso mezzogiorno, Dante Diana,primo dei non eletti della lista socialista presentò la richiesta di ineleggibilità nei confronti di Pio Spinelli. Alla base del ricorso c’era il fatto che Spinelli, Presidente dell’ECA, aveva fatto la campagna elettorale rimanendo in carica nell’Ente fino a tre giorni prima del voto, senza dimettersi, così come invece imponeva la legge. Qualche ora prima del Consiglio Comunale, convocato per le diciassette, si tenne una riunione nella sezione comunista. L’accordo fatto da «Giamattistigli» non venne contestato da nessuno, nemmeno da Bovieri, anzi c’era molta gioia per l’operazione compiuta. Il blitz notturno aveva ridato coraggio ai delusi ed ai depressi. Aveva mostrato il nostro tempismo e la capacità di saper intervenire e modificare una situazione che sembrava compromessa. Il PCI scelse senza difficoltà i Consiglieri da designare per la Giunta. Vennero indicati Aldo Papetti per la carica di Vicesindaco e Marie Maura come Assessore. Prima di sciogliere la seduta venne raccomandato ai presenti una particolare riservatezza circa le notizie appena conosciute. Si uscì dalla sezione andando difilato, tutti insieme verso il palazzo comunale. Per strada salutammo, senza fermarci, quanti cercavano di avere notizie e di essere informati sugli ultimi avvenimenti. Ognuno cercò di tutelare al meglio le cose che conosceva. Fummo gli ultimi ad arrivare in Consiglio. C’era molta gente lungo le scale che portavano nell’accaldata aula consiliare entro la quale facemmo fatica ad entrare. Gli uomini designati dai partiti di centro-sinistra per entrare in Giunta mostravano sicurezza ed allegria, segno evidente che nessuno era a conoscenza degli ultimi avvenimenti ed erano tutti ignari di ciò che stava per accadere. (1)Nella prima seduta del Consiglio Comunale c’erano alcuni adempimenti da espletare: il primo fra tutti riguardava la Presidenza del Consiglio, alla quale si sedette Francesco Battista, in quanto era il Consigliere che aveva cumulato il maggior numero di voti fra quelli di lista e quelli personali. Successivamente, all’unanimità, il Consiglio approvò le dimissioni inviate da Bonanni prima, da Mosillo e da Mandatori poi, tutti appartenenti alla lista del MSI, per dare modo a Mario Silvestri di diventare Consigliere Comunale.


Altre incertezze.

 Si passò quindi all’esame del ricorso inoltrato da Dante Diana contro l’eleggibilità di Pio Spinelli. Era un fatto importante, quasi un provino di quanto doveva succedere. Sia l’uno che l’altro erano stati candidati con le liste del PSI: ambedue, ovviamente, erano iscritti allo stesso partito. La vicenda fece scalpore poiché era la prima volta che i cittadini assistevano ad un contenzioso simile. L’argomento, una volta messo in discussione dal Presidente, vide interve­nire proprio Lucio Giovannone, il quale con una incredibile capacità scenica usò toni eccezionalmente critici verso Diana, colpevole, secondo lui, di una scandalosa iniziativa. Annunciò, altresì, il voto compatto del gruppo socialista a difesa di Spinelli. L’intervento di Lucio mi raggelò. Temetti un ripensamento rispetto alla sera precedente. Con gli occhi cercai Compagnoni e Papetti e nei loro volti pallidi vidi incertezza e preoccupazione. Alla dichiarazione sconcertante di Giovannone si aggiunse un altro elemento ancora più preoccupante: Vincenzo Masi, Consigliere del PCI, ancora non era entrato in aula. II treno che lo doveva portare da Roma, ove lavorava, non era ancora arrivato. In quel momento la richiesta di Dante Diana di non eleggere Spinelli contava, sulla carta, su quattordici voti (nove PCI, due PSDI, Piroli ed un altro democristiano che ancora non conoscevamo infine Apruzzese) ed ammesso che Giovannone avesse recitato si poteva arrivare a quindici. Quindici contro quattordici. La scelta di Giovannone dunque diventava importante. Furono attimi di trepidazione che sembrarono lunghissimi. Si andò a votare e Battista alla fine dello scrutinio dovette riconoscere che diciassette consiglieri contro dodici chiedevano la decadenza. Il risultato era andato oltre ogni previsione e fu sorprendente e imprevedibile. Un colpo di scena eccezionale. Solo Battista,una volta che Diana prendeva il posto di Spinelli, intuì quanto stava per avvenire e cosa potesse essere successo. Immaginò chiaramente di essere caduto in una imboscata, della quale ancora non poteva conoscere direttamente né gli organizzatori, né gli esecutori. Con una idea improvvisa ma tempestiva si alzò ed invitò tutti i Consiglieri di maggioranza ad abbandonare l’aula per far mancare il numero legale poiché la legge, alla prima seduta, imponeva la presenza di almeno venti Consiglieri. Il colpo gli riuscì, perché nessuno dei «congiurati» appartenente alla nuova maggio­ranza uscì allo scoperto, o si fece identificare, preferendo, al contrario, fare ancora il gioco delle parti. La seduta fu sciolta e il Consiglio venne convocato cinque giorni dopo. Questa volta tutto diventò più chiaro, in quanto le posizioni, finalmente, si delinearono nettamente, si votò per la Giunta, che ebbe Piroli Sindaco ed Aldo Papetti Vice. Ma rispetto alle decisioni prese nella notte di «Giamattistigli» ci furono altre novità: la nuova maggioranza non risultò composta di sedici consiglieri ma si allargò a diciotto; i democristiani che si schierarono con Piroli furono due (Antonio Masi e Renaldo Cinque); in Giunta entrò Dante Diana, terzo socialista dissidente, mentre nessun dei due democristiani sostenitori di Piroli mostrò interesse ad entrare nell’esecutivo.
 I Consiglieri Comunali eletti erano per la DC: Battista Francesco, Piroli Luigi, Martini Carlo, Trotta Grazio. Maliziola Aldo, Cinque Renaldo, Masi Antonio, Liburdi G.Battista, Del Brocco Giuseppe, Bartoli Felice,Tiberia Vincenzo, Salomone Luigi. Per il PCI: Bovieri Vincenzo, Compagnoni Angelo, Maura Mario, Papetti Aldo. Masi Nicola, Loffredi Angelino, Natalizi Luciano, Anelli Domenico, Masi Vincenzo, Masi Walter. Per il PSI: Maura Matteo, Spinelli Pio Domenico, Apruzzese Walter,Giovannone Lucio, Loffredi Michele. Per il PSDI: Panfili Francesco, Di Mario Felicetto. Per il MSI: Bonanni Giuseppe.


Capitolo 9-La tenda rossa

 Nel mese di giugno l’agitazione si esaurì; venne posto all’attenzione dei cittadini, invece, un problema che non si poteva più nascondere perché veniva sentito in particolar modo da tutta la cittadinanza.


