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Marocchinate-I giorni del dolore

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MAROCCHINATE
I GIORNI DEL DOLORE

Nel 1944 il passaggio della guerra nella nostra zona, causò non solo sciagure sulle persone e cose ma interessò in modo cruento e drammatico le donne del nostro territorio.
Mi riferisco alle "marocchinate", termine impropriamente usato perchè gli stupri e  le violenze furono commesse non solo da truppe marocchine ma  anche da soldati algerini, tunisini e di altre nazionalità africane.
Per chiarire meglio l’argomento che questa sera descriverò penso  sia il caso di specificare storicamente e militarmente la situazione che si svilupperà in quei mesi del 1944, sul fronte di Cassino.
Dopo tre cruente battaglie gli alleati aggirano la Linea Gustav presso la foce del Garigliano per procedere verso Roma. Il nostro territorio, dal Tirreno fino al corso del Liri prima e del Sacco successivamente, sarà percorso dalle truppe americane e da quelle francesi; dalla riva sinistra dei fiumi e fino alla  strada Casilina, da soldati canadesi; procedendo verso est, da truppe inglesi e poi da truppe neozelandesi ed australiane.
Le violenze carnali subite dalla popolazione ad opera dei militari appartenenti al Corpo di Spedizione Francese ( CEF),  avvenute durante l’inverno sotto le Mainarde, successivamente dal fiume Garigliano e fino ai territori della Ciociaria, lungo i monti Lepini occidentali e orientali, sono state moltissime.
Ufficialmente non esiste una documentazione che definisce in modo preciso, il numero complessivo di tali crimini. Nel corso degli anni si è tentato di fare una stima, ma il numero è stato sempre diverso se dichiarato dal governo francese o dallo Stato italiano, dalle domande di pensione o di sussidio richieste dalle donne violentate o dal numero delle erogazioni e dei risarcimenti ad esse concesse.
In considerazione della gravità degli avvenimenti e delle loro conseguenze, ritengo che conoscere il numero esatto delle violenze diventi poco rilevante rispetto ai gravi danni causati alle donne che subirono violenza con conseguente annientamento e  perdita della dignità della propria persona.
Un’informativa che il comando generale dell’Arma dei carabinieri, sin dal 25 giugno 1944, invia alla Presidenza del Consiglio fa presente che nei comuni di Giuliano di Roma, Patrica, Ceccano, Supino, Morolo e Sgurgola, in soli tre giorni, si sono verificati 418 casi di violenza di cui 3 verso uomini e 29 omicidi compiuti da militari marocchini. A questa seppur parziale informativa, aggiungiamo una lettera trasmessa, immediatamente dopo il passaggio alleato, dal vescovo della diocesi di Ferentino Tommaso Leonetti a Pio XII. Dopo aver evidenziato sofferenze, distruzioni subite da parte della popolazione della diocesi, ed aver la stessa salutato con lacrime di gioia l’ingresso delle truppe alleate nei rispettivi paesi, il presule scrive che queste popolazioni:
"caddero nell’ abisso, direi quasi della disperazione quando le truppe di colore e specialmente i marocchini, s’abbandonarono al saccheggio e peggio alle più turpi violenze contro donne di  ogni età e condizione, non rispettando né fanciulle, né povere vecchie".
Il vescovo, pur ritenendo le stesse cifre provvisorie, nella lettera ne indica alcune: Ferentino, nessuna violenza, anche perché la città non è stata occupata dai marocchini; Amaseno 60; Ceccano 60; Villa Santo Stefano 150; Pisterzo, alcune; Prossedi alcune; Supino, alcune; Giuliano di Roma alcune; Patrica, alcune . Ufficialmente, a quella data, gli ultimi paesi indicati sembrerebbero essere stati immuni o poco colpiti da tali violenze. Ma un anno più tardi l’arciprete di Giuliano di Roma, don Giuseppe Sperduti scriverà al vescovo di Ferentino Tommaso Leonetti:
" ma la situazione morale, senza colpa della popolazione, diventò deplorevole per la violenza carnale subita da una trentina di donne da parte delle truppe marocchine, alla presenza anche di bambini e della gioventù: dette truppe si comportarono da vere bestie" .
Negli stessi giorni in cui il vescovo scrive al Papa, il sacerdote don Bufalini fa sapere, al delegato del vescovo don Giuseppe Sperduti, che a Patrica sono state violentate circa 60 persone. Don Pietro Del Brocco, vice parroco di Prossedi e don Carlo Ceccanese parroco in Pisterzo confermano nei loro scritti l’esistenza di violenze.
