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27 MAGGIO 2017. INTERVENTO DURANTE L’INCONTRO ORGANIZZATO DALL’ANPI, CGIL, CISL, UIL, A 55 ANNI DAI FATTI DI CECCANO E DALLA MORTE DI LUIGI MASTROGIACOMO, OPERAIO DEL SAPONIFICIO ANNUNZIATA.
Ci incontriamo dopo 55 anni dagli avvenimenti che la stampa nazionale definì i Fatti di Ceccano e dalla morte di Luigi Mastrogiacomo, operaio del saponificio Annunziata.
Quel maggio del 1962 epico, generoso e tragico formò una generazione di ceccanesi mettendola di fronte al più lungo e aspro conflitto di classe sopportato dalla Città, evidenziò un eccezionale spirito unitario dei sindacati e delle forze politiche, oltre che la robusta saldatura stabilita dall’Amministrazione comunale con i cittadini.
Una Vertenza durata 41 giorni
Uno sciopero iniziato alle 10 di sera del 25 aprile e conclusosi il 5 di giugno con l’accordo sottoscritto fra le parti in sede ministeriale, di fronte al Ministro Bertinelli.
Una Vertenza durata 41 giorni, sostenuta da due unanimi scioperi cittadini, da donazioni di denaro proveniente dai cartai di Isola del Liri e Ceprano, dai dipendenti della BPD di Colleferro, Ceccano e Castellaccio, da una lunga lista di sottoscrittori e non per ultimo dal credito che tutti i commercianti accordarono alle famiglie degli operai in lotta. Oggi vogliamo ricordare.
E’ un atto doveroso sia verso Luigi Mastrogiacomo e la sua famiglia sia nei confronti dei feriti, dei contusi, dei manganellati e della popolazione che tale lotta sostenne. Ma non solo. Proviamo anche a ragionare e attualizzare, se possibile confrontare ieri e oggi. Innanzi tutto partiamo dal fatto, dall’argomento, dall’oggetto della disputa, dai motivi di quel conflitto: il Premio di Produzione. Nell’interno del saponificio la produzione giornaliera del sapone passò da 2.500 quintali del 1959 ai 5.000 quintali del 1961. Vennero aperte in Italia 14 filiali e su tutto il territorio nazionale venne estesa e capillarizzata la rete di vendita. Il fatturato annuale risultò essere di trenta miliardi di lire mentre il Bilancio 1961 si chiudeva con ben 7 miliardi di utile. Ecco, 7 miliardi: quanto di tale eccezionale somma doveva tornare in termini retributivi ai dipendenti ? Questa infatti era la questione aperta.
Prima di andare avanti vanno precisati due aspetti: già nell’accordo con la Commissione Interna sottoscritto nel settembre 1961 l’azienda aveva concordato di essere disponibile a pagare il Premio di Produzione a cominciare dal 1 gennaio 1962. Un accordo prima aziendale che diventa nazionale a febbraio. Esistevano, dunque tutte le motivazioni normative per chiedere il rispetto degli accordi.
Dal mese di febbraio i sindacati trattavano con l’azienda. Sembrava sempre che da un momento all’altro si dovesse aprire la discussione per quantificare l’entità del Premio di produzione ma nel momento conclusivo i rappresentanti dell’azienda trovavano sempre un motivo per rinviare. E’ dopo tanti inutili tentativi che il 25 aprile del 1962 si incomincia a scioperare.
Il saponificio Annunziata in quel periodo occupava 537 operai e 21 impiegati. Lo sciopero una volta proclamato presenta però alcune situazioni di grande difficoltà: 54 operai non aderiscono e rimarranno giorno e notte in fabbrica a lavorare. Nello stesso tempo attorno ad Annunziata scattano tanti piccoli e grandi meccanismi di sostegno e protezione. Nessuna autorità sanitaria certifica le condizioni igienico-
Le sei persone entrate al mattino escono la sera alle ore 18, accompagnate dagli inevitabili fischi, protette e condotte nelle loro abitazioni con le macchine dei carabinieri, trasformate in taxi. La tensione e l’affollamento aumentano quando da Roma arrivano i pendolari che dalla stazione ferroviaria transitano davanti alla fabbrica a piedi o in bicicletta. Anche per loro è divenuto un dovere fermarsi, ascoltare e solidarizzare.