Matteo Maura

 Matteo Maura insieme ad un gruppo di amici, preparava ed affiggeva personalmente un manifesto, ove si mettevano in evidenza le condizioni di grave disagio in cui si trovavano i cittadini di Ceccano per via del fetore proveniente da alcuni opifici industriali. Era un’accusa violenta che pesava come un macigno, condita con un pizzico di demagogia, perché tutte le responsabilità venivano fatte ricadere sulla Giunta in carica. Comunque egli coglieva nel segno. Vicino al Cimitero era in attività la porcilaia di Antonia Pandolfi, sposata con Tiberio Marini. Su via Gaeta, a pochi passi dal centro urbano, c’era il caseificio di Peppino Bruscino e l’annessa porcilaia ove venivano allevati un migliaio di maiali. Sulla via Morolense l’imprenditore Giovanni Cinque aveva anch’egli un caseificio con relativa porcilaia. Sempre sulla via Morolense Bruscino ne aveva un’altra, mentre «dulcis in fundo» a pochi passi da quest’ultima era attiva una fabbrica di sego. Il proprietario era Paolino Basile, per lungo tempo direttore del saponificio Annunziata. Il prodotto della suddetta lavorazione, ricavato dalle carogne di animali, costituiva la materia prima per la produzione del sapone. Quando piazza Berardi veniva a trovarsi sottovento, sembrava che vi fosse discesa una maledizione: il fetore proveniente da questi opifici ammorbava talmente l’aria che per chiunque era impossibile sostare per strada. C’era dunque fra i cittadini molto fastidio accompagnato da altrettanta insofferenza da parte dei commercianti della zona, che si sentivano minacciati nella loro attività economica. Maura lavorava allora presso l’INAM, situata nell’interno di uno dei due palazzi Evangelisti. Veniva quotidianamente a contatto con molte persone ed essendo dotato di grande comunicativa era nelle condizioni, più di ogni altro, di cogliere immedia­tamente l’indignazione che cresceva ogni giorno di più e di canalizzarla nella direzione che riteneva più giusta. Nel manifesto a cui ho accennato, oltre ad evidenziare la questione del fetore, veniva focalizzato anche il problema dell’inquinamento del fiume Sacco, ed anche di questo si addossava la responsabilità alla Giunta Piroli-Papetti. Nel manifesto affisso si faceva riferimento al disagio, alla perdita econo­mica dei commercianti, al danno ecologico subito dal nostro fiume. Gli inquinatori e gli appestatori però non venivano indicati e inavvertitamente Maura commetteva anche qualche ingenuità, poiché, non avendo pagato al Comune i diritti di affissione per quei manifesti, dovette subire un processo verbale. Il PCI all’iniziativa di Maura preparò una risposta attraverso un volantino il cui testo individuava chiaramente la responsabilità della situazione nel meccanismo di sviluppo, e le sue relative distorsioni, sottolineando come il profitto capitalistico non tenesse conto né della difesa della salute, né della tutela dell’ambiente. Un volantino che risultava inefficace perché non dava risposte alle esigenze immediate, manifestate dalla cittadinanza. Trovò consensi solo da parte degli elettori del PCI e da chi sosteneva la Giunta, mentre i cittadini abitanti nella zona del ponte non andavano alla ricerca di analisi politiche, chiedevano una immediata soluzione del problema, trovandosi così in sintonia con Matteo Maura. Inoltre, il verbale fatto dalla polizia municipale a suo carico, se si tiene conto che nessun partito ha mai pagato i diritti di affissione, gli aveva fatto conquistare parecchie simpatie. Egli appariva agli occhi di gran parte dei cittadini come un uomo coraggioso, intrepido, colpito vilmente da chi deteneva il potere. Bastava parlare con la gente del luogo per avvertire che la posizione del PCI non era capita. Ma ancora più preoccupante appariva il fatto che nessuno riteneva gli amministratori in carica capaci di schierarsi contro Bruscino, Basile e Cinque. Giuseppe Bruscino, infatti, era un industriale legato politicamente sia a Battista che a Piroli; nel 1960 era stato candidato alle elezioni comunali per la Democrazia Cristiana. Anche Paolino Basile aveva sostegni ed appoggi in casa democristiana, essendo stato Consigliere Comunale per otto anni, dal 1956 al 1964. Giovanni Cinque, infine, era il padre del Consigliere Comunale democri­stiano Renaldo, sostenitore personale di Piroli. Fra la popolazione e forse anche fra i comunisti si avvertiva la percezione che contro queste conosciute ed influenti persone nessuno avrebbe mai preso posizione. Questo modo di intendere la politica si affermava sempre più nell’immaginario collettivo. La Giunta perdeva la caratteristica di serietà, mentre del PCI veniva scalfita l’identità di forza politica autonoma poiché ritenuta subordinata ad interessi personali.


Si monta la tenda rossa

 II primo luglio esposi ad Aldo Papetti, Vicesindaco in carica, tutte queste preoccupazioni. Era necessaria un’azione che rovesciasse la situazione e met­tesse il PCI al centro dell’iniziativa politica del paese, superando incertezze e prese di posizioni difensive. E in questo clima teso che nasce l’idea, pienamente condivisa da ambedue, della «tenda rossa».Di cosa si trattava? Materialmente di una normalissima tenda da campeg­gio oltretutto non rossa ma blu, che ci venne messa a disposizione da Carlo Angeletti, ma emblematicamente fu tutta un’altra cosa. Nel tardo pomeriggio del due luglio, con Giovanni Percili ed altri responsabili della sezione sistemammo, non senza difficoltà, la tenda sulla proprietà Evangelisti, in Piazza Berardi.La tenda cambiò il clima poiché esso divenne più politicizzato, non più basato sul «si dice» ma avente come riferimento proposte e notizie di prima mano. Essa divenne lo sbocco naturale della curiosità dei cittadini, il punto di riferimen­to del dibattito e della lotta contro gli inquinatori. Questa novità comunque non convinse tutti gli amici di Matteo Maura, ma attraverso di essa i comunisti poterono entrare in contatto con la piazza e convin­cere gli indecisi, perché inserivano uno strumento concreto di lotta e di opposi­zione. Attraverso e con la tenda i comunisti chiedevano alla Giunta ed a Piroli. loro alleato, di prendere provvedimenti per allontanare i maiali dal centro urbano e di chiudere la fabbrica di sego. In quei giorni in cui Piroli firmava le prime ordinanze di sgombero. Memmino Cipriani preparava una vignetta-caricatura che venne trasformata in un volantino ciclostilato. Vi erano raffigurati i maiali che,-mentre salivano su un camion comunale per essere trasferiti altrove, "piangevano" ed "imprecavano" contro i comunisti, responsabili del trasloco. Seguirono altre curiosità, discussioni a non finire, volantini distribuiti da molti giovani disposti a diffonderli. Questi furono gli elementi dinamici e politici dell’iniziativa. Ma gli amici di Matteo non si dettero per vinti. Formarono un Comitato Cittadino ed un pomeriggio replicarono con un carosello di autovetture che girava per Ceccano lanciando slogan contro l’inquinamento. Contemporaneamente giù in piazza Berardi. avanti al bar Mingarelli, Pio Spinelli con un poderoso altoparlante sin dalla mattina accompagnò il tamtam di lamentele e di proteste. Sfilarono per le strade cittadine poco più di venti automobili: c’era più rumore che consenso popolare.
   Il Comitato, composto da cittadini scontenti, politici ed aspiranti politici delusi, rappresentava un caravan serraglio di posizioni, una babele di voci che spesso si elidevano e che erano tenute in piedi solo dal livore contro l’Amministrazione Comunale. Gli uomini del Comitato non avevano argomenti seri per portare avanti una polemica né contro il Comune, né contro il Sindaco che aveva predisposto delle ordinanze, né contro il PCI che faceva la propria lotta con determinazione e coerenza. A conferma della confusione esistente nelle file di costoro, quel sabato avvenne che alla fine del carosello automobilistico, quando il corteo venne sciolto e ci fu un invito ai presenti a parlare, a sorpresa, il Sindaco si avvicinò al microfono e prese la parola. Lesse senza perdersi dietro grandi pensieri due pagine, andando diretta­mente al nodo della questione, con un rendiconto minuzioso delle cose che aveva fatto, specificando che aveva già firmato le ordinanze di sgombero delle porcilaie e di chiusura della fabbrica di sego. In quel momento, dopo i provvedimenti emanati, nessuno poteva rimpro­verargli di aver elargito favori o fatto sconti ai suoi amici. Piroli aveva, insomma, tutte le carte in regola per confrontarsi con i cittadini. Il 14 luglio tenni un comizio con il Vicesindaco, durante il quale illustrai la nostra posizione. Nell’ordinanza di Piroli si prevedeva la vendita diretta sul posto degli animali al miglior offerente, nel caso che i proprietari non avessero provveduto nel tempo previsto al trasferimento dei maiali. A Ceccano si anticipava di qualche anno quello che il PCI avrebbe teorizzato di sé stesso, senza poi riuscire concretamente ad esserlo negli anni della solidarietà nazionale: partito di lotta e di governo. Le ordinanze vennero rispettate dalla signora Pandolfi, che sgomberò la piccola porcilaia. e da Basile, che chiuse la fabbrica di sego. Imperterriti, però, Bruscino e Cinque insistettero nella loro sfida al Comune. Dopo qualche settimana, alla scadenza prevista dall’ordinanza la vendita all’incanto non si tenne ed il trasferimento dei maiali non ebbe luogo perché le ditte interessate all’acquisto, al momento cruciale dell’asta, si tirarono indietro per timore di qualche ritorsione violenta da parte dei proprietari. Fu un duro colpo per tutti coloro che ritenevano che la vertenza si potesse concludere facilmente e senza intoppi. Le ordinanze vennero ugualmente riproposte e la lotta andò comunque avanti. Per tutto il mese di luglio le decisioni più importanti venivano prese intorno alla tenda. Giorno e notte si discuteva, si spiegava ai cittadini quanto stava avvenendo. Molti erano i ragazzi provenienti dalle campagne di Ceccano che si univano a quelli del centro in lotta. Dall’una di notte in poi rimanevano due persone a vigilare sul presidio. Per tutto il periodo vennero assicurati con rigorosa puntualità i turni di sorveglianza. Alle otto della mattina la vita attorno alla tenda ricominciava. I primi ad arrivare erano i pensionati e primo fra tutti un certo Antonio Cipriani abitante in via S. Francesco, che con il suo passo lento e tranquillo, dopo aver comperato «L’Unità», con il fazzoletto rosso nel taschino della camicia e il sigaro in bocca ragguagliava tutti i presenti sulle notizie del giornale radio, interpretato secondo il suo credo politico. Poi venivano gli studenti in vacanza, infine i curiosi, gli attivisti, i dirigenti più direttamente impegnati. A qualcuno venne in mente ad un certo momento di scrivere un tabellone murale con su scritto «II PCI non va in ferie».Una dichiarazione un po’ superba, forse esagerata ma che in quel momento, oltre a costituire la verità, colpiva nel segno.


Arriva Bonanni.

