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C'era una volta la DC di Tommaso Baris

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C’ERA UNA VOLTA LA DC


Il libro “ C’era una volta la DC/ Intervento pubblico e costruzione del con-senso nella Ciociaria andreottiana ( 1943/1979)”  scritto da Tommaso Baris, costituisce un tassello fondamentale non solo per ricostruire l’attività, l’insediamento e ruolo esercitato dalla Dc ma anche per capire meglio la realtà complessiva della nostra provincia.
Potrei dire che questa storia  è quella che viene fuori (prevalentemente) dal giudizio dei Prefetti riportati  attraverso le relazioni mensili degli stessi e inviate al Ministero.
Mi ha colpito il numero delle note: 532. Tutte necessarie e esplicative ma ancor più  nei primi due capitoli; quelle riferite alle relazioni prefettizie ne costituiscano oltre il 90%. Nel terzo e quarto capitolo si riducono completamente, quasi spariscono.

L’INVADENZA DEI PREFETTI


Mi esprimo in questa maniera perché con l’affermarsi di Amintore Fanfani alla segreteria nazionale della DC, a meta degli anni 50, la musica cambia. Il partito non è più quello dei notabili, senza una propria autonoma forza e sottoposto alla in-fluenza  della Chiesa, dei Comitati Civici e della Confindustria. Il partito è debole, incerto, dominato da conflitti interni per cui anche un Prefetto negli anni successivi al dopoguerra può intervenire sulla vita interna e dare indicazioni di lavoro. Fanfani è l’uomo politico, forse unico in Italia, che raggiunge gli obbiettivi  posti: in politica estera il superamento dell’atlantismo filoamericano sostituito da quella che ora viene chiamata dell’equi-vicinanza. Quella che viene praticata negli anni successivi da An-dreotti in verità venne  avviata alla fine degli anni 50 con gli accordi con l’URSS ri-guardante Togliattigrad e il complesso Olivetti ma anche con il ruolo avuto dall’Eni attraverso i rapporti con  i paesi arabi.
Fanfani è il politico che crea il centro sinistra, facendo venir meno l’alleanza  fra Comunisti e Socialisti.
Fanfani grazie al controllo politico sulle Partecipazioni statali, Eni, Enel e Rai fa acquisire al proprio partito una autonoma soggettività politica.
Sicuramente con una DC autonoma e forte le note prefettizie perdono di importanza politica.
Faccio questa precisazione in quanto necessaria per aprire, appunto  il discorso sul potere dei Prefetti  sulla Dc. Riporto infatti quanto scritto da Baris a proposito delle prime settimane del 1952, alla vigilia delle prime elezioni per il Consiglio Provinciale di Frosinone e per  85 comuni. Ecco cosa scrive il Prefetto TemperiniHo convocato Deputati e i maggiori rappresentanti del Partito e con essi ho passato in rassegna, ai fini delle prossime elezioni amministrative, la situazione generale della provincia e quella dei singoli comuni” e poi sempre il Prefetto, nella relazione del febbraio, aggiunge “ Ho avvertito i convenuti che se dal partito non sarà curata attentamente e accortamente la formazione delle liste, si potrebbe avere la spiacente sorpresa che risulteranno numerose amministrazioni “ indipendenti “.
Non è finita, perché il Prefetto riporta che nello stesso periodo è intervenuto anche per superare il dissenso fra DC e Azione Cattolica del capoluogo egli infatti scrive che mediò fra le parti facendo si che il disaccordo fosse  “ chiarito ed elimina-to”.
Questa nota del 5 febbraio del 1952 rappresenta la carta al tornasole  della de-bolezza organizzativa del partito in quanto non appaiono il segretario, né i vari legit-timi dirigenti. Non dimentichiamo che non ci troviamo nei primi giorni del dopo Li-berazione ma sono passati ben sette anni dall’ingresso di De Gasperi e Andreotti nel Governo. Vengono chiaramente fuori altri aspetti quali la compenetrazione del partito con lo Stato o, se volete, viceversa. Tale compenetrazione sarà onnipresente e continua, anche quanto per motivi di tempo non la evidenzierò e non la commenterò.
                         