Il 10 agosto 1944 il questore di Littoria, oggi Latina, denuncia al Governo Militare Alleato 241 casi di violenza, avvenuti probabilmente nei comuni a ridosso dei Lepini occidentali, ma precisa che essi rappresentano solo un terzo di quelli reali, perché " per questioni di onore la maggioranza si è astenuta dal presentare le denuncie del caso".
Una nota dei Carabinieri della stazione di Giuliano di Roma, risalente il 18 febbraio del 1947, a tale proposito sostiene che nel paese:
"sono molto comuni i casi che la nominata in oggetto ha dichiarato di non voler essere più risarcita su quanto prima richiesto per celare il fatto per pudore"
Le note sia del questore di Littoria che quelle dei carabinieri di Giuliano di Roma stanno a dimostrare che la verità non sarà mai completamente conosciuta. Gli stessi diari parrocchiali, seppur particolareggiati per altre questioni, attorno al tema delle violenze sono evasivi, non approfondiscono, come se fosse qualcosa da dimenticare.
Dalle ricerche effettuate sia presso l’Archivio di Stato di Frosinone che presso l’Archivio diocesano di Ferentino, le donne violentate di Ceccano risultano essere 60, fra queste, ragazze di 16-17-18 anni.
Questi crimini avvengono prevalentemente nelle contrade Cardegna, Maiura, Colle Alto Fiano, Celleta e Peschieta ma qualcuno  anche nella zona occupata dai canadesi, là dove la lieve profondità del Sacco permetteva alle truppe del CEF di attraversare il fiume.  
E’ necessario inoltre precisare che nel territorio di Ceccano nei giorni della battaglia, cioè 28-29-30 maggio, combattono i soldati della 1° Divisione composta da militari della Legione straniera e militari provenienti da colonie (Camerum, Senegal ed altre realtà) e quelli  della seconda Divisione marocchina. Non combattono gli algerini e tunisini perché a riposo. I temibili Goumier invece, che fanno parte della IV Divisione marocchina,  combattono nel territorio di Giuliano di Roma, sulla cresta del Siserno e nella Valle dell’Amaseno.
A Ceccano, da quanto ci risulta,il primo atto di stupro ufficialmente denunciato avviene alle ore 23.00 del 29 maggio, anche se potrebbero essercene stati altri casi simili già durante la giornata del 28. Lo stupro avviene in contrada Peschieta e la vittima è una giovane donna di 17 anni che nella domanda d’indennizzo specifica il giorno esatto della violenza, mentre in tutte le altre domande viene genericamente indicato "gli ultimi giorni di maggio".
La reazione della popolazione alla violenza diffusa non è sufficientemente documentata. Riportiamo alcune testimonianze raccolte:
Lallo Bragaglia racconta che Edoardo Savoni si presentò presso un ufficiale francese per denunciare casi di stupro avvenuti nei pressi della Badia di Ceccano. La sua testimonianza risultò talmente convincente che l’ufficiale, identificato l’autore, gli sparò un colpo di pistola alla testa. Un caso simile accade anche a Giuliano di Roma.
Il senatore Angelo Compagnoni in una videointervista ricorda di aver assistito sia alla reazione di sua madre che con una pistola mette in fuga un marocchino che sta insidiando sua sorella, sia a fucilazioni di soldati marocchini, colpevoli di stupro avvenuti in contrada Maiura.
Un testimone dell’epoca, Luigi Giudici, ricorda di aver saputo da Riccardo Micacchi, sfollato presso Colle Alto, pugilatore semiprofessionista, di avere strangolato un marocchino che voleva violentare la moglie, Pierina Scrifignani. Lo stesso Micacchi, sempre secondo il Giudici, cerca protezione e riesce a ottenerla presso il comando alleato installatosi dentro il convento. Un ufficiale americano lo rassicura dicendogli di aver fatto bene.
Luca D’Annibale racconta di aver saputo dal padre che un abitante della contrada Maiura, sordo e di grande forza fisica, aveva ucciso a colpi di pietra, nelle vicinanze del fiume Sacco, un marocchino che voleva violentare la moglie.
Da queste testimonianze emergono solo reazioni individuali, occasionali e non organizzate.
E’ risultato difficile invece, raccogliere testimonianze di donne. Alcune si sono espresse con riserbo e pudore ammettendo i tristi avvenimenti ma  soffermandosi su di essi non piu’ del dovuto. Non hanno infierito , non hanno premuto il coltello su ferite ancora aperte e dolenti. Solidarietà, pudore? Sicuramente elementi emotivi insiti nella natura femminile. Ed è lo stesso pudore che si riscontra nelle violentate quando stentano a chiedere giustizia.