La violenza riferita nel dibattito alla Camera dei Deputati
Sono le ore 19: arriva un grosso automezzo che da Borgo Berardi procede con grande difficoltà lungo la strada gremita di persone. Secondo l’on. Compagnoni, così come illustra nel suo intervento del 14 giugno alla Camera, una parte dei presenti deve spostarsi verso la fabbrica (una trentina) per lasciar passare il camion. Tale spostamento li fa entrare in contatto con i carabinieri e immediatamente volano parole grosse. E’ opportuno, per capire meglio le dinamiche che si stanno sviluppando, riportare quanto Compagnoni dirà nel suo intervento alla Camera:
"A questo punto io, il segretario provinciale della CISL e altri dirigenti sindacali che eravamo presenti, ci avvicinammo per cercare di allontanare questo gruppo di 25-
Questa importante testimonianza può essere arricchita da altri particolari: i dirigenti sindacali colpiti alle spalle sono Giuseppe Altina e Nicola Sferrazza della CISL. Fra gli spintonati vi sono tre giovani: Luigi Santodonato, Franco del Brocco e Aldo Maliziola. L’operaio Angelo Roma per coprire il corpo di Compagnoni si ritrovava la scapola fratturata da un fucile usato come clava. Scaraventato a terra, rimane svenuto, si riprende ed è trasportato in ospedale dal figlio Orazio, arrivato successivamente in suo soccorso. Lo stesso Compagnoni rimane ferito da un colpo di calcio di fucile alla testa e al labbro superiore. Va ricordato che in questa fase nessun Commissario di polizia indossa la fascia tricolore, non ci sono inviti ad arretrare, non si ode lo squillo di tromba per annunciare la carica. Dilaga e cresce purtroppo una violenza feroce e ingiustificata. Ai colpi di bandoliera, di calcio di fucile e di manganello si aggiunge il lancio di candelotti. La parte bassa della città è colpita, offesa e sconvolta.
Dopo 45 minuti il piazzale antistante la fabbrica è sgombero, non esistono rischi di assalto al saponificio, ma i cittadini non ritornano a casa, si organizzano e iniziano a lanciare sassi e a preparare barricate sul ponte della ferrovia e sul ponte del Sacco. Nell’aria è presente tanto fumo e si respira l’odore acre dei candelotti lacrimogeni, ma ancora non si spara.
Quando stanno scendendo le prime ombre della sera senza alcun motivo si incomincia a sparare. Gli inermi cittadini non si disperdono ma rimangono raggruppati su tre aree: piazza Berardi, Borgata e via S Francesco. Si fa fuoco in tutte le direzioni. Non sono in grado di documentare l’ora esatta e l’ordine cronologico dei ferimenti ma posso affermare che il primo a cadere sotto un lampione e vicino ad un platano su via San Francesco è proprio Luigi Mastrogiacomo, 44 anni iscritto alla CISL che lascia la moglie Francesca Savone e due figlie Fabrizia e Felicia.
La tragica serata non si chiude solo con la morte di Luigi Mastrogiacomo ma anche con sette feriti gravi ricoverati all’ospedale di Ceccano: Vincenzo Cipriani, Angelo Cicciarelli, Remo Mizzoni, Vincenzo Bovieri, VincenzoMalizia, Angelo Roma, Francesco Celenza, uno a Frosinone Attilio Del Brocco e 40 medicati negli ambulatori medici di Filippo Apruzzese Nazarena Vona e Francesco Panfili.
Una lotta che si dimostrò esemplare e quel sacrificio che non fu invano ma divenne lievito e sviluppo per lotte successive e per altre conquiste.
Una lotta durata 41 giorni che divenne un tratto caratteristico e identitario della Città di Ceccano. Si trattò di una Vertenza prima provinciale e poi nazionale, tale da condizionare i rapporti fra i partiti del costituente centro sinistra, in grado di indurre lo stesso Presidente del Consiglio Fanfani ad impegnarsi in prima persona e contribuire a definire positivamente la difficile Vertenza.