L’INTERVENTO PUBBLICO


Baris con lucida coerenza evidenzia la forza dirompente e modernizzante dell’industrializzazione, il ruolo egemone della corrente andreottiana nell’acquisizione del consenso alla DC. A cominciare dall’agosto del 1950, agli in-terventi nel mezzogiorno, al ruolo avuto dall’ISVEIMER. L’autore fa bene a ricor-darci che tale Istituto operasse sganciato da ogni controllo, a cominciare da quello del parlamento, sottoposto solamente al controllo del Governo. Sono i Ministri che attraverso il Comitato interministeriale per il credito ne indicano i criteri di massima, i tipi, la durata e l’ammontare delle operazioni.
Non esiste un controllo del Parlamento, dunque, ma gli interventi ci sono. E come ! Campilli nel 1954 annuncia che, per la nostra provincia, sono stati approvati 1151 progetti per oltre 12 miliardi.

LA COLTIVATORI DIRETTI


Vorrei invece puntualizzare l’argomento del consenso ottenuto dalla DC che secondo l’autore, avviene attraverso il processo di industrializzazione.
Su questa considerazione ho qualche dubbio in quanto preferisco sviluppare un argomento che Baris inserisce. Lo inserisce solamente. Quello della forza della Coltivatori Diretti. Scrive poco ma abbastanza per riflettere.
Gli uomini di Bonomi contavano poi sul controllo della Federazione Italiana dei consorzi agrari ( Federconsorzi) e della Federazione nazionale che  raggruppava le casse mutue per i coltivatori diretti ( Federmutue).
Antonio Parisella, un noto ricercatore molto legato alla vita della nostra pro-vincia nel suo saggio “ Cattolici e democrazia cristiana nell’Italia repubblicana”, u-scito nel 2000, è più incalzante e più profondamente scrive “Attraverso l’amministrazione dei due enti la Coldiretti poteva intervenire direttamente nella gestione della vita quotidiana dei coltivatori  e dei bisogni delle loro aziende e delle loro famiglie “.
Parisella prosegue ancora, ricordando “ Essa( la CC.DD)esercitava attraverso i consorzi agrari un ruolo di primo piano nell’economia nazionale per delega statale la gestione degli ammassi e attraverso accordi con la Fiat e la Montecatini, anche la distribuzione in condizione di monopolio di trattori, macchine agricole, concimi e fertilizzanti
Non abbiamo dati finanziari e nemmeno del numero delle risorse umane impegnate in tale comparto.  Se poi aggiungiamo, e sapete che non sto esagerando, il carisma personale esercitato personalmente da Bonomi e nella provincia di Frosinone da Gerardo Gaibisso mi sento di dire che ci troviamo di fronte ad una vera “macchina da guerra”
Vedete io non arrivo a dire che l’insediamento della CCDD in termini di con-senso sia stato superiore a quello che la Dc ha ottenuto con il processo di industrializzazione. Ma mi sento di aggiungere apporti elettorali che l’autore non ha individuato. Nel lungo dopoguerra penso inoltre alla funzione avuta dalle organizzazioni diocesane nell’organizzare le vacanze marine, delle colonie solari, nella preparazione dei pasti  caldi in favore di una infanzia veramente affamata. Occasionalmente, presso l’Archivio di Stato di Frosinone mi è capitato un fascicolo dove presumo che oltre duemila bambini l’anno dal 1948 fino alla fine degli anni cinquanta siano stati assistiti e curati.  E’ vero che le organizzazioni preventivavano i costi, sceglievano le assistenti e i commercianti ove rifornirsi e poi, in modo molto sbrigativo e solerte, alla fine era la Prefettura a pagare. E’ ancora più vero che si ripropone la commistione con lo Stato ma i bambini mangiavano e si acquisiva consenso. Sempre a proposito di consenso allargo l’orizzonte all’intervento pubblico nei cantieri di rimboschimento e di sistemazione delle strade, attraverso il piano Fanfani, alle realizzazione delle case popolari.