In questa triste storia bisogna anche ricordare che ci furono uomini senza scrupoli che raccolsero domande d’indennizzo e di pensione sottraendo il 10% per se stessi.
Ad Amaseno queste pratiche  portarono al rimborso di ben 802 richieste. Una cifra altissima rispetto al totale della popolazione.
Ancora una volta il pudore delle violentate fu soppiantato dalla sfrontatezza di chi contrattò sugli indennizzi, e da quelle spudorate donne,che pur non avendo subito violenza, chiesero di essere indennizzate.
Ma ciò che più ci sconvolge, è il pensare alla squallida sorte che toccò alle  donne violentate che furono sopraffatte dalla vergogna, in qualche caso respinte dai propri uomini e abbandonate ad un destino di solitudine e dolore. Per queste vittime la rimozione sarà l’unica via di scampo per continuare a vivere. Oltre ad aver subito violenza e, a volte, aver contratto malattie veneree, venivano condannate da una morale gretta e ingiusta che le relegava ad una esistenza priva di affetti. Per le donna colpite, il ricordo della violenza è stato vissuto anche con sensi di colpa. Alcune donne morirono per aver sottaciuto di aver contratto malattie veneree. Si trovarono sole ed abbandonate  soprattutto dalle istituzioni nazionali e locali che anch’esse adottarono una sorta di rimozione abbandonando la popolazione colpita ad un destino triste e senza futuro. In una società sessuofobica e maschilista le donne non si sentirono abbastanza tutelate e protette da uno Stato che non prese mai le loro difese. L’assordante silenzio su tutta la vicenda viene rotto nel 1948 attraverso le iniziative promosse dall’Unione Donne Italiane, che iniziano ad operare in provincia di Frosinone stabilendo un rapporto diretto con le donne violentate. Cosa non facile perché era necessario trovare un linguaggio e una credibilità che permettesse di stabilire una relazione prima di tutto emotiva. Le animatrici di queste iniziative furono Maria Maddalena Rossi, deputata del PCI e presidente dell’UDI, Lea Locatelli, Adriana Molinari e Lina Paniccia.
Il tema principale riguardava le pensioni per le donne violentate, i sussidi, la cura per le stesse e per i propri familiari. In seguito a tali iniziative e dopo vari incontri con i sindaci dei comuni più a il  il momento più alto a favore delle "marocchinate " venne raggiunto nel 1951 quando una manifestazione promossa proprio dall’Unione Donne Italiane, il 14 ottobre 1951, presso il Supercinema di Pontecorvo, ruppe il silenzio. Le autorità governative avevano provato a eludere la drammaticità della condizione di queste donne cercando di ostacolare l’iniziativa adducendo la questione morale .Di violenza sessuale, e quindi di sesso, pubblicamente, non si doveva parlare. Le donne provenienti in autobus dai paesi vicini, in particolare da San Giorgio a Liri, Castro dei Volsci, Amaseno, Esperia, Vallecorsa, Pico, Pastena, Vallemaio e Ceccano, furono fatte scendere dagli autobus, fuori dal centro abitato, duramente spintonate e disperse. Ma nonostante ciò riuscirono ad arrivare a piedi all’appuntamento e alcune di queste coraggiosamente presero la parola, rendendo la manifestazione drammatica e appassionata. L’incontro di Pontecorvo rappresentò un punto di svolta perché di fronte all’opinione pubblica le donne furono in grado di trasformare la violenza, da fatto privato a fatto collettivo. Ci vollero sei mesi, comunque, prima di essere discussa alla Camera dei deputati una interpellanza della deputata Maria Maddalena Rossi, organizzatrice della manifestazione di Pontecorvo. Era il 7 aprile 1952, quando l’interpellanza fu portata alla discussione in seduta notturna perché il tema era ritenuto "peccaminoso" e non consono alla Istituzione. In un clima di grande imbarazzo per i parlamentari convenuti, la parlamentare illustrò con dati alla mano i ritardi accumulati nell’esaminare le richieste per i sussidi e le pensioni, ma anche la situazione sanitaria presente nel territorio.
Si trattò di una sofferta discussione, tenuta in una assemblea tesa, imbarazzata e muta, composta a grande maggioranza di uomini. Solo una sensibilità femminile poteva essere in grado di cogliere il significato emotivo e il riflesso psicologico degli stupri e le conseguenze prodotte sulle violentate per il resto della loro vita.