2 giugno Fanfani inaugura il tratto di autostrada Frosinone – Capua, si incontra con rappresentanti della sua corrente e si impegna ad intervenire. Il 5 giugno in sede ministeriale finalmente si raggiunge l’accordo.
Perché dobbiamo ricordare sempre
Ricordare Luigi Mastrogiacomo e i Fatti di Ceccano di quell’epico e tragico maggio 1962 vuol dire far conoscere come tutti i partiti della Città vollero rappresentare il lavoro. Credo altresì essere doveroso ricordare i sindacalisti Malandrucco, Sferrazza, Berardinelli, Gabriele e Altina, i membri della Commissione Interna, ma anche il sindaco di Ceccano, Vincenzo Bovieri, l’onorevole Compagnoni, il coordinatore del Comitato cittadino di solidarietà Peppino Masi, tutti i consiglieri comunali. Si trattò di una rappresentanza politica del lavoro esercitata con determinazione e coerenza.
Non a caso uso il termine rappresentanza politica del lavoro, un modo di fare dimenticato, desueto, oggi, forse difficile da capire ma che per chi afferma di stare veramente dalla parte del lavoro dovrebbe essere la stella polare del proprio agire politico.
E’ vero che i tempi sono cambiati, le conquiste si stanno perdendo, lo stato sociale realizzato con tali lotte è minacciato e in via di smantellamento. Pensate un attimo al lavoro precario, sottopagato, agli 11 milioni di cittadini che non riescono a curarsi, alle lunghe file di attesa nei vari pronto soccorso e nei vari ambulatori pubblici. Ma anche alla resa culturale alla quale assistiamo, all’uso di termini che hanno perso di significato. Quante volte sentiamo usare i termini riformismo, ed allora pensiamo a Turati alla tradizione socialista ed altri termini quali riformatori e ci fanno pensare a Togliatti e a Berlinguer, quanti termini ingannevoli. Riformisti e riformatori pur con le loro differenze avevano una ancoraggio, un punto di riferimento solido: la classe operaia, il lavoro.
Quante volte sentiamo usare il termine europeismo. Bel termine, bellissima prospettiva ma a guardare bene anche questo termine è ingannevole. Europeismo non è quello del Manifesto di Ventotene, quello di Artiero Spinelli non è quello di De Gasperi, Schuman o di Adenauer ma quello della Troika, dei tecnocrati che quando vengono a chiederci di fare le riforme non vogliono provvedimenti buoni per noi normali cittadini ma vengono a sollecitare precarietà e meno diritti sociali.
Guardate l’uso che si fa del termine globalizzazione. Oggi dopo un lungo periodo in cui il fenomeno sembrava assicurarci benessere e felicità si nota un ripensamento ma anche un uso furbastro e strumentale. Qualcosa di incombente, di inevitabile . Il termine viene usato per coprire e giustificare le cose peggiori che accadono in ogni parte del mondo.
Io non ho gli strumenti per proporre modi come fermare tale fenomeno, indubbiamente invasivo e difficile da fronteggiare. Premesso questo mi sento di riprendere quello che diceva Nelson Mandela: " Se è un fenomeno naturale come la pioggia e il freddo, tali da non potere essere eliminati come le stagioni, ma se sappiamo che dovrà piovere è compito dei governi assicurare l’ombrello e se farà freddo qualcuno dovrà pure procurarci il cappotto ".
Aldilà della metafora chiedo e vi chiedo quali sono i provvedimenti per fronteggiare tali eventi catastrofici.
Se i provvedimenti non esistono allora bisogna pretenderli. Certo oggi ricordiamo e commentiamo ma teniamo presente che sul Ponte c’è un Monumento che ricorda quel sacrificio. E’ stato istallato nel 2001, è opera del Maestro Antonio Greci, voluta dall’amministrazione comunale guidata da Maurizio Cerroni. L’iniziativa di oggi e quel Monumento non solo vogliono ricordare ma anche ammonire, vogliono dire che non si vive di rendita. Le conquiste vanno difese. Le lotte vanno adeguate al tempo ed alla realtà che cambia. Ma dobbiamo sapere che a ispirarle debbono rimanere i valori di sempre: uguaglianza, solidarietà e giustizia sociale.