IL PCI E MAZZOLI


Esiste un altro aspetto che va sistemato meglio e definito nei particolari, quello della DC inteso come partito della industrializzazione e della modernità e quello del PCI come il partito legato alle lotte contadine e al ribaltamento dei contratti agrari      ( Patto verolano, colonia migliorataria, dentro uno scenario di conservazione).
Ritengo utile e giusto vedere meglio come sono andate le cose e approfondire le questioni aperte e sviluppate proprio in casa del PCI.
La DC , attraverso scelte provenienti dal centro, dal Governo a Frosinone sce-glie la strada dell’industrializzazione. Il PCI rispetto al tema si muove con ritardo, le questioni legate alle campagne sono prevalenti. Il gruppo dirigente è direttamente le-gato a tali iniziative. Non riporto un dato statistico ma vale la pena sapere che il PCI in provincia alle elezioni del 1968 ottiene un grande successo. Da per tutto, escluso Ceccano, ove c’è un arretramento, secondo me perche è il primo dei comuni toccato dall’industrializzazione e perché Francesco Battista ( ceccanese) era stato uno dei fondatori del Nucleo, poi presidente dell’Area e quindi la persona in grado di assicurare, con facilità un posto di lavoro.
E’ all’indomani dell’annuncio dell’arrivo in provincia della Fiat (1969) che nel PCI la musica gradualmente cambia. Mi faccio assistere dalla memoria, mettendo nel conto che potrei riportare delle inesattezze ma posso incominciare ricordando che ci fu un attivo nel mese di settembre  per illustrare l’avvenimento:  poche persone, pochissimi  operai.
Nel gennaio del 1970 si tenne una conferenza operaia. Questa volta la loro presenza operaia fu superiore anche perché c’era stato l’autunno caldo e le elezioni in alcune fabbriche per le elezioni di Commissioni interne.
Marzo 1970, si tenne una iniziativa proprio a Cassino sul tema riguardante la Fiat e le ripercussioni nel territorio. Tante presenze, tantissimi interventi.
L’attenzione alla Fiat e alle ripercussioni nel territorio diventano una costante con l’arrivo alla segretaria della federazione di Ignazio Mazzoli, nel settembre del 1970.
Andiamo avanti:
all’inizio del 1971 si tenne un incontro con i cartai a Isola Liri ed il tema ri-guardava gli straordinari e l’occupazione.
Nell’ottobre, sempre del 71, si tenne una conferenza operaia a Anagni con la presenza di Fernando Di Giulio.
La novità è costituita dal fatto che non si discute di fatti specifici e settoriali ma di piattaforme generali. L’industrializzazione sta al centro delle politiche territoriali insieme e direttamente connessa con la viabilità, servizi, sanità, scuola e Università, casa e trasporti.
Queste novità portano anche ad un ricambio nel gruppo dirigente, a cominciare da quello locale. Il processo di avvicendamento non è facile e nemmeno semplice. Le discussioni e le resistenze sono forti, non facili da risolvere, avvengono conflitti veri e propri. Potrei scrivere del nuovo che avanza e il vecchio che resiste ma il luogo della selezione del personale è nelle lotte, nelle presenze, nella capacità di guidarle. Il punto decisivo dove si affrontano tutte le questioni aperte fu il congresso provinciale del 1972, ove le posizioni si misero a confronto e dettero a tutti la possibilità di essere conosciute e di vedere le distanze, le dimensioni e la profondità. Infatti non si risolsero immediatamente perché rimasero in piedi e le ritroviamo durante la campagna elettorale e per tutto il 1972 con code polemiche eccezionali. Ma il dispiegamento pieno della politica si afferma e le polemiche e le critiche diventano un fatto fisiologico.
Ricordo ancora nel 1973 una iniziativa a Piedimonte San Germano per esaminare l’organizzazione interna della produzione nella Fiat, poi un attivo sull’Area Industriale e il suo PRG, un’incontro fra le federazioni di Latina e Frosinone tenuto a Ceccano riguardante le  politiche territoriali da portare avanti.
Potrei allungare l’esposizione ma rischio di annoiarvi. Mi accontento di aver dato il senso di quello che avveniva nel PCI.
Baris, gli eccezionali  risultati delle elezioni regionali del 1975 e delle politiche del 1976 per il PCI non sono opera dello spirito santo ma il risultato di tale impegno e dell’affermarsi di un nuovo gruppo dirigente che riesce a saldarsi con quello che lo aveva preceduto. Che prova a confrontarsi con la Dc e gli altri partiti con l’accordo di programma concordato per l’Amministrazione provinciale di Frosinone.

