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E’ certamente vero che non si può vivere solo di passato, ma è altrettanto vero che senza passato non si vive. Questo principio rende fiero ed orgoglioso ogni popolo della terra, che affronta il suo quotidiano divenire con la forza delle proprie radici, guardando sempre avanti verso la luce di orizzonti migliori. E’ l’albero del tempo, che in ogni stagione della vita fiorisce e fruttifica, offrendo alle nuove generazioni, che si affacciano all’alba del loro tempo, la possibilità di affrontare la strada della vita con la consapevolezza di avere una ricca eredità lasciata dalla storia di chi ha già superato la prova del suo tempo. E’ bello, dunque, e soprattutto educativo, avvicinarsi a questa attenta, scrupolosa e significativa ricerca che i nostri Soci Lucia Fabi e Angelino Loffredi hanno svolto in quest’ultimo periodo.
Con amore del vero certosino, paziente e scrupoloso, hanno saputo scavare tra la polvere della storia e fra le nebbie della mente di quei pochi che ancora oggi possono raccontare quell’immane tragedia che fu la seconda guerra mondiale, con riferimento a quei drammatici bombardamenti che sconquassarono la nostra amata terra di Ciociaria e la Città di Ceccano: quel terrificante periodo che va dal mese di ottobre 1943 a maggio del 1944.
Un grazie sentito e caloroso, allora ai nostri due Soci da parte del Direttivo Dell’Associazione Culturale Fabraterni per la significativa, nobile ad alta testimonianza, che serve ad ogni uomo perché capisca una volta per tutte ciò che non si deve fare……!
Associazione Culturale Fabraterni
Il Presidente e il Direttivo
Ennio Serra
Il 12 ottobre 1943, dopo la liberazione di Napoli ad opera dei cittadini va ricordato lo sfondamento da parte degli eserciti alleati di quella che veniva chiamata in termini militari " Linea del Volturno".E’ ugualmente importante sapere che il 13 ottobre l’Italia dichiara guerra alla Germania. E’ un atto significativo che aiuta a fare chiarezza ma risulta essere solamente politico, anche perché ancora non esiste un esercito.
La popolazione ceccanese, pur vedendo bombardare la città di Frosinone e pur essendo ben informata delle notevoli distruzioni e dell’elevato numero di vittime, spera ancora che alla propria città non venga riservata la stessa infausta sorte.
Tra i cittadini c'è molta preoccupazione ed angoscia tuttavia sfugge qualcosa in termini di consapevolezza: non si ipotizza ancora ciò che la guerra si appresta concretamente a procurare. In tutta la sua storia millenaria, se escludiamo i morti del 1918 dovuti alla epidemia di «spagnola», Ceccano non ha conosciuto terremoti, non è stata mai distrutta né bruciata e non è stata mai schiacciata dal dominatore straniero. Proprio perché la popolazione ha vissuto per secoli in pace e non ha mai subito violenze o assistito a stragi umane, sono molti quelli che pensano, o meglio si illudono, che i bombardamenti devono riguardare solo Frosinone in quanto città capoluogo di provincia.Anche per questo alcuni di quelli che da Ceccano hanno assistito, come da una platea ai bombardamenti su Frosinone, lo hanno fatto con animo quasi distaccato, immedesimandosi nella tragedia solo in parte.
" C’erano stati bombardamenti su Frosinone che i Ceccanesi guardavano quasi come si assiste a uno spettacolo nei punti di osservazione migliore. Anche io assistetti a bombardamenti su Frosinone e ne ho una immagine vivissima. Li andavamo a vedere su Belvedere. La gente di Ceccano non so perché era convinta che qui non ci sarebbero mai stati i bombardamenti. Il pensiero prevalente in circolazione era questo:" ma cosa vengono a bombardare a Ceccano ?".Dal nostro punto di osservazione riuscivamo a vedere bene anche i piloti per come gli aerei volavano bassi".