 Dalle ferie ritornò, invece, Pinetto Bonanni del MSI per tenere un comizio proprio davanti alla tenda, dall’altra parte della piazza. L’avversario di sempre, l’irriducibile anticomunista, scendeva in piazza. Con ritardo, certo, comunque, per riconfermare la sua presenza e per esprimere la sua posizione. Qualche giorno prima «Marezzo» Papetti e Betto, stressati dai turni di vigilanza per la tenda, avevano avvertito dei malori. Bonanni arrivò fresco ed abbronzatissimo dalle vacanze trascorse a Gaeta, accolto con molto sarcasmo da chi da tanti giorni stava attorno alla tenda, ma anche con molta fiducia da parte dei suoi amici. Ero molto curioso di ascoltare quello che avrebbe detto, pertanto, mi disposi a sentirlo. Caustico, frizzante, pronto alla battuta; così avevo sempre sentito Bonanni nei comizi, nelle conversazioni private e, nell’ultimo anno, in seno al Consiglio Provinciale. Ma in quella occasione ebbi una grossa delusione. Mai sentito da Bonanni un discorso come quello: piatto, scialbo, senza battute, privo di vivacità. Per quarantacinque minuti parlò di tutto senza precisare nulla. Una lunga fila di parole ben disposte senza prendere posizione contro gli inquinatori, o contro le ordinanze di Piroli per allontanare le porcelaie. D’altra parte Bonanni cosa avrebbe dovuto dire? Certamente non poteva apprezzare pubblicamente le cose che si stavano facendo. Il suo fu un discorso generico, sfuggente portato avanti con una difficoltà che non gli si addiceva. La tenda rossa aveva rotto con un certo modo di fare politica: aveva dimostrato che si poteva stare al governo della città senza rimanere prigionieri di certe logiche. Mentre Bonanni parlava io ero comodamente allungato su una sedia a sdraio. Mi trovavo in una posizione tale da poter osservare tutta la piazza e le espressioni di tutti i presenti. Verso la fine del discorso, mentre Bonanni con il fazzoletto si asciugava per l’ennesima volta il sudore sulle tempie, guardando meglio gli uomini che lo applaudivano e la loro posizione sulla piazza, ebbi una strana sensazione: il modo in cui gli uomini del Comitato si erano disposti riusciva a evidenziare le simpatie e lo stato d’animo di chi ascoltava. A veder bene, vicinissimi all’oratore c’erano il Consigliere Silvestri, Mosillo, i fratelli Mandatori, Marella. D’Amico e qualche altro dirigente missino, un po più indietro Gianni Gigli, quindi Roberto Celenza e Vincenzo Catozi. Più indietro ancora c’erano Pio Spinelli ed alcuni suoi amici di Casamarciano, infine molto lontano Matteo Maura ed il cognato Giovannino De Santis, che non vidi mai applaudire. Questa disposizione così frammentata degli ascoltatori mi dette l’im­pressione che fosse in atto qualche disgregazione nel Comitato. I giorni passavano veloci. Non c’era nulla di nuovo all’orizzonte. Per me il dato positivo e sorprendente era dovuto al fatto che in quel periodo il PCI stava stabilendo nuovi contatti con la gente; in effetti era stato scoperto un nuovo mondo, realtà diversa da quella operaia. Avevamo conosciuto, parlato, polemizzato con persone che non ragio­navano in termini ideologici o con pregiudizi politici ma in maniera pragmatica. Ai commercianti della zona, infatti, non interessava nulla di politica; andavano tutti alla disperata ricerca di chi risolvesse i loro problemi. La contraddizione più grande che verificammo fu che tutti erano amici di Basile, Cinque e di Bruscino, anzi questi tre industriali e le loro rispettive famiglie erano anche generosi clienti dei negozi della zona ponte. Ebbene questi commercianti non uscivano allo scoperto e non avevano il coraggio di organizzare la protesta, ma aspettavano che altri si mettessero alla testa, che si muovessero perché preferivano rimanere al coperto e ben mimetizzati dall’iniziativa altrui. Più i giorni trascorrevano più la tenda rossa diventava un emblema non solo dei ceccanesi che si battevano per il risanamento ambientale ma anche di altre realtà provinciali. Dal 1 Luglio, infatti, una pagina di «Paese sera» era riservata alle notizie provenienti dalla provincia di Frosinone.Il giornale, il cui primo redattore fu Adriano Paniccia, in quei giorni riservava molta attenzione alla lotta ceccanese, corredata a volte anche da servizi fotografici.È proprio in questo periodo ed attraverso i servizi di questo giornale che le autorità costituite scoprono l’inquinamento. Attraverso le cronache di «Paese-sera» la lotta travalica i confini comunali, coinvolge parlamentari regionali e nazionali, il Consiglio Provinciale, sollecita la Magistratura ad intervenire.Il 17 luglio, novantatre industrie della provincia vengono denunciate per scarichi inquinanti. Lo stesso Prefetto tiene una riunione in Prefettura per analizzare il fenomeno ed intervenire efficacemente. Gli uomini che lottavano attorno alla tenda rossa non si sentivano ora più un gruppo isolato: avvertivano invece di aver posto una grande questione comprensoriale. Tutto ciò era per loro incoraggiante e stimolava alla lotta. Con il passare dei giorni i comunisti conquistavano nuovo consenso fra la gente e reclutavano nuovi proseliti ma rimanevamo isolati dal punto di vista dello schieramento politico. Alla ripresa autunnale il Consigliere Cinque sicuramente non avrebbe più sostenuto la maggioranza e chissà cosa avrebbe fatto Piroli. Come avrebbe potuto egli affrontare la propria base moderata?.Insomma quello che mi preoccupava era che da una parte avevamo messo in difficoltà la maggioranza, ma nello stesso tempo i rapporti con la sezione socialista erano rimasti immutati e freddi.


L’accordo di Supino

 Per tutto il periodo della tenda rossa non avevo mai rotto i rapporti personali con Matteo Maura. Sapevo che poteva essere una cerniera per riprendere i contatti con il PSI. E poi era fra tutti, quello che aveva una mentalità che più si avvicinava alla nostra. Conoscendolo bene, ero convinto che chissà cosa avrebbe fatto per stare sotto la tenda con noi. Stava invece dalla parte della confusione, di chi oramai non aveva più nulla da dire. Per giorni parlammo intensamente, continuando a lanciarci recriminazioni. È probabile che avesse avvertito che la forza del Comitato si stava esaurendo, oppure che i grandi circoli che aveva radunato attorno a sé in quei giorni di maggio e di giugno si stavano riducendo fino ad avere attorno solo qualche missino. Le mie discussioni con lui tendevano principalmente a rimarcare che il suo modo di agire non aveva più motivo di essere dal momento che il Comitato si stava sgretolando ed i resti dello stesso aiutavano l’iniziativa missina. Dopo un’appassionata discussione, concordammo un appuntamento per analiz­zare più pacatamente la situazione. E per tranquillizzarlo sul fatto che le mie erano le posizioni di altri nell’interno del partito, decidemmo di vederci insieme con Aldo Papetti a Supino, presso il Ristorante "Pisciarello".Dopo mezzogiorno lo prelevai con Aldo presso la Metalfer, fabbrica in quei giorni occupata e nell’interno della quale era allestita una mostra di pittori che avevano donato le loro opere per finanziare la lotta necessaria ad imporre la ristrutturazione aziendale. Avevamo lasciato la pianura arida con le sue stoppie bruciate e con il Sacco trasformato in un rivolo di acqua nera, quando ci trovammo in un batter d’occhio sotto un pergolato fresco e silenzioso, circondato da un rigoglioso bosco di castagno. La discussione non fu preceduta da nessun preambolo, né da argomenti interlocutori. Entrammo subito nel problema che ampiamente conoscevamo e che era stato la causa delle accese polemiche. Negli incontri precedenti, rapidi quanto appassionati, avuti con Matteo avevo anticipato argomenti che ora accompagnavo da riflessioni più serene e che riprendevo anche davanti ad Aldo. Avviai la discussione con la necessità di parlare chiaro ed esporre con schiettezza le rispettive posizioni e le aspettative politiche e personali, senza veli ipocriti e senza alcuna doppiezza. Continuai dicendo che il nostro incontro avveniva per superare una situazione di divisione oramai non più procrastinabile. La battaglia contro le porcilaie avviata da Maura e proseguita dal PCI dimostrava che questo partito non era prigioniero di nessuno, non era condizionato dal potere economico locale e riteneva i problemi della salute prioritari rispetto alle alleanze politiche. Anticipai che prima o poi il rapporto con il Consigliere Cinque si sarebbe rotto. Era necessario quindi che si tracciasse lo scenario futuro in modo realistico. Aldo proseguì il mio ragionamento accentuando alcuni toni.«Ora siamo diciotto Consiglieri di maggioranza, perderemo Renaldo Cinque, è vero, ma rimaniamo sempre in diciassette. Bisogna far entrare in Giunta il PSI in maniera ufficiale. Il PCI come vedi è d’accordo ma dobbiamo evitare che si ripeta quanto accaduto l’anno precedente. Non possiamo giocarci il certo per l’incerto. Vogliamo il certo per il certo».Matteo di rimando e con un fare piuttosto rapido replicò:«Io non vado alla ricerca disperata di entrare in Giunta. Se questo deve avvenire, avvenga in modo dignitoso e con l’accordo della mia sezione. Vediamo cosa possiamo fare».Mi sembrò molto sincero, ma ancora più schietta mi apparve quella richiesta. Capii che eravamo arrivati al cuore del problema. Maura non aveva riproposto le solite lamentele il cui assortimento oramai conoscevo a menadito. Era stato veramente sintetico. Non voleva perdere tempo, voleva discutere e arrivare a delle conclusioni. Rimandai netto: «Dobbiamo modificare i nostri rapporti politici ed interpersonali; non deve esserci conflitto fra le nostre posizioni; dobbiamo avere momenti più interlocutori e più unitari»«Va bene, mi sta benissimo» replicò. Sapevo che quello che lo rassicurava e lo rendeva tranquillo, era il fatto di avere sentito da Aldo e da me che si doveva lavorare per l’ingresso del PSI in Giunta. Per lui era importante sapere che gli uomini che rappresentavano la sezione PCI annunciavano la loro disponibilità a raggiungere questo obiettivo. Mentre sorseggiava il suo vino con l’aria di chi aveva riflettuto bene e si accorgeva che mancava ancora qualcosa guardandomi intensamente negli occhi mi chiese «Ma voi avete qualche idea su quali temi lavorare e come accelerare i tempi?»Era una domanda intelligente e pragmatica solo che scaturiva dalla convinzione di chi riteneva che noi avessimo previsto tutto anche nei minimi particolari. È probabile che con il suo ragionamento egli ritenesse i comunisti tanto efficienti, da predisporre tutto con anticipo e capaci di curare ogni aspetto. La verità, invece, era diversa. Il dato vero era che il rapporto con Matteo Maura ci aveva costretto a definire una linea politica. Dovevamo sciogliere un nodo: riaprire o meno i contatti con il PSI, stabilire i prezzi da pagare e gli accorgimenti da prendere. Anzi, il nodo in quel preciso momento era già sciolto !L’incontro e l’intesa che stavamo stabilendo con Matteo ci permetteva di riallacciare i contatti con la sezione del PSI salvaguardando nello stesso tempo tutto quello che era stato fatto, senza autocritiche o pentimenti da proclamare. Si arrivava a questo appuntamento nel momento più alto dell’iniziativa comunista, attorno ad un tema importante quale quello dell’inquinamento.