Se le iniziative degli anni ’51-’52 devono essere riconosciute come innovative perché rompevano il muro dell’oblio e minavano  il dominio di una cultura sessuofobica, bisogna anche dire, che anche il processo di far conoscere la verità non si sviluppò, anzi per un lungo periodo ristagnò. Alla fine degli anni cinquanta, il libro e il film " La Ciociara" riportano l’attenzione attorno al tema.
Nel 1946-47 ci furono le prime domande per ricevere il sussidio straordinario per le donne violentate, ma furono liquidate in numero limitato. Altre lo furono negli anni 1970-1974. Nell’Archivio Provinciale di Stato di Frosinone, le liquidazioni per il danno subito, erano valutate sulla base dell’età delle violentate: 250.000 lire da 8 a 18 anni; 200.000 dai 19 a 25 anni; 100.000 fino a 40 anni; 50.000 alle donne aventi una età più avanzata. Infine, un assegno vitalizio veniva concesso a chi aveva contratto malattie contagiose, o invalidanti. Ma chi aveva già usufruito dell’indennizzo, non aveva diritto all’assegno vitalizio.
Le cause di quanto avvenuto alle donne e agli uomini colpiti dalle violenze delle truppe di colore e non solo di esse, devono essere necessariamente ricondotte a precise responsabilità.
E’ vero che nel corso dei secoli, durante le guerre la violenza di genere ha rappresentato nel modo più esplicito il dominio, il successo del vincitore. Il corpo della donna simbolicamente diventa il campo di battaglia fra eserciti contrapposti. I vincitori, attraverso il dominio del corpo della donna, vogliono rappresentare la conquista del territorio. In teoria lo stupro è considerato da tutti, inaccettabile ma, nella sostanza è interiorizzato come qualcosa di inevitabile. Nelle vicende italiane c’è qualcosa di diverso però. I fautori degli stupri, prevalentemente nord africani, rispondono a ufficiali di nazionalità francese che in quelle settimane erano alleati con l’ Italia, anzi cobelligerante. L’Italia, infatti, partecipava con un proprio esercito alle operazioni militari contro i tedeschi. I dati che abbiamo a disposizione dimostrano che da parte francese ci fu disattenzione e accettazione perché poche volte intervennero e quando lo fecero, ne abbiamo riportato anche il come. Rimangono alcuni interrogativi che avranno bisogno di un approfondimento storico per essere risolti.
Riteniamo che ci sia ancora molto da ricercare e da approfondire. Desta sconcertante stupore, che porta a una forte indignazione una certa storiografia, come quella dello storico francese, esperto in arti militari, Jean Cristophe Notin. In una sua pubblicazione del 2002, a 57 anni dalla fine della guerra, afferma nel suo libro:
"La campagne d’Italie-les victoires oublié de la France " che la vera causa delle violenze sarebbe stata la degradazione  morale della popolazione civile, la cui componente femminile era volontariamente dedita alla prostituzione e sessualmente attratta dalla prorompente virilità degli uomini di colore, in virtù del loro esotismo" .
Personalmente sono scossa da tale ignobile dichiarazione e non è il caso di raccogliere provocazioni. Ci permette comunque, prima di concludere, di fare qualche ulteriore considerazione. Quella di Notin è una presa di posizione di un nazionalista che difende la sua parte. Solo che il nazionalismo negli ultimi 20 anni si è maggiormente esteso e senza entrare nei particolari sta scatenando guerre. Se lo mettiamo insieme ai resti della concezione patriarcale che produce femminicidi e alla perdita dei diritti sociali e civili, la condizione della donna è veramente in sofferenza. Se ritorno alle violenze di guerra qualcosa voglio puntualizzare: quello che successe 80 anni fa si può ripetere? Temo di si. Per evitare che si ripeta credo sia necessario che non basta ricordare e difendere solo le proprie violentate ma ricordare anche le altre. Per essere chiara penso alle eritree, somali, etiopi, iugoslave, greche, albanesi, libiche. Sogno pertanto una internazionalizzazione del dolore e della dignità femminile che sappia concretamente solidarizzare con tutte le colpite e sappia utilizzare le nuove leggi internazionali e prima fra tutte quella che ritiene gli stupri  Crimini contro l’umanità.  
Lucia Fabi  
Intervento svolto in occasione del Convegno " Il fiume racconta gli orrori delle marocchinate" a cura di Famiglia Futura
Ceccano 24 Maggio 2024


 
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