L’assalto al magazzino dell’ammasso
Nei mesi di settembre e ottobre, insomma, molti sono quelli che ancora sono convinti che Ceccano non costituisce un punto strategico da colpire non considerando invece che sul territorio esistono una fabbrica di munizioni, uno scalo ferroviario e due ponti (sul fiume Sacco e sulla linea ferroviaria). La vita seguita così a svolgersi in un modo tale che tutto ormai è considerato regolare pur nell'anormalità, nel senso cioè che, ad esempio, i prodotti di prima necessità si acquistano razionati nei negozi con la carta annonaria e dopo aver fatto interminabili code. Alla fine del 1939, in Italia si incomincia a delineare concretamente tale prospettiva pur non essendo ancora in guerra: " E’ la fine del 1939 quando i podestà di tutti i comuni italiani ricevono la circolare numero 539 datata 23 dicembre: stabilisce le modalità cui attenersi nell’utilizzo di carte annonarie nel caso in cui si fosse dovuto attuare il razionamento dei consumi. Individuale, numerata, non cedibile, la carta annonaria è di colore blu vittoria per i bambini fino a 3 anni: di colore giallo-
La situazione alimentare si sta facendo sempre più grave. L’unica risposta che il commissario Giuseppe Patriarca può dare è quella di emettere il 21 ottobre un bando, di cui riportiamo il testo, in cui si ordina l’ammasso dei cereali, pena la requisizione, per cercare di fronteggiare questa emergenza:" Manca la farina! Allo scopo di evitare disordini Ordino la requisizione del 10% di grano, granturco e sfarinati. Tutti i detentori a qualunque titolo devono conferire entro domani tale quota al magazzino Parodi che ne pagherà l’importo. A suo tempo sarà fornita la tessera del pane corrispondente alla quantità conferita. Gli inadempienti saranno soggetti alla requisizione totale della quantità posseduta mediante intervento di squadre volontarie di azione " . Non conosciamo l’esito di tale bando, né siamo stati in grado di individuare i membri di tali squadre volontarie di azione.
Il cerchio militare si stringe sempre di più. Il 21 ottobre 1943, infatti un’incursione aerea, per colpire un insediamento tedesco presente vicino il campo sportivo comunale danneggia alcune case coloniche e causa un ferimento ed una morte. La vittima è Vincenza Maura di 25 anni, casalinga non sposata, residente in via Acqua Puzza. E’ colpita a morte alle ore 6 a ridosso del muro di cinta del campo sportivo comunale mentre va a pregare in chiesa.
E’ la prima vittima civile !
Tutti vivono ancora in paese, nelle proprie case ed a contatto con quel che resta dei propri beni. Questo avviene fino al tre novembre. Questo giorno, infatti, segna un momento importantissimo nello sviluppo degli avvenimenti che stiamo esaminando: dalla sofferenza della fame, dall'angoscia per l'incertezza che riguarda il futuro si passa, in un batter d'occhio, a toccare con mano la crudeltà e gli orrori della guerra. Due giorni prima c'era stato il bombardamento su Pontecorvo con la devastazione del cimitero, dell'ospedale, della cattedrale di S Bartolomeo. Moltissimi furono i feriti rimasti senza soccorso, 500 i morti e tanti fra questi che rimasero senza sepoltura.
Mercoledì 3 novembre 1943
Natalino Di Molfetta presente in quei giorni in Ceccano perché ospite presso la famiglia di Carmina Carlini in via Solferino ricorda che con i quattro fratelli Alfini e Enrico De Bernardis la mattina del 3 novembre, sotto la direzione tecnica dell’ingegner Alberto Bulgarini, stava predisponendo un ricovero presso il tiro a segno, struttura situata nelle vicinanze del Cimitero. Improvvisamente dalla montagna di Cacume vede arrivare squadriglie di cacciabombardieri. Da un aereo prima del passaggio sul Cimitero viene lanciato un razzo di color rosso.
La stessa descrizione viene riportata da Pasqualina Mastrogiacomo quando bombardieri B25 scortati da caccia fanno la loro comparsa sul cielo. Il loro obiettivo è quello di colpire il ponte sul Sacco. L’arciprete di Ceccano don Giustino Meniconzi in una lettera scritta al vescovo di Ferentino alcuni giorni dopo indica l’ora alle 10, 15. Gli aerei per tre lunghissime ondate buttano il loro carico di morte accanendosi su una popolazione inerme ed impreparata. Secondo il sacerdote le bombe sganciate sono venti. L’area colpita prevalentemente è quello riguardante Borgo Pisciarello, la zona di S. Pietro e l’allora Piazza Emanuele, ora Piazza 25 luglio; è infatti, in questa parte di Ceccano che vengono distrutte molte case, alcune delle quali situate proprio a ridosso della chiesa, la quale al termine delle incursioni risulterà avere la sagrestia completamente distrutta insieme ad una casetta attigua intestata alla prebenda parrocchiale. La chiesa di S. Pietro rimane in piedi ma presenta molte lesioni ed è pericolante. Ma altre distruzioni avvengono sul Ponte della Ferrovia e in via Cappella, viene colpito il giovane Antonio Carnevale di 22 anni. Trasportato dai familiari in ospedale vi morirà appena arrivato.