La manifestazione non autorizzata

 Maura però aveva fatto due domande, ben legate fra di loro alle quali non era stata data una risposta: l’avvicinamento fra le due forze politiche e un piano. Fu allora e solamente allora, che mi venne l’idea di fare per la sera stessa una manifestazione anti inquinamento. Gliene esposi i caratteri: una marcia di 30-40 persone lungo la parte bassa della città, non prevista, al limite della legalità, non annunciata ma improvvisata, durante la quale lui avrebbe sfilato e parlato con me. Matteo Maura a quella proposta si dichiarò immediatamente d’accordo e si limitò a chiedere l’ora della manifestazione. La concentrazione ci aveva distolto dall’adempimento culinario ma una volta ritornati a una dimensione più umana riparammo immediatamente e con grande soddisfazione. Ritornammo a Ceccano, dandoci appuntamento al tramonto attorno alla tenda rossa. Furono informati dell’accordo preso i membri della segreteria della sezione e Luciano Natalizi di Colle Leo. A questi ed ad Orfeo Sacchi, dirigente del circolo della FGCI fu precisato che per la manifestazione non avevamo chiesto l’autorizzazione in Questura, pertanto, dovevamo limitarci a camminare sui marciapiedi e siccome si preve­deva l’intervento dei Carabinieri, si doveva mantenere la calma: era necessario, pertanto, che si scegliessero giovani disciplinati. Lo scopo della manifestazione era quello di far sapere al Prefetto ed al Questore di Frosinone che esisteva una questione aperta a Ceccano, oltre che dimostrare che era in atto una svolta nelle alleanze politiche. All’appuntamento concordato a voce ed a persone consapevoli, si presen­tarono in molti: quasi cento. Ci furono calorosi saluti e molte sincere strette di mano fra Matteo e tutti i presenti. A tutti appariva chiaro il significato politico di quello stare insieme. In un batter d’occhio e senza problemi risolvemmo alcuni aspetti organizzativi. Qualche cartellone da portare, volantini da diffondere durante la sfilata ma in particolar modo risolvemmo anche il problema di come parlare al microfono camminando. Mettemmo così sulle schiena di Orlano Pizzuti l’amplificazione posta dentro uno zaino, mentre sulla spalle di Mimmo Barbarossa sistemammo le trombe. Dietro di loro. Maura ed il sottoscritto aprivano la passeggiata spiegando a tutti i presenti il significato della stessa. Il percorso da seguire era relativamente breve: dalla tenda alla Borgata e ritorno, quindi verso il Rifugio e relativo ritorno. Ci avviammo camminando lentamente ed ordinatamente. Matteo dopo qualche incertezza iniziale mi apparve molto sicuro sia nel parlare al microfono che nel lanciare con chiarezza dei messaggi tutti improvvisati. Il sole era tramontato da un pezzo, il cielo imbruniva; un acquazzone che si stava abbattendo su Frosinone rendeva l’aria fresca e favoriva il passeggio di molti cittadini. Lo spettacolo era veramente insolito. La voce usciva in modo chiaro dall’altoparlante. Ci muovevamo come concordato, procedendo lenta­mente. Le macchine potevano transitare con regolarità, i loro conducenti rallentavano per sentire cosa stesse succedendo e una volta accertato l’accaduto, salutavano riprendendo la corsa. Mentre tornavamo dalla Borgata passando nelle vicinanze della tenda notai l’incredulità di alcuni componenti del Comitato nel vedere sfilare Matteo insieme a noi. Ci dirigemmo verso quella zona di Ceccano chiamata Rifugio, arrivammo fino dove sorgono le case popolari e tornammo indietro. Anche in questa parte del paese registrammo le stesse scene, la stessa simpatia, e la medesima adesione. Eravamo arrivati all’altezza dove ora c’è il distributore di Michele Pizzuti, quando a forte velocità sentii arrivare la jeep dei carabinieri. Ne discese di corsa il Maresciallo che con quattro passi ci raggiunse.«Consigliere Loffredi, le ordino di sciogliere il corteo non autorizzato» mi sentii urlare ad un orecchio.«Questo non è un corteo, stiamo passeggiando liberamente sul marciapie­de» replicai continuando a camminare. Il Maresciallo insistette ma mentre io fra le mani avevo il microfono e tutti lo sentivano, le sue parole invece non arrivavano molto lontane.«Questa è una ordinata e composta camminata ecologica» continuai. In quel momento arrivò una «124» bianca con dentro alcuni membri del Comitato e qualche fascista. Ciò rese evidente a tutti chi era stato a chiamare i Carabinieri. Mentre noi continuavamo imperterriti a camminare, notammo che i fascisti gesticolavano troppo con il Maresciallo, perché insoddisfatti. Inavvertitamente accelerammo il passo ed arrivammo alla tenda. .L’immagine dei quattro, isolati, staccati dal resto della piazza, che ancora insistevano con i Carabinieri per sollecitarli a prendere provvedimenti contro di noi, costituiva la cartina al tornasole di quanto in quelle settimana era accaduto. Le incertezze, le nubi confuse che si erano cominciate a diradare nel corso della lotta venivano definitivamente chiarite nell’ultimo atto consumato lungo la strada: i falsi difensori dell’ambiente erano finalmente smascherati. Due giorni dopo Giovannino De Santis sul «II Messaggero» scriveva«Ancora una manifestazione contro l’inquinamento.  È stata guidata dal solito Loffredi».Qualche giorno dopo, il 14 agosto per la precisione, i proprietari delle porcilaie si trovarono d’accordo con una successiva ordinanza fatta dal Sindaco che prevedeva definitivamente lo sgombero delle stesse. La sera stessa in un comizio tenuto insieme al Sen. Compagnoni, spiegai minuziosamente la gradualità dei tempi e le modalità di rimozione dei maiali. Di fronte a tanta gente commossa e soddisfatta festeggiammo la vittoria contro gli inquinatori.



Capitolo 10 - I CITTADINI, L'IMPEGNO, LA POLITICA

 Era passato circa un anno da quel furtivo incontro notturno tenuto nel locale di «Giamattistigli», dove si era raggiunto I'accordo per formare una Giunta diversa. Una Giunta che a volte veniva chiamata «Piroliana>>,per mettere in evidenza il ruolo fondamentale del Sindaco Piroli,altre volte «Milazziana>>,in riferimento ad una esperienza avvenuta nella Regione Sicilia dieci anni prima,allorquando un Consigliere democristiano,chiamato appunto Milazzo, con altri colleghi di partito, per un paio di anni, aveva guidato l'isola insieme ai comunisti ed ai socialisti.


