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Nella raccolta di testimonianze riguardanti il conflitto bellico quella fattaci da Vincenzo Loffredi, nato nel 1930, dimostra come per calmare i morsi della fame si aguzzava l’ingegno o si affrontava incautamente il pericolo. Un racconto che si sviluppa in modo avventuroso e la narrazione prosegue senza vuoti di memoria e con coerenza. La descrizione dei fatti ci viene riportata così vivacemente da avvertire anche suoni e colori.
All’epoca dei fatti Vincenzo Loffredi aveva quattordici anni e la sua testimonianza avvalora non solo quelle già ascoltate, ma aggiunge particolari relativi alle requisizioni tedesche e più in generale alla quotidianità della vita che si svolgeva su via Matteotti che a quell’epoca era denominata via 28 ottobre. Su questa strada i tedeschi requisirono i locali del fabbro Mastrogiacomo, oggi pizzeria Josi, per arrivare fino alla proprietà Tiberia. Dall’altro lato della strada l’occupazione dei locali iniziava da dove oggi c’è una rivendita di prodotti agricoli (Colapietro) fino all’abitazione di Betto Tomassi dove c’erano un piazzale di bocce e una cantina.
Abbiamo già anticipato in altre note come la presenza tedesca fosse invasiva, ma dopo questa ulteriore descrizione l’insediamento si dimostra capillare. Sembra di trovarci entro una cittadella militare, autosufficiente, ben organizzata e senza punti deboli: dal mattatoio con animali razziati nel territorio, alla cucina; dal deposito di pane a quello di ferramenta e di scarpe; dal dormitorio, al ricovero per carri e cavalli; dagli uffici ai magazzini ben forniti e infine a locali utilizzati per feste con presenze di signorine disponibili.
Dentro questa fortezza efficiente e apparentemente inespugnabile si svolgeva la vita precaria di Vincenzo Loffredi e Bruno Rautti, coetanei e amici. E’ dentro questo limitato ambito territoriale che i due amici affamati sfidano "l’efficienza" germanica. Si tratta di una guerra giornaliera non armata ma caratterizzata da sotterfugi e espedienti per non morire di fame.
Vincenzo Loffredi riconosce che tra i due il più coraggioso era il suo amico perché dotato di un’eccezionale temerarietà mai frenata anche di fronte al pericolo. I due aiutavano i tedeschi in cucina e nel mattatoio scuoiando capi di bestiame e tagliando carne. Questi erano luoghi decisivi e nevralgici perché permettevano attraverso piccole sottrazioni quotidiane, di liberarsi dai morsi della fame. Il problema più grande era rappresentato dalla necessità di far sopravvivere anche le rispettive famiglie e gli amici che quotidianamente speravano di ricevere qualcosa da mettere sotto i denti. Temerarietà dunque ma anche creatività, ingegno, scaltrezza e tempismo. Trovare una scala, entrare e aprire una finestra, penetrare nel deposito di pane, riempire i sacchi e lanciarli al di fuori rappresentavano atti di pura imprudenza e di grande rischio. Ma all’ordine del giorno c’erano anche i tentativi mal riusciti come ad esempio quando fu sottratto un sacco ad un militare tedesco stanco e assonnato, di ritorno da Cassino. Pensando di saziarsi con ogni ben di dio, ebbero l’amara sorpresa di trovarvi dentro una coperta, un rasoio, un dentifricio e uno spazzolino per denti. Altri ricordi di Vincenzo, mettono in evidenza il bisogno incontestabile di sfamarsi e allora Bruno scopre le sue qualità di contorsionista penetrando attraverso un minuscolo foro nei locali di un deposito sotterraneo nella cantina Tiberia e da qui con grande perizia portare fuori scatolette di latte condensato, wurstel e frutta sciroppata. Oppure, le varie sottrazioni effettuate nei depositi di sapone e di chiodi per scarpe per essere barattati poi a Giuliano di Roma in cambio di sale. Infine il tentativo non riuscito per l’intervento di un tedesco, di impossessarsi di un maialino. Dopo diverse avventure i due vennero scoperti e ricevettero una quantità esagerata di bastonate da causare a Bruno la perdita di un dente. Le urla e i pianti dei due ragazzi vennero sentiti a distanza e a nulla valsero le richieste della moglie del fabbro Battisti che implorava i tedeschi a lasciar andare i due ragazzi.
Vincenzo Loffredi aggiunge che tale accorata richiesta era scaturita dal fatto che la donna aveva visto qualche giorno prima il figlio Italo opporsi alla requisizione della sua motocicletta da parte di un soldato tedesco: il ragazzo per non lasciare la moto le era rimasto attaccato e il tedesco con violenza lo aveva trascinato per centinaio di metri facendolo strisciare lungo la strada. Per questo atto crudele Italo ne porterà le conseguenze per tutta la vita.
I tedeschi non liberarono i ragazzi ma li tennero chiusi in una stanza fino a quando gli stessi, con un ulteriore atto di coraggio, riuscirono a liberarsi saltando da una finestra posta ad una notevole altezza da terra.
Un’altra storia interessante riguarda gli ultimi giorni di guerra, proprio nel momento del passaggio del fronte. Sulla via Gruttina, nelle vicinanze dove oggi opera il centro commerciale IN’s, di fronte alla fornace dismessa, alcuni ceccanesi avevano costruito fra le rocce un ricovero in grado di contenere circa quaranta persone. In una delle fasi dello scontro fra cannonate germaniche ed alleate, un tedesco venne ferito e i suoi commilitoni obbligarono Luca Massa e altri cittadini a trasportare con una barella il ferito verso la loro infermeria situata sulla provinciale morolense, in prossimità della famiglia Silvaggi. Questi costretti ad accettare, erano in procinto di partire quando una scheggia di granata alleata colpì Luca Massa. I tedeschi abbandonarono la posizione, portandosi dietro il loro ferito ma abbandonando Luca sul posto. Il giorno dopo con l’arrivo degli alleati il ferito fu trasportato in una località ai più rimasta sconosciuta.
In questi giorni, incuriositi dalla drammaticità del racconto, abbiamo cercato di saperne di più e ci siamo recati presso gli uffici anagrafici del comune di Ceccano. Non è stata una ricerca facile perché non abbiamo avuto riscontri per l’anno 1944, ma arrivati ad esaminare il 1945 abbiamo trovato che il 17 del mese di marzo una comunicazione dell’anagrafe di Napoli, uffici di Chiaia, informa il comune di Ceccano ( dopo nove mesi), del decesso di Luca Massa avvenuto alle ore 14 del 25 giugno 1944 presso l’ospedale Loreto di Napoli. Luca Massa aveva 43 anni, di professione faceva il manovale e era sposato con Maria Colapietro.
Lucia Fabi Angelino Loffredi