Sempre secondo don Giusto Meniconzi due bombe cadono vicino il palazzo Berardi e la ferrovia, un’altra dietro il manicomio sulla via Marano. Un allucinante spettacolo si presenta alla vista dei primi soccorritori: case completamente rase al suolo, edifici sventrati, macerie fumanti e pareti mitragliate. Stranamente questa tragica situazione non sollecita nei presenti azioni di solidarietà, ma incute solo terrore e desiderio di fuga, come se improvvisamente si fosse aperto un profondo baratro della crudele realtà. Grida di dolore e panico si mescolano alle invocazioni dei feriti ai quali solo pochi volontari cercano di prestare le prime cure. A poco serve il coraggioso conforto portato da due sacerdoti: don Alvaro Pietrantoni e don Getulio Sarandrea prontamente usciti dalla chiesa di S. Giovanni, ai quali si aggiungono alcuni padri passionisti della Badia di Ceccano.
Presso Borgo Pisciarello, un vecchio nucleo abitato, costruito a pochi passi dalla cintura urbana, entro un piccolissimo lembo di terra di pochi metri quadrati vengono distrutte le famiglie Maura e Cristofanilli. In questa direzione si muovono due giovani generosi per por:are soccorso: Ermete Ricci e Amedeo De Sanctis. Aiutano il povero Alessandro Cristofanilli a tirare fuori dalle macerie i resti della figlia Rosa e di due nipoti, tutti ormai deceduti. Suo figlio Mario ha preso, nel frattempo, fra le braccia I'altro nipote Luigi Maura di sette anni, gravemente ustionato. Il dolore per la perdita della sorella e dei nipoti (Giovanni e Giacinto Maura), la vista dell'altro nipote Luigi vivo, ma quasi irriconoscibile per le ferite, lo prostrano profondamente. Egli comunque cerca disperatamente con il bimbo in braccio di dirigersi verso l'ospedale. Il percorso lungo via Pisciarello si snoda su una salita ripida e difficoltosa. Va avanti per duecento metri circa, fino a quando arriva Dario Santodonato a rilevarlo da questa grave fatica. Santodonato a passi velocissimi supera la piazza e, attraverso via Villanza, arriva in ospedale . Ma qui, sia per Luigi che per gli altri feriti che stanno arrivando, le cure saranno scarse perché gran parte del personale al sentire l’esplosioni delle bombe si è allontanato. Il piccolo Luigi morirà dopo tre giorni fra atroci sofferenze.
Quel giorno la città è sottoposta a due bombardamenti e un mitragliamento. La conferma arriva da queste testimonianze " Quando arrivai alla Capocroce il cuore di mio padre ancora batteva ma il suo corpo era tutto sventrato. Con un mio amico lo appoggiammo su una scala e lo portammo all’interno della chiesa di S. Antonio. Mentre eravamo lì tornarono di nuovo gli aerei e questa volta iniziarono a mitragliare ".
Non molto diverso è il racconto di Giuseppina Bruni: "Mia madre scendeva da Ceccano verso via Marano, incontra uno zio all’altezza del ponte sulla ferrovia, il ponte dei Francesi, e gli chiese dove andava, lui gli rispose che voleva vedere cosa era stato distrutto dal bombardamento. Ma proprio sul ponte lo mitragliarono, era Angelo Strangolagalli .
Sempre don Meniconzi scrive che i malati gravi ricoverati presso l’ospedale civile vengono portati a Veroli. Le suore di carità non strettamente necessarie al funzionamento dello stesso sono trasferite presso la Badia. Natalino Di Molfetta ricorda ancora che subito dopo il mitragliamento, quando per aria c’era ancora fumo e polvere, con i suoi amici si diresse verso la Piazza. Arrivati qui trovarono alcune persone morte e un asino completamente dilaniato. Quelle immagini e la mancanza di altre persone infusero loro tanta paura da spingerli a ritornare alle loro case. Usciti di nuovo nel pomeriggio, ricorda di aver visto lungo via Magenta delle persone che su barelle e scale portavano i morti avvolti in lenzuoli nella chiesetta di S. Antonio.
Complessivamente i morti in seguito al bombardamento saranno diciotto: la cifra più elevata raggiunta a Ceccano in una sola giornata di guerra. Il giorno successivo, lo scenario si presenta ancora più desolante: parecchi cadaveri sono raccolti presso la chiesetta e non sono nemmeno chiusi nelle bare; sono posti sul nudo pavimento quasi a mostrare le mutilazioni, i vestiti intrisi di sangue e le membra martoriate.