ALTRE COSE DA APPROFONDIRE


Del libro meritano ulteriori approfondimenti quali quello della Saif, ente addetto a fare le progettazioni e le opere per conto dell’Area industriale. Dove il controllato era il controllore. Ove Battista, presidente dell’ Area, controllava Battista presidente della Saif, insomma se la cantavano e se la suonavano, un coro suonato, però, a base di miliardi.
Ma ci sono aspetti non evidenziati, certamente non decisivi comunque merite-voli di essere ricordati: il ruolo avuto dalla Procura della Repubblica. L’infiltrazioni della mafia siculo canadese ( i Cuntrera-Carruana). Il loro incontro con esponenti politici locali in un albergo di Piglio rimane una pagina oscura ed inquietante. Poi ci stanno alcune questioni riportate ma che secondo me bisognerebbe sistemare meglio: 1967- 1968, trasformazione del Nucleo in Area, la nuova zonizzazione ma anche gli anni dell’arrivo a Frosinone del Commissario  DC , l’andreottiano Santucci, inviato da Roma e alcune operazioni politiche legate a questo periodo:  mi riferisco alla caduta in disgrazia di Fanelli, all’’avvicendamento di Armando Vona, creatore e costrutture del Nucleo industriale con Francesco Battista. In un incontro occasionale avuto con l’Ingegnere mi confessò che per  spingerlo a dimettersi gli Andreottiani inviarono addirittura il Vescovo di Veroli. A completare il quadro c’è il passaggio nella corrente andreottiana dei fanfaniani Battista e Emanuele Lisi, antagonisti ad Andreotti nel 1962 al Congresso di Casamari. Battista diventa Presidente dell’Area Industriale mentre Lisi sarà candidato al Senato e eletto senatore.
Baris è stato molto attento in ogni passaggio elettorale a riportare il nome degli eletti e le polemiche conseguenti. Non esplicita un dato secondo me importante, an-che se lo allude: come mai la provincia bianca non esprime un lider nazionale o co-munque riconosciuto ed apprezzato anche a Colleferro o a Priverno ?
Possibile che Fanelli, unico politico autoctono formato già prima dell’era An-dreotti possa essere sfrontatamente dileggiato nel corso di quei anni. Non dimenti-chiamo che già nel 1946, subito dopo il voto per l’Assemblea Costituente diviene Presidente della Provincia. E’ esagerato se ipotizzo che Andreotti rappresenti  il Conte Ugolino nella DC?