La Fiat
Il 1971 era stato un anno durante il quale il ritmo di crescita industrial e non aveva presentato rallentamenti. Nel territorio provinciale incominciavano però ad evidenziarsi alcune situazioni di crisi, come nella Metalfer-Fias dove erano presenti annunci improvvisi e minacciosi di chiusure, nella Bellatorre di Frosinone  e nel Sugherificio Meridionale di Anagni.
 Ma il dato prevalente riconfermava, come negli anni precedenti, la messa in produzione di altre fabbriche e f innalzarsi verso il cielo, dall'oggi al domani, di costruzioni industriali sul territorio di Ceccano e dintorni. Il l971 è l'anno in cui entrarono in produzione I'Irtes e la Termogas; inoltre è l'anno in cui la Tesit preparò con corsi di formazione professionale i futuri dipendenti; contemporaneamente il Comune di Ceccano rilasciava alla Modenese la concessione per poter costruire il fabbricato dell'azienda.
 Non era solo nel comprensorio di Ceccano che si offriva il lavoro e si  creavano nuove speranze di occupazione, oramai ciò avveniva su tutto il territorio provinciale  da Paliano a Cassino. dove si affermava quella che a gran voce veniva chiamata "vocazione industriale". Finalmente si definisce anche ove sarebbe avvenuto il tanto atteso insediamento Fiat nè a Cassino , ne a Pontecorvo. Il Comune prescelto fu quello di Piedimonte S. Germano, una sconosciuta realtà con poco più di tremila anime , posta a pochi kilometri da Cassino. A nulla valsero le critiche  e le proteste proveniente dalla comunità religiosa di Montecassino che paventava dall'alto dell'Abazia una panoramica "blasfema". L'avvocato Agnelli fu molto più forte ed influente dell'Abate di Montecassino poiché, tutti in coro, i massimi responsabili comunali della zona e le autorità governative , d'accordo con gli addetti ai fenomeni metereologici, garantirono che la sublime visuale non sarebbe stata deturpata dalla mostruosa presenza dell'insediamento industriale, in quanto questo per parecchi mesi dell'anno sarebbe stato nascosto dalla nebbia ristagnante sulla pianura.
 Lo stabilimento avrebbe occupato duecentoventi ettari, una estensione veramente notevole: più della metà di tutto il territorio che a suo tempo era stato programmato per l'ex Nucleo Industriale di Frosinone. Si trattava di una grande realtà, di un eccezionale investimento, di una ipotesi occupazionale di cinquemila unità.
 L'avvio dei lavori però non procedeva in maniera spedita e lineare, perchè duecentoventi ettari da espropriare costituiva una impresa difficile, in quanto si trattava di un'area pianeggiante ad alta vocazione agricola, in grado di dare una elevata redditività e perciò strenuamente difesa dai proprietari. Per l'esproprio dei terreni da assegnare alla Fiat avvenne qualcosa di diverso da quanto avvenuto precedentemente. La Coltivatori Diretti, infatti, organizzo i propri aderenti ed aprì una vertenza con l'Area Industriale. Le parti in causa, pertanto, patteggiarono il prezzo dell'esproprio della terra ma nello stesso tempo aprirono una trattativa, non ufficiale, anche sulle assunzioni dei familiari degli espropriandi. La Coltivatori Diretti mobilitò i propri iscritti, fece sentire la propria voce riuscendo così ad ottenere dopo una faticosa trattativa tutto quanto richiesto.



Gli squilibri.

 Il 1971 è, dunque, l'anno degli espropri e dell'avvio della costruzione dell'impianto. Si trattò di un grande evento così come ugualmente straordinario fu l'insieme dei lavori infrastrutturali da realizzare per favorire una produzione ottimale. Dovevano essere csotruite le infrastrutture non solo per la Fiat ma per tutto il territorio provinciale e per le nuove fabbriche in programazione.. Questa necessità determinò le premesse e le condizioni per arrivare a creare uno strumento privo di ogni controllo democratico, discutibile e contestato.
 Venne costruita a tal fine, la SAIF, una società che interveniva per realizzare le infrastrutture. Il suo capitale azionario era così ripartito: il 51% apparteneva al Consorzio dell'Area Industriale ed il 49% alla società BONIFICA. Prima erano le imprese esterne che realizzavano le opere infrastrutturali ed al Consorzio toccava il compito di controllare i lavori e pagare i costi.
 Il presidente della SAIF era Checco Battista, il quale continuava ad essere anche il Presidente del Consorzio; egli si assumeva una doppia funzione: diventava, infatti, nello stesso tempo controllore e controllato. La SAIF operò per un decennio nel settore, in un contesto di critiche politiche, di polemiche giornalistiche promosse da "Paese Sera" e di qualche strascico giudiziario.
 La crescita industriale si arricchiva, dunque, della presenza Fiat.
 Il potere di Battista con la mole di lavoro che stava facendo la SAIF, diventava ancora più forte e personale. Nussun uomo politico provinciale ha mai gestito un impero tanto smisurato avendo a disposizione ingenti finanziamenti e molta occupazione da assicurare, determinando, altresì, profonde trasformazioni del territorio.
 In quel periodo la Città di Ceccano presentava 5.566 occupati e 614 cittadini in cerca di prima occupazione. E' interessante conoscere anche altri dati per avere piene consapevolezza della realtà che si era determinata nel corso degli ultimi anni.
 Gli addetti all'agricoltura si erano ridotti a soli 380 unità. Il rapporto che passava fra gli addetti all'agricoltura e occupati era del 6,7%.
 In provincia esistevano complessivamente 135.611 occupati. Nel settore agricolo lavoravano 36.221 unità che costituivano il 26,7% della popolazione attiva.
 Fatte queste necessarie comparazioni risultava più che evidente la differenza fra realtà ceccanese e quella del resto della Provincia!
 La quantità della manodopera nell'agricolture, notevolmente ridotta a Ceccano, ma non meno nel territorio provinciale, non rappresentava una situazione positiva.
 Era il sintomo di uno squilibrio che a Ceccano si era creato nel corso degli anni; esprimeva una realtà nuova che soppiantav quella precedente senza potenziarla, senza irrobustirla ma creando, al contrario, le condizioni per la distruzione e la rovina delle campagne. L'industria aveva dato occupazione e speranze; aveva elevato il reddito pro capite ma, fatto grave, non aveva alcun legame con l'agricoltura.
 Quando in Consiglio Provinciale, nel febbraio 1973, si discusse sul Piano Regolatore dell'Area Industriale, le posizioni di chi sosteneva il ridimensionamento della superficie destinata all'industria e l'estensione di quella destinata all'agricoltura, vennero respinte. Non solo era mancata una necessaria saldatura fra vecchi e nuova struttura economica, ma a quel tempo le forze dirigenti non ipotizzavano nemmeno una correzione di rotta rispetto al tipo di sviluppo avvenuto negli ultimi anni.
 Fortunatamente sarà il Consiglio Regionale nel dicembre dello stesso anno ad intervenire, grazie ai poteri conferitigli dalla legge, per ridimensionare il piano e restituire alla destinazione agricola alcune superfici.
 A corredo dei dati e delle considerazioni sopra indicati deve essere precisato che sempre nel 1971, a Ceccano, gli addetti ai servizi risultavano essere 704 ed al credito 33; i dipendenti della pubblica amministrazione erano 247; coloro che traevano un reddito dal commercio 456; i dipendenti di attività legate al trasporto e alle comunicazioni 293; quelli di aziende elettriche , gas e acqua 54, mentre ben 3.363 erano coloro che lavoravano nell'industria. L'insieme di questi dati mettono in evidenza una città laboriosa, con una netta prevalenza nel contesto degli occupati, dei lavoratori dipendenti, circa 84%.
 In quei giorni la lotta politica rimaneva ugualmente aperta, così come si evidenzia dalla rappresentazione dei fatti che vado ad esporre. Il Consiglio Comunale di Ceccano fu convocato il 6 marzo 1971 per designare i propri rappresentanti in seno all'Assemblea Generale dell'Area industriale.
Fra tutti i Comuni aderenti al Consorzio quello di Ceccano fu il più sollecito a sostituire i propri membri da poco tempo decaduti. Questa tempestività non era dovuta al caso: la maggioranza in carica aveva intenzione di non nominare Battista sia perché era all'opposizione, sia perché intendeva privare lo stesso dall'immenso potere di cui stava usufruendo. Per questo motivo vennero designati quali rappresentanti al Consorzio Giovanni Percili, Antonio Masi, Micheli Loffredi. Battista, come previsto, venne escluso e per questa scelta considerata importante, quasi decisiva si palpava una contenuta e prudente soddisfazione. Anche in casa democristiana c'era chi era contento che Battista diventasse un Consigliere ed un politico come tutti gli altri.
 Questa speranza, però, durò poco tempo. Battista,infatti, non eletto a Ceccano ebbe la capacità, determinata dalla sua influenza, di farsi designare rappresentante del Comune di Arnara.
Lo Statuto consortile non lo escludeva, per cui ogni tentativo di spodestarlo dalla Presidenza dell'Area alla fine risultò vano. Battista resterà Presidente dell'Area per altri dieci anni.
Come è stato già riportato, il 1971 risultò essere un anno caratterizzato da polemiche tumultuose ma non disordinate, al contrario, fu un periodo ricco di esperienze e di risultati concreti.
 È il caso di ripercorrere ancora meglio il filo degli avvenimenti, partendo proprio da quel settembre del 1970.
 Nei capitoli precedenti è stata evidenziata la polemica Piroli-Battista e precisata I'importanza dell'approvazione del Programma di Fabbricazione; è stata ripercorsa minuziosamente la lotta alle porcilaie, ma l'anno non può essere circoscritto e caratterizzato solo da questi avvenimenti, perché esso è stato contrassegnato  anche da altre situazioni ugualmente interessanti e degne di essere ricordate.
 E utile, pertanto,  riandare a vedere le positive novità che avvenivano a ridosso del periodo in questione.