Forse perché la popolazione è rimasta terrorizzata ed esterrefatta da una crudeltà tanto inaspettata, poche sono le persone presenti al rito funebre officiato da don Vincenzo Misserville. Al termine dello stesso, lt Checco Carlini eFilippo Misserville, preceduti dal sacerdote con il crocifisso ben proteso in alto, portano al cimitero su di una barella i resti delle vittime. Una scena che si ripeterà più volte in quanto i due, rimasti soli, mossi da umana pietà, avranno l'ingrato compito di raccogliere, a mani nude, i resti dei corpi mutilati. E’ da rilevare inoltre un fatto che dimostra come in quelle tragiche circostanze si potesse arrivare a delle decisioni che non avevano né il senso della misura né del ridicolo. Leggendo il verbale delle deliberazioni del commissario prefettizio, Giuseppe Patriarca, si scopre che il 23 dicembre viene dato "Un premio di attaccamento al dovere di £ 500 e di £ 400 a due vigili urbani" non, come si potrebbe immaginare, per I'aiuto dato ai feriti o per lo sgombero delle macerie o per altre simili motivazioni, ma «poiché hanno provveduto», sempre in quel tragico giorno, al recupero dei mobili della Casa del Fascio .Ogni commento su questa delibera è superfluo.
Lo sfollamento
Subito dopo il bombardamento e nei giorni successivi, gran parte degli abitanti del centro urbano lascia le abitazioni e si dirige verso le campagne per cercare un rifugio sicuro, lontano dagli obiettivi militari. Al cittadino che in quei giorni attraversava le vie del paese si presentava uno spettacolo allucinante: lungo le stradine del centro (via S. Antonio, via Cappella, Borgo S. Martino, via Bellatorre, Borgo Pisciarello) fra le macerie e le case sventrate si udiva solo il mesto passo di chi le percorreva. Ovunque le porte delle abitazioni ancora integre sono sprangate e le serrature girate a doppia mandata; qualcuno prima di andar via ha addirittura pensato di murare e sotterrare i beni più preziosi. Nelle case mutilate il vento fa sentire il cigolio di qualche finestra o fa battere qualche porta; i gatti nervosi e miagolanti, anch'essi increduli, si muovono alla ricerca di un luogo sicuro. Qua e là ogni tanto si avverte I'acre puzzo della morte, in alto si sentono i battiti d'ala dei piccioni torraioli che volano radenti, quasi impazziti per la perdita del nido. Ovunque lo sguardo si posi appare mestizia; quella parte che per secoli aveva rappresentato il cuore pulsante di Ceccano, frequentata da allegre compagnie, straripanti di vivacità e di una inesauribile voglia di vivere, non è più la stessa. Inizia così lo sfollamento di intere famiglie che, raggruppate alla rinfusa le poche cose essenziali, si dirigono verso la campagna in cerca di un rifugio più sicuro. Ha così inizio la convivenza con le famiglie contadine che si mostrano generose nell'accogliere i concittadini nelle loro misere abitazioni, tutt’altro che confortevoli. Settanta anni fa infatti, non dobbiamo dimenticare che le abitazioni di campagna non erano dotate di servizi così come oggi siamo abituati a vedere. All'epoca erano quasi inesistenti le case in muratura. I contadini abitavano in case di legno, dotate di una finestra larga cinquanta centimetri circa o in stretti pagliai senza finestra con soffitto a cono fatto di paglia impastata con sterco di animali con una sola apertura al centro. Non esisteva luce elettrica e ci si arrangiava con il lume a petrolio. Mancava ogni servizio igienico e si beveva solo l'acqua dei pozzi. Spesso lo spazio per dormire risultava talmente ristretto da essere riservato solo alle donne ed ai bambini mentre gli uomini dormivano nelle stalle. I più fortunati dormivano su materassi di" scartocci" fatti con foglie secche di granoturco, altri invece su di uno strato di paglia che ogni mattina veniva rimosso ed accantonato per essere riutilizzato la sera successiva. Sin dai primi giorni le condizioni di vita risultano essere di gran lunga più disagiate rispetto a quelle del paese. In tutti, comunque, c'è la speranza di un breve stato di precarietà e che i disagi possono durare qualche settimana o tutt'al più un mese; questo favorisce lo spirito di tolleranza e comprensione fra le persone. Purtroppo le cose non andranno così. L’avanzata alleata sarà contrastata sia per la natura impervia del terreno e per le proibitive condizioni atmosferiche che per la forte opposizione tedesca.