LE OCCASIONI MANCATE


L’ultima questione che pongo è la questione delle questioni: la mancata alter-nativa al pensiero, alla cultura, all’agire politico, al senso comune andreottiano, pur-troppo, prolifico nella nostra zona, una miscela di egoismo, furbizia, ambivalenza, logica spartitoria e correntizia, nuove modi di fare politica a cominciare dalle que-stioni oscure della gestione dell’Area industriale e della Saif.
L’accordo di programma del 1975 presso l’Amministrazione provinciale ebbe due momenti esemplari: la Conferenza per l’occupazione nel febbraio del 1976 e l’appoggio alla vertenza Lazio. Poi la Conferenza a difesa dell’ordine pubblico a ri-dosso  dell’assassinio di De Rosa, alla Fiat nel 1978. Ricordo quel periodo, perché l’ho vissuto in prima persona,  come ho vissuto e visto i tanti espedienti per ritardare,  i pretesti, in attesa di un ordine romano che non arrivò mai. Per questo quella fase si esaurì.
L’assassinio di Moro, la congiura internazionale che tramò e intervenne per fermare l’avvicinamento fra le culture popolari, fece abortire  un disegno veramente ambizioso.
Nel 1981 Berlinguer nell’intervista a Repubblica descrisse in modo specifico la compenetrazione dei partiti nello Stato, azione che mortificava il ruolo che la Co-stituzione assegnava e assegna ai partiti. Non la riprendo perché i presenti la cono-scono.
Berlinguer individuava la DC come principale responsabile di tale guasti. Ora a 32anni di distanza qualche considerazione aggiuntiva va pur fatta. Questa considerazione ve la espone chi è cresciuto nell’interno di un partito ove la soggettività politica rappresentava l’essenza, la motivazione dell’esistenza stessa del partito. Non un partito-carta assorbente ma con una proposta che doveva, deve cambiare lo stato delle cose esistenti. Per cui dopo anni mi permetto di rilevare che se  grave fu l’azione avviato dalla DC altrettanto grave e ingiustificabile fu che gli eredi di Berlinguer, eredi solo in certe occasione o a corrente alternata, non abbiamo trovato il tempo e l’occasione per essere alternativi, veramente diversi nell’agire politico rispetto a certe pratiche che sono diventate anche la struttura della nostra “cultura”: i ladri sono furbi e degni di stima mentre gli onesti ed i corretti sono dei poveri fessacchiotti. A chi mi chiede questa sera qualcosa sulla DC rispondo che è organizzativamente finita ma le scorie dell’andreottismo si sono sedimentate e sono presenti ovunque e si presentano sotto abiti diversi.
Anzi a guardare bene sono tentato di dire che Andreotti rispetto a coloro che ci hanno sgovernato e depredato in questi ultimi venti anni( i suoi nipotini)  può apparire un arguto dilettante.

UNA VIA D’USCITA E’ POSSIBILE


La situazione non è bella, è veramente preoccupanti ma non possiamo rasse-gnarci. Vedete il libro a molti di noi ci fa guardare indietro. A me guardando indietro mi spinge a osservare nel futuro.
Se l’assassinio di Moro e la scomparsa di Berlinguer rappresentano la Waterloo dei progressisti italiani, se la Santa Alleanza, di ottocentesca memoria, ci fa venire in  mente l’asse Tacher -Regan per l’avvio dato alla politica del  Darwinismo sociale, non dobbiamo mai dimenticare che in momenti in cui la Restaurazione trionfava in Europa, la Dichiarazione dei diritti dell’ uomo e del cittadino rimase nel cuore e nella mente dei cittadini europei e con il quarantotto costituì il lievito di tutte le rivoluzioni liberali in Europa.
Cari amici, non abbiamo bisogno di rivolgere lo sguardo altrove perche in Ita-lia abbiamo un punto di riferimento decisivo: la Costituzione. Rimane la carta da cui ripartire non solo per gli articoli uno e tre, oramai, fortunatamente, ben conosciuti ma anche attraverso gli  articoli che riguardano e disciplinano la proprietà, argomento in questi anni tabu. Gli articoli dal  41 al 47 possono costituire un punto di partenza, una base per ricostruire un giusto equilibrio fra pubblico e privato. Non ve li leggo ma permettetemi di ricordare alcuni passaggi di tali norme e poi finisco.
“ La proprietà privata non può svolgersi in contrasto con la pubblica utilità sociale o in modo di recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”.
Oppure riflettete su questo altro passaggio
“ La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata per fini sociali “.
Per chi ama la giustizia, per chi non vuole morire liberista c’è abbastanza per un nuovo inizio.

Angelino Loffredi

Comune di Giuliano di Roma 28 dicembre 2012



 
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