Le realizzazioni cittadine.

 Nei primi mesi dell'anno, da parte del Comune vennero appaltati i lavori per la costruzione della rete fognante, per un importo pari a 320 milioni.
 L'opera venne assegnata  alla Ditta Benito Stirpe. Il dato ugualmente significativo era costituito clal fatto che a quella data era stato predisposto anche il mutuo per realizzare quello che sarà il depuratore di via Gaeta. Indubbiamente si trattava di opere e di prospettive veramente signifìcative, se si considera che a Ceccano erano già sorte iniziative contro I'inquinamento del Sacco. Con questa opera il Comune si avviva ad avere una posizione politicamente inattaccabile  nei confronti dell'Area Industriale, non ancora provvista del proprio depuratore.
 Ceccano a quella data aveva una rete fognante realizzata nel lontano 1932, nello stesso periodo in cui erano stati costruiti il serbatoio e l'acquedotto comunale. La rete fognante raccoglieva gli scarichi del centro urbano e dopo un breve percorso li versava nel fiume, in prossimità del ponte sul Sacco, a cielo aperto ed a pelo d'acqua. Il lavoro da realizzare era importante sia perché ampliava il numero delle famiglie servite e sia perché attraverso il depuratore, si superava I'inconveniente degli scarichi nel fiume.
 Ugualmente positive erano le realizzazioni e le novità che si stavano precostituendo nella politica scolastica.
 Il 15 febbraio vennero aperte le prime tre sezioni di scuola materna statale. Questo era il risultato di una richiesta fatta durante il mese di luglio, dalla precedente Giunta di centro-sinistra.
Istituire nuove sezioni di scuola materna, comportava per il Comune assumersi tutti gli oneri connessi, con la sola esclusione dello stipendio dell'insegnante. La Giunta infatti in pochi giorni predispose l'acquisto dei banchi e delle  attrezzature scolastiche, del materiale per la refezione, sistemò i locali e nominò la bidella-cuoca.
 Delle tre sezioni, due vennero assegnate alla Scuola Elementare di via Matteotti, mentre l'altra trovò la propria sede in via per Frosinone, presso i locali di Vincenzo Ciotoli.
 La funzione della scuola materna incominciava ad essere compresa perchè il processo di industrializzazione, ormai avviato, impegnava nell'attività lavorative anche le donne. Per questo motivo gli amministratori in carica ritenevano che I'istituzione di ulteriori scuole materne costituisse una scelta fondamentale per una buona politica sociale. A luglio. pertanto, in piena lotta contro le porcilaie, la Giunta aveva inviato al Provveditorato agli Studi un elenco di richieste per l'apertura di altre scuole materne ed il 20 ottobre lo stesso aveva risposto positivamente. La Giunta, trascorso appena un mese dalla comunicazione del Provveditorato, era stata in grado di approntare le nuove sezioni di scuola materna che vennero sistemate presso il plesso scolastico di via Matteotti, nel Santuario di S.Maria, nella Badia e nelle contrade Colle Alto, Colle Antico, Casamarciano.
  Sul territorio comunale, dunque,  istituite in pochi mesi complessivamente nove sezioni, presenti sia nel centro urbano che nelle campagne.
 Nella politica dei servizi fu netta l'inversione di tendenza poiché si riduceva lo scarto fra città e campagna dotando ogni sede di attrezzature idonee.
 Queste scelte seguiteranno ad essere prioritarie anche negli anni successivi.
E' interessante sapere che nell'ottobre del 1971 i minori esistenti nella nostra città da zero a sei anni erano 1.938, mentre le donne impegnate in attività lavorative erano 1.101 . La scuola materna dunque non era un servizio secondario, nè un surplus, ma corrispondeva ad una prorompente necessità della famiglia e avviava alla scolarizzazione nei termini migliori.
 Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che il numero degli analfabeti nella società ceccanese raggiungeva la notevole cifra di 5.566 unità. Ne si poteva ritenere consolatorio il fatto che quelli che confessavano esplicitamente di non saper leggere o scrivere si riducessero a 1.151 .
 Sempre in materia scolastica, qualche mese dopo, il 30 dicembre per la precisione, la Giunta indisse l'appalto per la costruzione del plesso elementare di Borgo Berardi, locale scolastico che non va confuso con la preesistente Scuola S.Francesco. Il prezzo base dell'opera era di 77 miglioni. Direttore dei lavori venne indicato l'ingegnere Nicola Vannucci.
 Il 5 marzo197I, inoltre, la Giunta aveva richiesto all'Amministrazione Provinciale di istituire una sezione staccata dell'Istituto Commerciale. Iniziava così un iter lungo e complesso, fatto di trattative tra le due istituzioni e di atti politici che come Consigliere Provinciale ho curato personalmente. In seguito a questo impegno, alla fine del 1971, il Consiglio Provinciale votava una delibera attraverso la quale si chiedevano al Ministero, le succursali da istituire per gli istituti di competenza della Provincia. È importante precisare che in questo atto deliberativo la richiesta della succursale ceccanese precedeva tutte le altre.
 Qualche anno dopo e precisamente il 1 settembre del 1 9'72 Ceccano ebbe i nuovi locali della Scuola Media Grzzi, opera molto attesa e realizzata nell'arco
di tre anni. L'edificio delle «Giuseppine» resosi così libero per via del trasferimento della Media, venne messo, da parte del Comune, gratuitamente a disposizione della Provincia per l'insediamento della succursale dell'ITC. Con grande soddisfazione delle famiglie, degli studenti e del personale scolastico fu possibile concretizzare le attese e le speranze di quei giovani che quattro anni prima avevano avviato la lotta per il decentramento scolastico.


L'intervento dei cittadini.

 Anche la viabilità nelle campagne beneficiò di soluzioni originali per superare i disagi, propri delle strade bianche e imbrecciate. I cittadini che sperimentavano soluzioni particolari furono quelli della contrada di Colle Leo prima, seguiti da quelli di San Giuseppe.
Il Comune non aveva le risorse finanziarie per soddisfare una necessità che l'alto indice di motorizzazione aveva creato. I cittadini allora non vedendo all'orizzonte facili soluzioni si riunirono, crearono dei comitati, si misero d'accordo per una contribuzione da sottoscrivere e patteggiarono con il Comune mettendo a disposizione anche il proprio lavoro.
 A Colle Leo esisteva una cellula del PCI e gruppi di persone erano già pronte ad agire. Luciano Natalizi da un anno Consigliere Comunale, persona molto attiva, stimata e sostenuta da un vasto parentato costituiva il punto di riferimento per qualsiasi iniziativa. Esistevano tutte le condizioni per sperimentare metodi di lotta sconosciuti in altre realtà del territorio cittadino. Gli abitanti della contrada, dunque, concordarono di asfaltare il tratto che dal casello ferroviario «Ottantotto>> conduce sino al punto più alto della contrada. Queste persone con un coordinamento ed un tempismo inauditi, furono in grado di realizzare cose che oggi appaiono incredibili. Gli abitanti, quasi tutti professionalmente impegnati in lavori edili, offrirono il loro lavoro, stabilendo le giornate da mettere a disposizione.
Le riunioni preparatorie si tenevano nella cantina di Sebastiano Masi: esse erano sempre appassionate e gremite e in nessun momento ci fu chi mettesse in dubbio la realizzazione dell'opera. Il bitume, attraverso i contatti che avevo con l'Assessore Provinciale Luciano Bove, venne messo a disposizione della Provincia.
 I cittadini di Colle Leo, pertanto, con un camion di proprietà cli luccio Nicolia andarono a caricare il materiale necessario presso la Silesi, a Giuliano di Roma.
 Le attrezzature vennero fornite dalla ditta Benito Stirpe, impegnata in quei giorni a realizzare la rete fognante del paese. Il Comune di fronte a questo impegno e a questo eccezionale dispiegamento di forze, fornì il brecciolino ed il mezzanello, necessari alla riuscita del lavoro.
 Al termine di quest'opera i comunisti cli Colle Leo organizzarono nella contrada la prima festa de "L'Unità" ed inaugurarono il tanto desiderato manto bituminoso al suono di fisarmoniche, accompagnati dal fragore dei petardi e da copiose libagioni.
 La realizzazione della strada costituiva un grande fatto non tanto per l'opera in sè per sè, quanto per l'esempio che sollecitava e per le speranze di cambiamento che alimentava.
 "Fare come a Colle Leo" sembrava essere la parola d'ordine che in quei giorni rimbalzava nelle varie contrade di Ceccano.
 Si assisteva ad un positivo ed interessante fenomeno, teso al superamento di individualismo e di scetticismo. Incominciava a crescere la consapevolezza che lo stare insieme  e la lotta in comune  assicuravano  maggiore potere contrattuale,  aiutando la risoluzione dei problemi.
Era lungo questa direttrice  di marcia che si muoveva  anche Francesco Del Brocco,  abitante  di una zona a ridosso  della costruenda chiesa di S.Giuseppe,  fra  Fiano e Colle Alto. Questi si fece carico delle necessità della gente ed organizzò un Comitato di zona.
 Lo scopo  principale  ed immediato era quello di risolvere il problema  della strada, sempre dissestata;  ma sin dal primo momento  si presentarono  altre questioni inerenti le condizioni generali della zona. I cittadini interessati  alla risoluzione della strada si riunirono nell'abitazione di Del Brocco  e dopo alcuni incontri preparatori  portarono  ostinatamente avanti le loro decisioni. Prima di tutto si misero a disposizione  per assicurare  il loro lavoro, successivamente raccolsero la somma, di cui Del Brocco  fu cassiere. necessaria per acquistare il bitume. Poi attraverso  una deliberazione comunale ottennero  brecciolino ,ed altro materiale calcareo pari al valore  di trecentottantamila lire. Nello stesso  tempo Del Brocco,  sapendo  che Benito  Stirpe aveva una ricchissima  azienda agricola proprio  in prossimità  della strada in questione,  fu capace di farsi mettere a disposizione  tutte le attrezzature  idonee per asfaltare  la strada  e di strappargli  un prezzo  di favore  per l'acquisto  del bitume occorrente.
 Nel mese di novembre quando  il  Comune dovrà trovare i locali per sistemare la scuola materna in quella zona, sarà Del Brocco stesso a risolvere positivamente  questa  necessità e a sollecitare le mamme  a mandare  i propri figli  scuola. Nello stesso tempo insieme  ad altre persone  del Comitato, egli fu in grado di predisporre  tutta una serie di provvedimenti necessari all'avvio  dell'attività scolastica.
Sempre  in autunno, il Consorzio  di Capofiume  aveva finito di realizzare il serbatoio  di Colle Bruni, fra Colle Antico e Colle Pirolo, con relativa adduttrice di acqua proveniente  dallo smistamento  di Colle Castagno, in territorio di Arnara. Il rifornimento  idrico nel serbatoio  c'era. Esisteva  così una grande occasione  per gli abitanti delle zone circostanti ma negli anni precedenti gli amministratori  in carica non avevano richiesto nessun mutuo per la realizzazione  della condotta comunale ed era perciò  impossibile  l'effettivo utilizzo  dell'acqua  nelle case.
 Distribuire  l'acqua  durante  l'estate attraverso l'autobotte militare era apparso un grande risultato amministrativo.
 Il  tam-tarn  che si rincorreva nelle campagne,  che echeggiava nelle orecchie  di chi voleva ottenere  qualcosa era sempre  lo stesso: ,"Fare come  a Colle
Leo". Pertanto  anche  a Colle Antico si andò a costituire  un Comitato  di cittadini che si riunì attorno alla fìgura di Mimmo  Anelli. Consigliere  Comunale dal 1952, stimato  da tutti. Era persona saggia  e sperimentata  già in altre occasioni,  come quando si trattò di portare l'energia  elettrica nella sua contrada.  La sua presenza era sufficiente garanzia della serietà di qualsiasi iniziativa si prendesse.
 Dopo lunghe  ed estenuanti riunioni, finalmente si riuscì a conoscere il numero dei cittadini interessati all'ampliamento  della rete idrica. Si stabilirono ipotesi tecniche e fìnanziarie  di riparto per ogni zona e per ogni singola famiglia.
 Era un lavoro  molto complesso, altrettanto  delicato, durante il quale si doveva assicurare in ogni momento serenità, reciproca fiducia e molto senso pratico.
Grande era il bisogno  di acqua ed elevato fu il numero dei cittadini che aderirono all'iniziativa. Nel nostro territorio, infatti, su 5.074 abitazioni  solo 2.836 erano fornite di acqua  corrente. Per altre 254 rete idrica arrivava ai confini della proprietà. Fortunatamente  esistevano 1.331  pozzi. Pochissimi furono i cittadini che si estraniarono da questo fermento.
 Il Comitato, attraverso  contatti  con il  Comune,  riuscì ad ottenere  che l'Amministrazione comunale realizzasse la condotta dal serbatoio  fino alla zona
abitata dalle famiglie Bruni, Anelli, D'Annibale, perché la più abitata.
Per altre località si convenne che il Comune  avrebbe sostenuto  il costo dello scavo mettendo  a disposizione i propri idraulici, mentre i cittadini avrebbero provveduto ad acquistare  le canne idriche. Coordinatore  per questa attività sarà Giovanni Percili che insieme ad altre persone  del Comitato  sarà responsabile della trattativa con la ditta fornitrice e del collegamento  con gli uffici comunali.
 Come appare chiaro attraverso  la lettura di queste  pagine c'era su tutto il territorio  comunale,  al centro, come in campagna,  molta speranza;  era un momento  in cui il rapporto  fra amministratori ed amministrati era molto vivace e costruttivo. La gente partecipava e discuteva con passione,  non chiedeva mai cose impossibili ma interventi che potevano ragionevolmente  essere realizzati.
 Delegazioni  di Comitati  furono presenti nelle discussioni preparatorie alla elaborazione del bilancio di previsione  del 1972, approvato poi il 30 ottobre del
I971. Nella stessa seduta il Consiglio Comunale deliberò all'unanimità  il riassetto del personale, atto molto utile perché mise ordine,  per la prima volta,
nell'interno degli uffici e dei servizi.
 Sempre nella stessa,  si posero le basi di tre importanti realizzazioni:  il archeggio  antistante  la stazione ferroviaria, la circonvallazione di via Gaeta  e  il
serbatoio idrico in località Acqua Santa,  necessario per rifornire d'acqua gli bitanti  della stessa  contrada  e quelli di Colle Leo. Opere compiute e progetti  da avviare, dunque, si inseguivano costantemente  in una situazione  cittadina  molto dinamica.


La sezione socialista,  finalmente, decide.

 Non deve essere dimenticato, però, I'impegnativo colloquio  tenuto a Surpino ncl mese di agosto  con Matteo Maura, quando insieme al Vice sindaco
Papetti  disegnammo  il futuro della coalizione. Ci sentivamo  impegnati, pertanto, nell'evoluzione  del quadro politico in modo che nella Giunta Comunale fosse presente la rappresentanza  legittima della sezione socialista.
 Inoltre, è il caso di puntualizzate  che nella prima seduta del Consiglio Comunale, all'indomani  dell'estate,  il Consigliere Orazio Trotta comunicava che Rinaldo Cinque  era ritornato a far parte del gruppo DC. Ciò era stato previsto: la dichiarazione  che l'accompagnava  era breve, imbarazzata e priva di qualsiasi motivazione.
 E' ancora più importante  riportare che alla fine del mese di ottobre Lucio Giovannone, Walter Apruzzese  e Dante Diana si dimettevano dalla loro carica  di Assessori.  L'atto non esprimeva  un contrasto  con la coalizione  o l'apertura della crisi ma rappresentava  solo la precondizione per rientrare  nel partito e partecipare paritariamente  ad altri alla discussione  che si andava ad aprire nell'interno della sezione  socialista.  Con le dimissioni volevano  dare la possibilità al loro partito di affermare  il proprio primato, scegliendo i futuri Assessori.
 La discussione  e la scelta in seno al PSI anche  in questa occasione  non fu facile nè rapida, comunque, dovette tener conto dei fatti nuovi determinatisi  nel corso dell'anno,  poichè la coalizione che governava il Comune. in poco tempo aveva ottenuto risultati positivi, svolgendo la propria  attività fra nuove speranze e in un clima di accresciuto consenso.
 Nella sezione del PSI si riaprì il dibattito: c'erano persone che ritenevano fosse necessario aderire senza toccare  gli assetti generali; altri pensavano di <<punire>> i socialdemocratici  privandoli dell'Assessorato  ai Lavori Pubblici, altri ancora ritenevano di escluderli  dalla maggioranza.  Vi  furono  tre mesi di discussioni interne, che fortunatamente non frenarono l'attività  programmata dell'amministrazione; fino a quando la sera del 3 febbraio, proprio  mentre  stavo uscendo dall'Ospedale,  ove da qualche  ora era nata mia fìglia Natalia,  appresi da Gererdo Masocco,  militante  socialista, notizie molto soddisfacenti.
 Gli argomenti  che mi espose  furono pochi ma di grande rilievo. In sostanza mi annunciava  che nell'interno del PSI si andava  affermando  una maggioranza che  intendeva aderire  ad una Giunta, che egli chiamava di sinistra, senza  mettere in discussione l'alleanza in corso.
Anticipò, inoltre, alcuni punti programmatici  molti interessanti: rafforzava la nostra tesi sulla fine di ogni politica di tipo clientelare e la necessità  di avere come punto  di riferimento le novità che andavano emergendo  con la nuova funzione  della Regione; riteneva, inoltre, necessaria la richiesta allo stesso Ente del finanziamento  per espropriare ed urbanizzare  le aree 167, indicata dal Programma  di Fabbricazione e la sollecitazione per le stesse di interventi di costruzione  per le case popolari; ipotizzava  il passaggio  della Metalfer Fias alle Partecipazioni Statali e auspicava iniziative per la costituzione del Consorzio Regionale  dei Trasporti.
 Le cose di cui venivo messo a conoscenza erano veramente nuove e positive.
Geraro Masocco  aveva parlato, inoltre, come persona che si apprestava a diventare  segretario  di sezione. Era stato un incontro,  dunque,  per quanto "casuale" fatto con ufficialità  da pari a pari.


Si afferma  un nuovo ceto politico.

La discussione  aveva dimostrato  che il PSI cercava di rinnovarsi  nella formulazione del programma. nella presenza  dei propri uomini in Giunta e nella guida della propria sezione.
La situazione era veramente  in movimento  e stava  per concludersi con un esito straordinariamente  positivo. Le notizie anticipate da Gerardo  Masocco rappresentavano  il portato di un sommovimento  presente  nella società ceccanese e delle sue forme di lotta e di partecipazione, in grado oramai  di influenzare  la vita dei partiti.
 Nel PCI, infatti. il  processo di rinnovamento si andava consolidando definitivamente. Il 1 ovembre c'era stata una riuscitissima  assemblea di donne con Licia Perelli. la cui relatrice era stata la giovanissima Anna Elisa De Sanctis.
 Due giorni dopo la conversazione  con Masocco, nella sala consiliare  ci  fu una riunione  promossa dal Comune con la partecipazione  di Vincenzo Magni, docente  presso il Liceo Castelnuovo di Roma. II tema dell'iniziativa riguardava la violenza fascista nelle scuole, ma si discusse  anche della necessità  di creare l'Università di Cassino e dell'importanza a Ceccano della presenza  della succursale dell'Istituto Tecnico Commerciale  di Frosinone.  L'incontro  mise a confronto 24 docenti, 30 studenti  e delegazioni operaie dell'APD, Metalfer e Klopman.
 Questo avvenimento rappresentò  un momento nuovo ed importante, espressione di una unità che andava  maturando e di una ricerca  di piattaforme comuni. La riunione rivelò un gruppo  di uomini e di donne, non solo ceccanesi, che si affacciavano  alla vita politica. Non posso fare a meno di ricordare che fra coloro che avevano  curato l'iniziativa c'era il  professore  Domenico  Proto,  docente presso l’ITC di Frosinone,  amico carissimo, prematuramente scomparso.
Nel MSI locale, durante l’estate, per fronteggiare  «il pericolo  comunista>> c'era stato un cambio di guardia e l'avanzamento  dei giovani in posti di responsabilità  di cui Franco D'amico  era la più eloquente espressione.
 Nella DC il processo di rinnovamento appariva più lento, ma ormai avviato.  Aldo Maliziola si impegnava  in Consiglio Comunale su tematiche urbanistiche preparando  le sue teorie sulla città-territorio.  Annunciava chiaramente di voler rompere nell'interno  della sezione la vecchia diarchia  Piroli-Battista,  cercando di costruire,  infatti, una terza forza.
 Orazio Trotta  era l'altro Consigliere  emergente,  autonomo, forte di nuovi consensi.
Nell'interno della sezione bianco-scudata,  inoltre, si andavano affermando Peppino Naraldi,  Enrico Gigli, Gabriele Angelini,  Tommaso Bartoli e Angelo Vespasiani. Sarà quest'ultimo, qualche anno più tardi, a sostituire Francesco Battista  come segretario della sezione.
 In tutti i partiti si stava affermando  un nuovo personale  politico. Le lotte sociali e politiche  in corso avevano  aperto una fase nuova.  È in questo contesto che il 26 febbraio, finalmente, si riunì il consiglio  comunale,  per eleggere tre Assessori, espressione ufficiale del PSL Dopo un tentativo di Maliziola  di rinviare  le nomine, vennero designati Michele Loffredi,  Matteo Maura, Walter
Apruzzese.
 La maggioranza era formata  da 10 consiglieri appartenenti al PCI, 5 al PSI,  2 al PSDI, più il Sindaco Piroli.
 AII' inizio del 1972 i residenti nella città erano 18.875 fortunatamente non si erano verificate ondate emigratorie. L'attrazione  verso Roma capitale o verso realtà extra nazionali era stata scongiurata.
 Arrivati a questo punto, i ricordi che ho riportato, per problemi  di economia  e di opportunità,  si debbono arrestare al 28 febbraio. Va altresì precisato che con questa  data non si esaurisce  un ciclo, cioè la fase caratterizzata dalla partecipazione  e dall'impegno, in quanto questa  costituisce  solamente la prima tappa di un lungo percorso  che si allungherà nel tempo ancora per tutti gli anni Settanta.
 Per i più interessati alle cronache  ed agli sviluppi che ho finora descritto preciso  che in quei giorni il  Presidente  della Repubblica  aveva affidato  ad Andreotti  il compito di formare  un nuovo governo. Il tentativo non era riuscito e si andava  così verso le elezioni politiche  anticipate.
 La nuova coalizione  comunale, arricchita  dai programma socialista anticipatomi da Masocco, andrà avanti  speditamente per altri sette mesi ma poi l’ esperienza  verrà interrotta.
Il governo di centrodestra  Andreotti-Malagodi,  formato dopo le elezioni sarà più forte dell'esperienza  ceccanese. Andreotti,  infatti, in poche settimane sarà in grado di sedare i dissensi nella DC su tutto il territorio provinciale,  in particolar  modo a Ceccano come a Roccasecca  ed a Monte S.Giovanni  Campano.
 I1 consigliere  Antonio Masi, così come aveva  fatto cinque, si apprestava a ritornare nella DC. Alla fine di gennaio del 1973 anche  Piroli rientrerà nella DC e verrà eletto nuovamente Sindaco da una coalizione di centrosinistra.
Fino al  1915 ci saranno maggioranze consiliari  deboli e traballanti ma i processi politici avviati  frii i cittadini non si interromperanno,  andranno ugualmente  avanti. Le lotte e le richieste della popolazione saranno  sempre  più estese e pressanti.
 Sono passati pochi anni da quando Gimì in modo solitario aveva cercato di  affermarla sua verità e aveva  dato la sua risposta al manifesto  missino. Da quella sera erano avvenuti nella società  cambiamenti  sempre più profondi.
 Molti altri ne avverranno: nella mentalità corrente,  nei rapporti fra uomo e donna,  in campo sociale e politico ma ancor di più non può essere  sottaciuto quello  che rappresentarono  alcuni anni dopo il voto ai diciottenni, il nuovo diritto di famiglia, i decreti delegati per la scuola  ed in particolare,  proprio a Ceccano, l'istituzione da parte del Comune del Consultorio,  del servizio riabilitativo per gli handicappati  e la distribuzione gratuita dei libri a tutti gli studenti della scuola media.
 La concezione  che si andava  affermando  a Ceccano e successivamente anche altrove  era quella che i problemi potevano  essere  risolti solo attraverso la lotta comune. La solitudine e la disperazione erano condizioni e sentimenti  che sembravano  non esistere  più. Tutti gli anni settanta saranno  caratterizzati  da una tale esercitata solidarietà,  fertile ed appagante.
 Con la lotta, l’organizzazione e gli obiettivi posti emergevano anche il rifiuto ad accettare a scatola chiusa le gerarchie  precostituite  ed a far rimanere le cose così come stavano.  Si sviluppava con il procedere  del tempo, la speranza  di poter cambiare  le cose  e  questo si rilevava ogni giorno di più, coinvolgendo sempre  nuove persone.  Fu questa la molla che spinse tanti cittadini  a rompere  con il conformismo  ed a gettarsi  sempre  più decisamente nella "mischia".  Fu un fenomeno  che come si ò visto aveva impegnato  all’ inizio un ristretto gruppo  di persone ma successivamente  coinvolse le sezioni  di tutti i partiti, fino a diventare un ampio e profondo  fenomeno cittadino,  selezionando  e facendo  affermare così un nuovo ceto politico.
 Il periodo scelto rappresenta l'alba di una aurora che stava  sorgendo e che ha illuminato  la nostra città fino agli inizi degli anni Ottanta.
 È importante  osservare come nel periodo descritto attorno ad una piccola o grande  questione posta, ogni forza politica affermasse la propria  posizione ed esprimesse  il proprio giudizio. Era tutta la città, pertanto ad essere coinvolta, a discutere, a prendere posizione, a dividersi ed a ricomporsi. Non esistevano dunque avanguardie  isolate, pensatori  inascoltati. Apparivano  sulla scena, al contrario,  persone semplici  e modeste che esprimevano  questo sommovimento  e rappresentavano una coralità di sentimenti  e di speranze.
 Io mi auguro solamente  che i motivi che mi hanno  indotto a riportare gli avvenimenti e la grande tensione ideale che li  caratterizzò, anticipati  nella premessa,  siano stati ben delineati e resi comprensibili.  Ogni lettore, inoltre. Potrà responsabilmente ed autonomamente  giudicare  se è valsa la pena per tanti come me prodigarsi in un impegno  politico così intenso e quotidiano.
 Verranno  stagioni che indurranno in molti di noi una delicata nostalgia quell'agire  forte e generoso, per molti sicuramente  altruista. Anche questa volta non mancheranno  storie appassionanti  di donne e di uomini che qualcuno, al più presto, mi auguro vorrà ricordare.


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